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Discrezionalità nell’esercizio della delega con riferimento al tema dell’indennità premio di fine servizio per direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario delle ASL (2/2014)

Sentenza n. 132/2014 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 16/05/2014 – Pubblicazione in G. U. del 21/05/2014

Motivi della segnalazione

Il Tribunale ordinario di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 3-bis per la violazione dell'art. 76 Cost. – in quanto il legislatore delegato avrebbe contravvenuto al precetto della legge di delega contenuto nell'art. 1, comma 4, della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), che avrebbe prescritto il divieto di recare oneri aggiuntivi per lo Stato e per le altre pubbliche amministrazioni – e dell'art. 81, ultimo comma, Cost. (recte: terzo comma), nel testo introdotto dall'art. 6 della legge cost. n. 1 del 2012, in quanto il legislatore delegato non avrebbe indicato i mezzi per fare fronte alle nuove e maggiori spese recate dalle disposizioni contenute nell'art. 3-bis.

 

I motivi d'interesse della decisione risiedono nei chiarimenti operati dalla Corte in merito al criterio di invarianza degli oneri finanziari, fissato con riguardo agli effetti complessivi dell'«esercizio della delega» dall'art. 1, comma 6, della legge n. 419 del 1998, e sulla corretta attuazione del vincolo di cui al predetto art. 1.

La questione è stata esaminata in riferimento sia all'art. 76 che all'art. 81 Cost., quest'ultimo nella formulazione anteriore alla novella costituzionale del 2012. A tal fine la Corte ha ricostruito l'attuale quadro normativo in relazione ai profili inerenti alle questioni sollevate dal rimettente, i quali si possono così sintetizzare: a) esistenza di un principio di invarianza della spesa prescritto dalla legge di delega per tutte le singole componenti analitiche – categoria cui appartiene il trattamento di fine rapporto dei dirigenti delle Aziende sanitarie locali (ASL) cessati nel corso dello svolgimento dell'incarico – della riforma; b) disallineamento della disposizione rispetto ai criteri generali che disciplinano la determinazione dell'entità dell'IPS, dal momento che la normativa censurata avrebbe introdotto un criterio di calcolo più vantaggioso per i soli dirigenti apicali delle aziende sanitarie, con conseguente aggravio degli oneri addossati all'istituto di previdenza deputato all'erogazione di tali prestazioni, senza peraltro indicare i mezzi con cui far fronte a tali maggiori spese.

Quanto al profilo sub a), è opportuno ricordare che la legge n. 419 del 1998, contenente la delega in attuazione della quale è stato emanato il decreto legislativo di cui la norma impugnata fa parte, conferiva al Governo la facoltà di adottare uno o più decreti legislativi finalizzati alla razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale ed alla realizzazione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio stesso.

Il senso letterale dell'art. art. 1, comma 4 consente di concludere che il vincolo di invarianza, posto come criterio direttivo della delega, attiene agli oneri complessivi della riforma, comportando conseguentemente una ponderazione globale ed aggregata degli effetti positivi e negativi delle prescrizioni introdotte dal d.lgs. n. 229 del 1999. Ne consegue che lo scrutinio di correttezza dell'operato del legislatore delegato consiste nel verificare se la compensazione tra previsioni recanti aggravi di spesa e quelle aventi effetti riduttivi siano neutre o vantaggiose in termini di equilibrio complessivo degli effetti economico finanziari prodotti dalla riforma.

La legge di delega n. 419 del 1998 includeva tra i criteri direttivi, all'art. 2, comma 1, lettera t), «l'omogeneizzazione della disciplina del trattamento assistenziale e previdenziale dei soggetti nominati direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di azienda, nell'àmbito dei trattamenti assistenziali e previdenziali previsti dalla legislazione vigente».

L'art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 229 del 1999, attuativo della delega, ha inserito nel d.lgs. n. 502 del 1992 (contestualmente abrogando il comma 8 dell'art. 3 del medesimo decreto) l'impugnato art. 3-bis, il quale dispone che: «La nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto. L'aspettativa è concessa entro sessanta giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali comprensivi delle quote a carico del dipendente, calcolati sul trattamento economico corrisposto per l'incarico conferito nei limiti dei massimali di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 181, e a richiedere il rimborso di tutto l'onere da esse complessivamente sostenuto all'unità sanitaria locale o all'azienda ospedaliera interessata, la quale procede al recupero della quota a carico dell'interessato».

Dalla successione nel tempo e dal disposto delle norme richiamate è emerso che, al fine di rendere omogenee – in ossequio al principio contenuto della delega – le posizioni ed i trattamenti dei titolari degli incarichi, il d.lgs. n. 229 del 1999 ha previsto per tutti i soggetti, pubblici o privati, l'assimilazione del compenso percepito per l'incarico di direttore generale, amministrativo o sanitario al reddito da lavoro dipendente, con il conseguente assoggettamento di tali emolumenti ai prelievi contributivi previdenziali ed assistenziali, secondo il regime delle rispettive discipline.

In tal modo è mutata la base contributiva, non più fondata sul trattamento stipendiale in godimento presso l'amministrazione di provenienza, ma sul compenso effettivo percepito derivante dall'incarico di direttore generale, amministrativo e sanitario.

Il criterio di invarianza degli oneri finanziari, fissato con riguardo agli effetti complessivi dell'«esercizio della delega» dall'art. 1, comma 6, della legge n. 419 del 1998, non comporta la preclusione di un eventuale aggravio di spesa derivante dall'applicazione della disposizione impugnata. Riguardando il vincolo di cui al predetto art. 1 la materia delegata nel suo insieme, l'eventuale sindacato sulla sua corretta attuazione dovrebbe rivolgersi all'effetto complessivo di tutte le innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 229 del 1999, dal momento che ben potrebbe un singolo aggravio di spesa trovare compensazione in altre disposizioni produttive di risparmi o di maggiori entrate.

Diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, il criterio direttivo posto dal legislatore delegante rimette interamente al delegato la facoltà di adottare eventuali scelte – che nella loro individualità potrebbero essere anche onerose – con il solo limite dell'incremento complessivo degli effetti finanziari prodotti dall'intera normativa delegata. In proposito questa Corte ha affermato che la discrezionalità nell'esercizio della delega dipende anche dal «grado di specificità dei principi e criteri fissati nella legge delega» (sentenza n. 199 del 2003), che nel caso in esame determinano appunto quale unico limite la consistenza neutra o attiva dell'aggregato complessivo degli effetti del decreto legislativo sulla spesa pubblica.

Circa il rispetto di detto limite, la cui violazione avrebbe assunto valore dirimente, l'ordinanza di rimessione difetta, invece, di ogni argomentazione ed allegazione.

È ben vero che la scelta legislativa in esame è solo uno dei possibili strumenti attuativi della delega, con tutte le possibili implicazioni positive e negative intrinsecamente legate al modello di riforma adottato.

Essa tuttavia – come la Corte aveva già affermato (sentenza n. 119 del 2012) – «non può essere considerata manifestamente irragionevole» ed in questo contesto non è implausibile che tra gli effetti collaterali del meccanismo di omogeneizzazione vi possa essere la valorizzazione – attraverso la parziale scissione tra prelievo contributivo e prestazione resa, che nel caso di specie può avere una valenza economica bidirezionale – del principio solidaristico che caratterizza in modo peculiare il trattamento di fine rapporto nell'ambito pubblico.

In definitiva, «con l'attuazione della delega, il legislatore delegato ha scelto uno dei possibili mezzi per realizzare l'obiettivo indicato nella legge di delegazione, partendo da un dato, la retribuzione percepita per l'incarico, sicuramente comune a tutti i dipendenti, pubblici e privati. Non si tratta dell'unica scelta possibile, ma la stessa non può essere considerata manifestamente irragionevole dal momento che realizza una completa parificazione [pur nel rispetto delle peculiarità dei diversi sistemi previdenziali che la delega non consentiva di modificare] di tutti i soggetti, dipendenti pubblici e privati, che si trovino ad esercitare una certa funzione, quale che sia l'amministrazione di provenienza o il lavoro svolto nel settore privato» (sentenza n. 119 del 2012).

Dunque il legislatore delegato, assimilando il regime dei compensi a quelli da lavoro dipendente ed assoggettandoli coerentemente a prelievo contributivo secondo le previsioni generali, non ha violato le regole di copertura della spesa, come delineate dalla legge delega, e non ha introdotto, sempre nel rispetto del mandato ricevuto, alcuna modifica strutturale nell'ordinamento della previdenza pubblica, limitandosi a rendere omogenea la disciplina del rapporto di lavoro dei soggetti di diversa provenienza chiamati a svolgere le funzioni di direttore generale, amministrativo e sanitario.

Osservatorio sulle fonti

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