(Legge 29 luglio 2015, n. 131 in vigore dal 21 agosto 2015)
L'Italia ha finalmente ratificato e reso esecutiva la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate (d'ora innanzi "Convenzione"), adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006 e in vigore sul piano internazionale dal 2010. La Convenzione costituisce il primo trattato universale dedicato a reprimere un fenomeno che, dopo essere venuto tristemente alla ribalta nel periodo delle dittature latino-americane degli anni settanta, è sempre più diffuso nella comunità internazionale contemporanea . Il trend risulta anche dal più recente rapporto elaborato dal Gruppo di lavoro del Consiglio dei diritti umani sulle sparizioni forzate nel 2014.
La Convenzione mira ad approfondire, rafforzare e rendere vincolanti i principi contenuti nella Dichiarazione sulle sparizioni forzate, adottata dall'Assemblea Generale nel 1992. Essa configura la sparizione forzata come un illecito a struttura complessa che si caratterizza per la violazione multipla simultanea dei diritti umani fondamentali, quali il diritto alla vita e all'incolumità personale, il diritto alla libertà e sicurezza personale, il diritto a non subire detenzioni arbitrarie, torture, trattamenti inumani e degradanti, il diritto alla tutela da parte della legge e a non subire discriminazioni, la libertà di espressione, di religione etc. Essa è definita, all'art. 2, come "l'arresto, la detenzione, il rapimento od ogni altra forma di privazione della libertà commessa da agenti dello Stato, da persone o gruppi di persone che agiscono con l'autorizzazione, il sostegno o l'acquiescenza dello Stato".
Secondo la Convenzione, lo Stato é responsabile non soltanto quando pone in essere la condotta criminosa attraverso i propri organi, ma anche quando omette di adottare le misure preventive e repressive adeguate rispetto ai comportamenti posti in essere da privati. Essa, infatti, impone a suo carico sia obblighi negativi, consistenti nell'astenersi dal compiere le violazioni, sia obblighi positivi, consistenti nel garantire l'esistenza di un quadro legislativo che assicuri pienamente la prevenzione e la repressione della pratica delle sparizioni forzate, vieti qualsiasi atto (espulsione, estradizione etc.) che comporti il trasferimento di una persona in uno Stato dove potrebbe subire tali violazioni e garantisca il diritto a conoscere la verità e ad ottenere la riparazione e la protezione per le vittime (sia per le persone scomparse che per i familiari e i soggetti comunque danneggiati).
La seconda parte della Convenzione stabilisce un sistema di controllo incentrato sull'istituzione di un Comitato di esperti che è incaricato di monitorare lo stato di attuazione della Convenzione grazie ai rapporti che ciascuno Stato contraente gli sottopone periodicamente al fine di illustrare le misure di attuazione adottate nell'ordinamento nazionale. Il Comitato risponde formulando osservazioni e, se necessario, raccomandazioni agli Stati.
La Convenzione prevede, agli articoli 31 e 32, due ulteriori meccanismi di controllo facoltativi per gli Stati contraenti, il cui funzionamento dipende dalla presentazione di una dichiarazione di accettazione al momento della ratifica della Convenzione o successivamente. Il primo consiste nell'attribuzione al Comitato del compito di ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da individui vittime delle violazioni o da loro rappresentanti. Il secondo meccanismo è basato sulla competenza del Comitato a ricevere le comunicazioni presentate da uno Stato contraente nei confronti di un altro Stato contraente. In entrambi i casi il Comitato, se accerta le violazioni, può rivolgere allo Stato osservazioni e raccomandazioni, alle quali dovrà essere data adeguata pubblicità, che sono prive di effetto vincolante.
L'art. 42 prevede inoltre che le controversie tra Stati che non siano state regolate da tali procedure o in via negoziale potranno essere sottoposte ad arbitrato su richiesta di una delle parti. Trascorsi sei mesi senza che le parti siano giunte ad un accordo, le controversie potranno essere devolute alla giurisdizione della Corte internazionale di giustizia su ricorso individuale. Questa disposizione è, tuttavia, sottoposta ad un meccanismo di "opting out" in base al quale uno Stato potrà in qualsiasi momento effettuare una dichiarazione che ne escluda l'applicazione nei propri riguardi.
Inoltre qualora il Comitato riceva informazioni rilevanti circa l'esistenza di sparizioni forzate diffuse e sistematiche in uno Stato contraente potrà, dopo aver sentito lo Stato interessato, sottoporre il caso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Nel complesso, la Convenzione stabilisce un quadro normativo particolarmente dettagliato, il quale impone agli Stati obblighi precisi di carattere sia sostanziale, che procedurale. In particolare, l'imposizione di obblighi positivi rappresenta una delle parti essenziali per la realizzazione dell'oggetto e dello scopo del trattato. Per tale motivo, la scelta dell'Italia di provvedere all'attuazione attraverso la mera formulazione dell'ordine di esecuzione é opinabile. La relazione allegata al disegno di legge giustifica questa scelta, facendo riferimento all'esistenza nell'ordinamento giuridico italiano di una serie di fattispecie incriminatrici che, nella sostanza, puniscono comportamenti analoghi alle sparizioni forzate. Il riferimento è agli articoli 605 (sequestro di persona), 606 (arresto illegale), 607 (indebita limitazione della libertà personale) e 608 (abuso di autorità contro arrestati o detenuti) del codice penale.
Tuttavia, ciascuna di queste disposizioni presenta un disvalore inferiore rispetto alla sparizione forzata. Questa ha infatti un contenuto complesso e caratteristiche, effetti e moventi differenti dalle norme del codice penale richiamate. Certamente, anche le fattispecie penali nazionali in questione costituiscono illeciti di notevole gravitá, tuttavia la sparizione forzata sottrae la vittima a qualsiasi garanzia posta dall'ordinamento, facendola sparire non solo dalla realtá sociale ma anche da quella giuridica, minando alla radice i principi fondanti dello stato di diritto e della democrazia. L'attuazione della Convenzione attraverso il mero ordine di esecuzione sembra insufficiente anche rispetto agli obblighi positivi che riguardano la garanzia del principio di non refoulement e la tutela delle vittime, i quali necessitano una disciplina nazionale specifica. Peraltro, la mancata accettazione della competenza del Comitato a ricevere le comunicazioni individuali indebolisce la posizione delle vittime rispetto ad una pratica criminosa che piú di ogni altra si alimenta grazie al senso di impotenza e di prostrazione che viene loro ingenerato.
Vi sono dunque diversi profili che suggeriscono l'opportunitá di una riconsiderazione dell'intervento di attuazione della Convenzione, anche al fine di evitare il rischio che l'Italia risulti responsabile di violazioni sul piano internazionale.