Fonti internazionali

A cura di Annalisa Ciampi, con la collaborazione di Deborah Russo, Giulia Bazzoni, Federico Gianassi e Agnese Vitale


 

Con sentenza n. 23583, depositata il 12 giugno 2024, la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, ha offerto la sua interpretazione riguardo ad alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo all'utilizzo di campioni biologici in procedimenti penali.

La madre di un uomo condannato per i delitti di duplice omicidio e di detenzione e porto abusivo d’arma da sparo, aggravati dal metodo mafioso, agendo sulla base degli interessi di quest’ultimo, aveva presentato domanda di revisione della pronuncia della Corte di appello contestando l’acquisizione di reperti biologici del figlio, sulla base della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) Petrovic c. Serbia del 2020. L’istanza tuttavia era stata respinta.

1. I presupposti

Con la sentenza n. 143 del 2024 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili, per eccesso del parametro del sindacato della Corte, le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Bolzano in materia di rettificazione di attribuzione di sesso. In particolare, la domanda verteva sulla possibilità di riconoscere giuridicamente le identità di genere non binarie attraverso una modifica del sistema di registrazione attuale.

Il caso di specie ha riguardato una persona di sesso anagrafico femminile (L.N.) che però si identificava in un genere non binario, non riconoscendosi né nel proprio genere biologico né in quello maschile. A seguito di una diagnosi di disforia di genere per identificazione non binaria con propensione alla componente maschile, L.N. si è rivolta al Tribunale di Bolzano per ottenere la rettificazione del sesso da “femminile” ad “altro” nonché per vedersi riconosciuto il diritto di sottoporsi a ogni intervento medico-chirurgico in senso gino-androide.

1. Premesse

Il 17 maggio 2024, il Tribunale di Stoccarda ha aggiunto un ulteriore capitolo alla complessa vicenda sorta davanti al Tribunale di Venezia, riguardante il diritto di utilizzo dell’immagine dell’Uomo Vitruviano da parte della società tedesca Ravensburger. La sentenza si è basata sul principio di sovranità territoriale sancito dal diritto internazionale, secondo cui ogni Stato ha il potere di regolare l’uso dei beni culturali all’interno dei propri confini, ma non può estendere tali norme ad altri Stati senza una base giuridica condivisa.

La disputa era cominciata nel 2022, quando il Tribunale di Venezia aveva stabilito che, per l’uso a scopo di lucro dell’immagine di un bene culturale italiano, fosse necessaria una concessione e il pagamento di un canone. In contrasto con tale impostazione, Ravensburger ha insistito sulla libertà di utilizzare l’immagine del celebre disegno leonardesco sui propri puzzle senza essere vincolata dai requisiti imposti dal Codice dei beni culturali italiano, sostenendo che tali norme non dovrebbero trovare applicazione ad una società tedesca.

Questa decisione del Tribunale di Stoccarda non solo riaccende il “braccio di ferro” tra le Gallerie dell’Accademia di Venezia e Ravensburger, ma evidenzia anche una questione di giurisdizione ben più ampia riguardante la tutela del patrimonio culturale italiano nel contesto europeo e internazionale.

Osservatorio sulle fonti

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