Sent. CORTE COSTITUZIONALE, 7.4.2011, n. 115
La Corte rileva, innanzitutto, che l’art. 54, comma quarto t.u.e.l., come novellato nel 2008, pur non riconoscendo alle ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione alcuna potestà di derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, conferisce una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Rileva, poi, che indubitabilmente le ordinanze sindacali ex art. 54 incidono per la natura delle loro finalità e per i loro destinatari sulla sfera di libertà dei singoli e delle comunità amministrate.
La Corte ricorda di avere più volte ribadito, nella sua giurisprudenza, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale che non consente “l’assoluta indeterminatezza” del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa e che la Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità richiede che nessuna prestazione personale o patrimoniale possa essere imposta se non in base alla legge (art. 23).
Sebbene nella materia in esame sia intervenuto il d.m. 5 agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione), esso non può assolvere alla funzione di indirizzare l’azione del sindaco, poiché la natura amministrativa del potere del Ministro non può soddisfare la riserva di legge, in quanto si tratta di atto non idoneo a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nei rapporti con i cittadini. Pertanto la norma censurata nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci non limitato ai casi contingibili ed urgenti - pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a nome primarie e secondarie vigenti - viola la riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di liberà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare in via generale dalla legge.
La Corte rileva altresì la violazione dell’art. 97 Cost. che istituisce una riserva di legge allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione; l’osservanza di tale limite deve essere concretamente verificabile in sede di controllo giurisdizionale, per cui l’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non consente che l’imparzialità dell’agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fondamento effettivo ancorché non dettagliato nella legge.
Inoltre l’assenza di una valida base legislativa, riscontrabile nel potere conferito ai sindaci dalla norma censurata, così come incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione, a fortiori lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci.