Aggiornato al 13/07/2015
Nella presente nota ci occuperemo di tre atti che l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha approvato nel corso dell’ultimo quadrimestre:
- Determinazione 28 aprile 2015, n. 6[1] recante le “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico cheilleciti (c.d. whistleblower)”;
- Segnalazione al Governo e al Parlamento[2] ai sensi dell’art. 6, comma 7, lett. f), del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, recante “Proposte di modifica, correzione e integrazione della normativa vigente in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi amministrativi”;
- Regolamento 8 aprile 2015[3], recante la “Disciplina della partecipazione ai procedimenti di regolazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione”.
1. Il primo atto in commento prende le mosse dalla introduzione nell’ordinamento nazionale di un’adeguata tutela del dipendente (pubblico e privato) che segnali condotte illecite dall’interno dell’ambiente di lavoro. Per questa ragione, sin dalle prime righe del provvedimento in esame è fatto espresso riferimento a quanto stabilito nelle convenzioni internazionali (ONU, OCSE, Consiglio d’Europa) ratificate dall’Italia, oltre che alle raccomandazioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, la quale, sul punto, talvolta si è espressa in modo vincolante, altre volte sotto forma di invito ad adempiere.
La materia è oggetto di regolazione anche nella legislazione ordinaria: la legge 6 novembre 2012, n. 190 recante le “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” ha, infatti, recepito le sollecitazioni provenienti dal diritto internazionale, sia pure limitatamente all’ambito della pubblica amministrazione, con la disposizione dell’art. 1, comma 51, che introduce l’art. 54 bis nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 recante le “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, prevedendo che «fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia».
L’atto di cui si discorre è stato adottato in virtù della considerazione che all’Autorità spetti un generale potere di regolazione relativo alla tutela del dipendente pubblico che proceda a segnalare condotte illecite. A ben vedere, la determinazione fissa una serie di criteri al fine di determinare gli ambiti entro cui il dipendente possa ritenersi tutelato. L’Autorità, dunque, compie un vero e proprio bilanciamento, al fine di contemperare i vari interessi in gioco. In particolare, il dipendente che segnala condotte illecite è tenuto esente da conseguenze pregiudizievoli in ambito disciplinare e tutelato in caso di adozione di «misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia». La norma, in buona sostanza, è volta a proteggere il dipendente che, per via della propria segnalazione, rischi di vedere compromesse le proprie condizioni di lavoro.
Per quanto concerne l’ambito soggettivo, l’atto amplia il novero dei soggetti tutelati, prevedendo che anche i consulenti e i collaboratori a qualsiasi titolo nonché i collaboratori di imprese fornitrici dell’amministrazione possano avvalersi del peculiare regime di esenzione di responsabilità delineato nella normativa primaria e nel regolamento.
2. Il secondo atto a cui si vuole far cenno è la segnalazione che l’Autorità ha voluto rendere nei confronti del Governo e del Parlamento per sensibilizzare l’approvazione in tempi rapidi di una riforma della normativa in tema di conferimenti di incarichi amministrativi.
La segnalazione costituisce un documento corposo e, pertanto, ricco di spunti. In questa sede, pare interessante soffermarsi su un aspetto specifico e, segnatamente, sulla richiesta volta ad ampliare i poteri dell’Autorità.
Le norme vigenti, osserva l’Autorità, sono contraddittorie, ma soprattutto sono poco efficaci rispetto al fine di garantire la massima trasparenza. In particolare, si osserva che il d.lgs. 39/2013 riconosce all’ANAC poteri di vigilanza (art. 16, primo comma) e di sospensione della procedura di conferimento degli incarichi (art. 16, secondo comma).
Quanto al potere sanzionatorio, il d.lgs. n. 39 prevede (art. 18) una sanzione interdittiva (sospensione di tre mesi dal potere di conferire incarichi) di difficilissima, se non impossibile, applicazione. Dal momento che la sanzione interdittiva è considerata automatica, si tratta di individuare l’autorità amministrativa competente a conferire gli incarichi al posto dell’organo sospeso e la disciplina del d.lgs. n. 39 appare sul punto non immediatamente applicabile, con il rischio di dichiarare nullo un incarico e di non consentire una rapida sostituzione.
Si potrebbe razionalizzare la disciplina prevedendo di attribuire all’ANAC il potere: a) di accertare le violazioni e di dichiarare nullo il conferimento illegittimo; b) di irrogare a coloro che hanno conferito incarichi dichiarati nulli una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 1.000 e 10.000 euro, disciplinata ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689; c) di irrogare, nei casi più gravi (per esempio in caso di recidiva), l’ulteriore sanzione interdittiva della sospensione dall’incarico o dalla carica da uno a sei mesi; d) di nominare, nel caso di applicazione della sanzione interdittiva, un commissario ad acta per l’effettuazione delle nomine nel periodo di sospensione.
Per attribuire all’Autorità questi poteri (il cui esercizio non dovrebbe
costituire un eccessivo aggravio per gli uffici, stante il numero non elevato di casi che si possono ipotizzare) la delega della legge n. 190 va integrata, perché si tratta di prevedere una sanzione (quella pecuniaria) non prevista dalla disciplina vigente.
Più incerti risultano, ad avviso dell’Autorità, i poteri di accertamento delle cause di incompatibilità, che il decreto citato non disciplina, rimettendoli in tal modo alle stesse amministrazioni.
Per questa ragione, l’Autorità suggerisce di stabilire, in sede di correzione, che le amministrazioni chiedano un parere all’ANAC in caso di dubbio sulla situazione di incompatibilità, ovvero che l’ANAC, nell’esercizio della sua vigilanza, possa avocare a sé l’accertamento della incompatibilità in caso di inerzia dell’amministrazione e possa, quindi, procedere direttamente a diffidare l’interessato alla scelta tra gli incarichi
incompatibili. In alternativa si potrebbe stabilire che l’accertamento sia competenza esclusiva dell’ANAC.
Quindi, anche la disciplina in materia di incompatibilità andrebbe rivista sotto il profilo sanzionatorio, soprattutto nel caso in cui il potere di accertamento fosse lasciato alle amministrazioni (il problema non si porrebbe se l’accertamento passasse alla esclusiva competenza dell’ANAC). Per l’Autorità, andrebbe previsto un potere di ordine, accompagnato da un potere sostitutivo in caso di inerzia e da un potere
sanzionatorio nei confronti dell’amministrazione rimasta inerte.
La notazione conclusiva della segnalazione è particolarmente interessante e di grande attualità: per l’Autorità, infatti, resta da chiarire il rapporto tra potere di accertamento dell’ANAC e quello del Parlamento, qualora le cause di incompatibilità (e di inconferibilità) riguardino un soggetto chiamato a ricoprire la carica di parlamentare.
3. L’ultimo atto a cui faremo cenno è il breve regolamento che l’Autorità ha approvato per disciplinare le modalità di partecipazione degli amministrati al procedimento che si svolge dinanzi ad essa. Il fine perseguito è quello di migliorare la qualità degli atti regolatori, anche attraverso il ricorso a metodi di consultazione preventiva, consistenti nel dare notizia del progetto di atto e nel consentire agli interessati di far pervenire i propri suggerimenti e le proprie proposte, considerazioni e osservazioni, mediante audizioni, consultazioni online[4], tavoli tecnici.
L’Autorità adotta l’atto di regolazione soltanto dopo aver acquisito tutti gli elementi necessari. Inoltre, l’atto di regolazione, come previsto nel Regolamento per l’analisi di impatto della regolazione, è corredato dalla relazione AIR nella quale vengono descritte le ragioni della scelta di intervento, gli esiti attesi dal provvedimento e le motivazioni per la scelta di determinate soluzioni, indicate nel documento di consultazione o emerse nella fase di consultazione. Tale relazione fornisce in forma sintetica e complessiva una risposta alle osservazioni pertinenti pervenute, in particolare quelle che presentano elementi di difformità con l’atto adottato.
Infine, si prevede che l’atto di regolazione e la relazione AIR siano pubblicati nel sito istituzionale dell’Autorità e, ove previsto e opportuno, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
[1] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 110 del 14 maggio 2015 e consultabile al seguente link: http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?ca=6123.
[2] Pubblicata al seguente link: http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?ca=6160.
[3] Pubblicato al seguente link: http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?id=dc157f7c0a77804250ca6ff961fdb018.
[4] L’art. 4 del regolamento prevede che su espressa indicazione del Consiglio può essere altresì avviata una consultazione finalizzata all’acquisizione, da parte di tutti i soggetti a qualunque titolo interessati, di osservazioni formulate attraverso la compilazione di un modulo appositamente predisposto e disponibile online. Scaduto il termine per la consultazione, le osservazioni e le proposte pervenute sono pubblicate sul sito Internet a cura dell’Ufficio competente. I partecipanti alla consultazione che intendano salvaguardare la riservatezza di dati e informazioni devono farne motivata richiesta, contestualmente alla presentazione delle suddette osservazioni e proposte e separare in apposite appendici le parti riservate, che non saranno pubblicate. Alla luce di questa specifica norma, non è da escludere che lo svolgimento di consultazioni online – al pari di quanto avviene per le altre Autorità Indipendenti – diventi assai frequente nel prossimo futuro.