Archivio rubriche 2016

Fascicolo 2/2016

Scheda n. 1 - Statuti e rappresentanza processuale dell’ente.

CASS. CIVILE, sez. trib., 4 maggio 2016, n. 8869

Il ricorso incidentale del Comune di Sulmona viene dichiarato inammissibile per nullità della procura, rilasciata dal Sindaco, nella qualità di legale rappresentante del Comune.

Le Sezioni Unite della Cassazione confermano che "nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale - competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ex art. 6, comma 2) - di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia). Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza (Cass. Sez. U., Sentenza n. 12868 del 16/06/2005).

Nel caso in cui l'ente agisca in giudizio, proponendo appello avverso una sentenza totalmente o parzialmente sfavorevole della commissione tributaria regionale, possono configurarsi due diverse situazioni con riferimento alla mancanza del potere rappresentativo da parte del sindaco allorché non sia previamente autorizzato ad agire in giudizio da parte della Giunta.

Occorre, infatti, verificare se lo statuto comunale - competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, "ex" art. 6, comma 2) - preveda l'autorizzazione della giunta, ovvero una preventiva determinazione del competente dirigente.

Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza (Cass. Sez. U., Sentenza n. 12868 del 16/06/2005). Invece, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco.

Quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Parte II della Costituzione dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001 nonché di quelle introdotte dalla L. n. 131 del 2003 con ripercussioni anche sull'impianto del D.Lgs. n. 267 del 2000, il cui art. 50 indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza dell'ente (ex multis Cass. 21330/06).

Nel caso di specie, l'art. 14 dello statuto del Comune di Sulmona prevede che spetta alla Giunta deliberare... "d) l'autorizzazione ad introdurre o resistere ad un'azione giudiziaria, qualunque sia la magistratura giudicante e il grado di appello".

Viene, quindi demandata alla giunta comunale, mediante apposita autorizzazione la valutazione dell'ente in ordine all'opportunità di agire in giudizio e quindi, di impugnare la sentenza della commissione tributaria provinciale.

In tal caso l'autorizzazione della giunta comunale costituisce atto necessario, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza.

Poiché non emerge dal controricorso tale presupposto legittimante la procura, cioè la relativa delibera autorizzativa della Giunta, la procura deve ritenersi invalida, con conseguente inammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale.

 


Scheda n. 2 - Statuto provinciale e subentro della Città metropolitana.

Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2016, n. 1653 

Il difensore civico della provincia di Napoli, dopo aver impugnato di fronte al Tar Campania il decreto di nomina nella parte in cui stabiliva la gratuità dell’incarico e la durata dell’efficacia fino al 31.12.2014 decideva di proporre appello contra la sentenza di I grado che accoglieva il ricorso limitatamente al riconoscimento del diritto alla corresponsione dell’indennità di carica circoscritta al periodo di efficacia dell’incarico.

Per l’appellante lo statuto della Provincia avrebbe stabilito la durata triennale dell'incarico di difensore civico, e il subentro della Città Metropolitana alla Provincia sarebbe avvenuto senza soluzione di continuità dell'assetto istituzionale e delle funzioni preesistenti sì da doversi ritenere protratto, per il triennio, l'incarico di difensore attribuitogli dalla Provincia.

Il Consiglio di Stato ritiene l’appello infondato. La Città Metropolitana è subentrata alla Provincia assumendo, nell'architettura istituzionale dell'ordinamento nazionale degli enti locali, un rinnovato assetto e ruolo tanto che, ai sensi della l. 7 aprile 2014 n. 56, cessano gli organi di governo della Provincia e con essi quelli di loro diretta emanazione.

In assenza di una disciplina transitoria, va accolto l'indirizzo che attribuisce la piena competenza all'amministrazione subentrante in vista di non precluderle le opzioni di carattere organizzativo-istituzionali ritenute necessarie per perseguire il buon andamento e l'efficacia dell'azione amministrativa, altrimenti impedita o quanto meno ostacolata dalle precedenti nomine.

In caso contrario, ossia accedendo alla tesi del ricorrente, la Città Metropolitana non avrebbe la possibilità d'individuare la figura del difensore civico e di modularne le funzioni, dovendo viceversa valersi del difensore civico nominato dall'ente estinto in forza di disposizioni statutarie non solo non più efficaci ma finanche contrarie al suo assetto istituzionale, non più informato al criterio della rappresentatività diretta che ipso facto giustificava la figura del difensore civico dell'ente (rappresentativo del corpo elettorale) Provincia.

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Scheda n. 3 - Norme statutarie e rispetto numero massimo dei componenti della Giunta.

TAR VENETO, Venezia, 30 marzo 2016, n. 335.

La sentenza accoglie il motivo, di cui al ricorso di un consigliere comunale, con il quale è stata addotta la violazione dell'art. 47, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, atteso che con la nomina ad assessore delle controinteressate la Giunta comunale del Comune di Saonara risultava composta da un numero di assessori (pari a sei) superiore ad un terzo del numero (pari ad undici) dei consiglieri comunali del Comune medesimo, ponendosi così in contrasto con il principio di cui alla citata disposizione normativa a tenore del quale la Giunta comunale deve essere composta "da un numero di assessori, che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tale fine il sindaco".

Il Collegio non condivide la ricostruzione normativa proposta da parte ricorrente secondo cui per effetto dell'abrogazione espressa dell’art. 16, comma 17 lett. c) e d) del d.l. 13.8.2011 n. 138 conv. in l. 14.9. 2011 n. 148, disposta dall'art. 1, comma 135, lett. b) della legge n. 56/2014, si sarebbe creato un vuoto normativo che risulterebbe colmato non già dalla disciplina ordinaria di cui al summenzionato art. 47, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, bensì dalla disciplina transitoria di cui al successivo comma 5 del medesimo art. 47, atteso che quest'ultima disposizione risultava applicabile "fino alla adozione delle norme statutarie di cui al comma 1" ed è dunque venuta definitivamente meno con la disposta modifica dello Statuto del comune resistente avvenuta con deliberazione del Consiglio comunale n. 1 del 21 febbraio 2000.

Conseguentemente, deve essere accolta la domanda di annullamento dell'art. 25 dello Statuto del Comune di Saonara nella parte in cui prevede che "la Giunta comunale è composta dal Sindaco e da un numero di Assessori, fra cui il Vice Sindaco, non inferiore a quattro e non superiore a sei", piuttosto che "da un numero di assessori, che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tal fine il sindaco", come previsto dall'art. 47, comma 1, d. lgs. n. 267/2000.

Non possono, invece, essere accolte le domande con le quali il ricorrente chiede, rispettivamente, l'accertamento dell'obbligo nonché la condanna del Comune resistente a modificare l'art. 25 dello Statuto comunale nel senso sopra descritto, posto che tali domande sono inammissibili nell'ambito del giudizio di legittimità nel quale può solo disporsi, nel rispetto del principio della gerarchia delle fonti, l'annullamento (o la disapplicazione) di una norma statutaria contraria a una disposizione di legge. 

 


Scheda n. 4 - Norme statutarie e rispetto del principio della parità di genere.

TAR VENETO, Venezia, 30 marzo 2016, n. 335. 

Il Tar accoglie il ricorso contro il decreto di nomina della Giunta comunale del Comune di Saonara che risultava composta da quattro assessori di cui uno solo di sesso femminile, ponendosi così in contrasto con quanto stabilito dalla disposizione, applicabile ratione temporis al caso di specie, di cui all'art. 1, comma 137, della legge n. 56/2014, a tenore del quale "nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento con arrotondamento aritmetico".

Infatti, a seguito dell'entrata in vigore del succitato art. 1, comma 137, della legge 7 aprile 2014, n. 56, "tutti gli atti adottati nella vigenza di quest'ultimo trovano in tale norma un ineludibile parametro di legittimità, non essendo ragionevole una sua interpretazione - sottesa alle difese comunali - che leghi la sua concreta vigenza alla data delle elezioni ovvero che condizioni unicamente le nomine assessorili all'indomani delle elezioni", atteso che "una simile interpretazione consentirebbe un facile aggiramento della suddetta prescrizione, nella misura in cui il rispetto della percentuale assicurato dai provvedimenti di nomina immediatamente successivi alle elezioni potrebbe essere posto nel nulla da successivi provvedimenti sindacali di revoca e nomina, atti a sovvertire la suddetta percentuale" (cfr., in detti termini, T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 24 novembre 2015, n. 1145);

Deve, al contrario, essere dichiarata inammissibile la domanda con la quale parte ricorrente chiede che l'annullamento dell'art. 25 dello statuto, nella parte in cui non prevede che nella giunta nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%, in quanto tale domanda comporta l'adozione di una pronuncia con effetti additivi sulla norma statutaria non ammissibile nel giudizio di legittimità, senza considerare, poi, che la disposizione statutaria di cui al citato art. 25 va applicata in coordinazione con la superiore normativa di rango nazionale, stante il carattere meramente neutro di detta disposizione statutaria che nulla dispone in ordine all'equilibrio di genere in questione. 

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Scheda n. 5 - Norme statutarie e rispetto del principio della parità di genere.

TAR BASILICATA, Potenza, 17 giugno 2016, n. 631 

La Costituzione italiana all’art. 3 sancisce il principio di eguaglianza formale e sostanziale con riferimento al sesso e all’art. 51, comma 1, stabilisce che “tutti i cittadini dell’uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, precisando che “a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Tali principi costituzionali sono stati attuati dalla normativa in materia di composizione delle giunte degli enti locali: il D.Lg.vo n. 267/2000 prevede all’art. 6, comma 3 (come modificato dall’art. 1 L. n. 215/2012) che “gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della L. n. 125/1991 e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte” ed all’art. 46, comma 2 (come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b, L. n. 215/2012) che “il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta”.

L’art. 47 dello stesso D.Lg.vo n. 267/2000 specifica al comma 3 che “nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province gli assessori sono nominati dal sindaco o dal presidente della provincia, anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere” ed al comma 4 che “nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti lo statuto può prevedere la nomina ad assessore di cittadini non facenti parte del consiglio ed in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere”.

Pertanto, tenuto conto delle circostanze che ai sensi dell’art. 37, comma 4, D.Lg.vo n. 267/2000 “la popolazione è determinata in base ai risultati dell’ultimo censimento ufficiale” e che in base ai dati dell’ultimo censimento del 2011 il Comune di Policoro ha una popolazione di 17.196 abitanti, nella specie la nomina dei componenti della giunta risulta disciplinata dal comma 3 del predetto art. 47 D.Lg.vo n. 267/2000, che contempla la possibilità di nominare assessori al di fuori dei componenti del consiglio, per cui l’art. 44, comma 3, dello Statuto del Comune di Policoro va interpretato in modo coerente al citato art. 47, comma 3, D.Lg.vo citato.

Tale norma dello Statuto comunale nel primo periodo prevede che “nella composizione dei membri della Giunta è assicurata la pari opportunità tra uomo e donna”, mentre nel secondo periodo specifica che “nel caso in cui il Sindaco non eserciti la facoltà di nominare assessori esterni al Consiglio comunale, nominerà assessori appartenenti ad entrambi i sessi, se presenti nel gruppo consiliare di maggioranza”.

Ma il predetto secondo periodo dell’art. 44, comma 3, dello Statuto comunale, impugnato con il presente ricorso, se interpretato nel senso che il Sindaco di Policoro può restringere la scelta degli assessori tra i consiglieri comunali di maggioranza, non può essere applicato, atteso che contrasta con i suddetti commi 3 e 4 dell’art. 47 D.Lg.vo n. 267/2000, i quali contemplano la possibilità di una norma statutaria di restrizione della scelta degli assessori esclusivamente tra i componenti del consiglio comunale soltanto con riferimento ai Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, mentre, come sopra già evidenziato, il Comune di Policoro ha una popolazione maggiore.

Se la normativa ora ricordata non precisava la percentuale minima del sesso sottorappresentato ed erano sorti contrasti su quale fosse la misura necessaria che garantisse il rispetto dei principi della parità di genere e/o della rappresentanza di genere, l’art. 1, comma 137, L. n. 56/2014 è venuto a stabilire che “nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”.

Quest’ultima norma risulta chiaramente precettiva e si applica sia ai Comuni le cui elezioni sono state indette dopo la sua entrata in vigore, sia a tutte le sostituzioni dei membri delle giunte anche dei Comuni già rinnovati prima dell’entrata in vigore del predetto art. 1, comma 137, L. n. 56/2014.

Comunque, la giurisprudenza (cfr. TAR Catanzaro Sent. n. 1 del 9.1.2015, confermata dalla V Sezione del Consiglio di Stato con la Sentenza n. 406 del 3.2.2016) ha stabilito che “spetta al Sindaco svolgere l’attività volta ad acquisire la disponibilità di soggetti femminili, anche esterni, motivando adeguatamente l’eventuale impossibilità di adeguamento alla legge”, per cui il Sindaco può dimostrare di non essere riuscito ad acquisire la disponibilità allo svolgimento della funzione assessorile da parte di un numero sufficiente di donne pari ad almeno il 40% dei componenti della giunta.

Ma, poiché il Sindaco di Policoro si è limitato genericamente a richiamare “numerose consultazioni di possibili candidate alla carica di Assessore” e ad affermare che “non era stato possibile acquisire la disponibilità di due rappresentanti di sesso femminile ad accettare la nomina di cui si tratta”, risulta fondata la censura relativa al vizio dell’eccesso di potere per motivazione insufficiente in relazione al mancato rispetto del principio di pari opportunità, in quanto, come appena detto, il condivisibile orientamento giurisprudenziale ritiene necessaria un’adeguata motivazione, da cui risultino la concreta attività istruttoria svolta dal Sindaco e/o i contatti con le persone di genere femminile della società civile di Policoro, che si riconoscono nella maggioranza politica di governo comunale, e l’impossibilità della nomina di almeno due assessori donne, pari al 40% dei membri della giunta.

Il Sindaco di Policoro, fermo restando l’obbligo sancito dall’art. 1, comma 137, L. n. 56/2014 di nominare almeno due assessori donne, avrebbe dovuto indicare le ragioni specifiche per le quali tutte le donne indicate dal partito di maggioranza non sono state ritenute disponibili e/o idonee ad assumere l’incarico di assessore e illustrare l’apposita attività istruttoria svolta per dimostrare l’indisponibilità di un esponente di sesso femminile di Policoro della maggioranza di centro-destra, che aveva avanzato la sua candidatura.

Ne consegue l’accoglimento del ricorso e per l’effetto l’annullamento del Decreto Sindacale n. 14 del 30.5.2015 soltanto con riferimento all’eccesso di potere per motivazione insufficiente in relazione al mancato rispetto del principio di pari opportunità. 

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Scheda n. 6 - Fonte regolamentare e principio iura novit curia.

Cass. Civ., sez. trib., 17 giugno 2016, n. 12546; Cass. Civ., sez. trib., 17 giugno 2016, n. 12547. 

Qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l'esame di un regolamento o di una delibera comunale, è necessario - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso - che il testo di detti atti sia interamente trascritto o allegato, non operando, con riguardo alle norme giuridiche secondarie (rispetto alle quali va tenuto distinto il caso delle fonti paraprimarie o subprimarie, quale lo statuto comunale), il principio iura novit curia, e non rientrando, pertanto, la conoscenza dei regolamenti comunali (così come di quelli provinciali) tra i doveri del giudice, che, solo ove disponga di poteri istruttori, può acquisirne diretta conoscenza, indipendentemente dall'attività svolta dalle parti (Cass. 2006/18661; 2009/1893; 2014/1391).

 


Scheda n. 7 - Titolarità del potere regolamentare in ordine alla determinazione delle tariffe.

Cass. Civ., sez. trib., 10 giugno 2016, n. 11959;  Cass. Civ., sez. trib., 10 giugno 2016, n. 11964;

Il Comune di Palermo lamentava la violazione e falsa applicazione della L.R. 26 agosto 1992, n. 7, art. 13 e dell’art. 49 dello Statuto comunale in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il giudice di appello ritenuto erroneamente illegittimo l'esercizio del potere regolamentare da parte della Giunta Comunale in ordine alla determinazione delle tariffe che invece, secondo la CTR, spetterebbe al Consiglio Comunale sulla base dell'art. 49 dello Statuto del Comune di Palermo.

La Corte accoglie il motivo, alla luce della ricostruzione della normativa in materia. Antecedentemente all'entrata in vigore del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 TUEL il potere regolamentare di determinare le tariffe in tema di tassa per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani, nel vigore della L. 8 giugno 1990, n. 142, di riforma del sistema delle autonomie locali, spettava al Consiglio Comunale competente in via esclusiva ad adottare i provvedimenti relativi alla determinazione ed all'adeguamento delle aliquote del tributo. Tuttavia qualora la Delib. della Giunta Comunale in ordine alla tariffazione fosse stata adottata in esecuzione e conformità alla Delib. del Consiglio Comunale doveva ritenersi del tutto legittima, in quanto contenente semplici variazioni tariffarie, in conformità alla L. n. 142 del 1990 e D.Lgs. n. 267 del 2000.

A tal riguardo si era espressa la stessa Corte di Cassazione, sez. 5, Sentenza n. 8336 del 24/04/2015: "In tema di TARSU, nella vigenza della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 32, comma 2, lett. g), la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione di beni e servizi (nella specie, tariffe di diversificazione tra esercizi alberghieri e locali adibiti a uso abitazione) è di competenza della Giunta e non del Consiglio comunale poiché il riferimento letterale alla "disciplina generale delle tariffe" contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole "istituzione e ordinamento" adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla loro determinazione, e, inoltre, i provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell'ente, ma sono funzionali all'individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un'ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria".

La Tarsu richiesta si riferisce all'anno 2008 epoca in cui era già entrato in vigore il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 TUEL il quale ha sancito la competenza del Consiglio Comunale sulla istituzione e ordinamento dei tributi, con espressa esclusione della determinazione delle relative aliquote che in via residuale è stata attribuita alla Giunta comunale, al contrario del previgente L. n. 142 del 1990, art. 32.

In riferimento poi alla specifica situazione della Regione Sicilia, lo Statuto del Comune di Palermo nel disciplinare la ripartizione delle competenze organiche, ha disposto all'art. 49 che "la Giunta Municipale procede a variazione delle tariffe ed aliquote dei tributi entro i limiti indicati dalla legge e dal Consiglio Comunale" e nella fattispecie non risulta censurata l'inosservanza dei limiti indicati dalla legge o dal Consiglio Comunale da parte della Giunta.

 


Scheda n. 8 - Rapporti tra potere regolamentare del Consiglio e di attuazione della Giunta in materia di autorizzazione alla installazione di cartelli pubblicitari.

TAR FRIULI-VENEZIA GIULIA, Trieste, 30 maggio 2016, n. 196.

La ditta ricorrente aveva ottenuto nel maggio del 2011 l’autorizzazione per l’installazione di tre cartelli pubblicitari sulla strada provinciale, muniti di autorizzazione paesaggistica e di nulla osta tecnico. Alla scadenza dell’autorizzazione triennale domandava il rinnovo ma riceveva un preavviso di rigetto, in quanto l’autorizzazione sarebbe stata in contrasto con la deliberazione della giunta comunale n. 78 del 2013 che vieta l’installazione di cartelli pubblicitari sul suolo demaniale. Nonostante le osservazioni proposte al preavviso, l’amministrazione emetteva il provvedimento adducendo ragioni in parte diverse da quelle indicate nel preavviso stesso.

Per il Collegio il diniego di autorizzazione all’installazione di cartelloni pubblicitari, si fonda sulla delibera della giunta comunale n. 78 del 19 giugno 2013 (anch’essa impugnata), che costituisce l’atto presupposto al diniego oggetto di ricorso.

Tale delibera, richiamato il codice della strada e il suo regolamento di esecuzione, richiamato altresì il vigente regolamento comunale del servizio pubbliche affissioni e pubblicità, il regolamento comunale per il controllo estetico delle forme pubblicitarie e ritenuto necessario vietare l’installazione di nuovi mezzi cartelli pubblicitari sul suolo demaniale, dichiara di approvare tra “le linee guida” il divieto di concessione e di installazione di cartelli e mezzi pubblicitari sul suolo demaniale.

Tale delibera giuntale, anche se si autoqualifica come “linee guida”, in realtà modifica in senso restrittivo e generalizzato il regolamento comunale, e il suo contenuto quindi deve essere considerato come avente natura regolamentare, che come tale rientra nella competenza del consiglio comunale sulla base dell’articolo 4 del d.p.r. 380 del 2001 - testo unico in materia edilizia- e non della giunta municipale.

La delibera giuntale va quindi annullata in parte qua e di conseguenza va annullato anche il diniego oggetto di impugnazione.

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Scheda n. 9  - Disciplina degli orari e dei limiti di impatto acustico massimo delle manifestazioni sonore di carattere temporaneo e potestà regolamentare comunale.

TAR ABRUZZO, Pescara, 22 aprile 2016, n. 145

Oggetto del giudizio è l'ordinanza del Sindaco di San Salvo che dettava i livelli sonori massimi e gli orari delle manifestazioni che prevedevano l'uso di apparecchi acustici di intrattenimento.

Il Collegio osserva che, ai sensi dell'articolo 50 comma 7 del d.lgs. n. 267 del 2000, richiamato nel provvedimento impugnato, "Il sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti".

Nel caso di specie, viceversa, il Comune ha adottato un vero e proprio regolamento (di durata indeterminata e a carattere generale e astratto) in materia di disciplina dei limiti di rumorosità e di durata delle manifestazioni che prevedano l'uso di sorgenti sonore e che "si esauriscano in un arco di tempo limitato e/o si svolgano in modo non permanente nello stesso sito", cioè sulla disciplina dei limiti sonori e di durata delle cd. "manifestazioni a carattere temporaneo".

Ai sensi dell'articolo 7, comma 5, della legge regionale n. 23 del 2007, "nell'ambito dei regolamenti previsti all'art. 2, comma 6, i Comuni possono prevedere norme che disciplinano lo svolgimento di attività temporanee sul proprio territorio, tenendo conto dei criteri indicati ai commi 1, 2, 3 e 4 del presente articolo" e ai sensi del richiamato comma 6 dell'articolo 2 "i Comuni, ai sensi dell'art. 6, comma 2, L. 26 ottobre 1995, n. 447, adeguano i regolamenti locali di igiene e sanità, di polizia municipale, edilizio, prevedendo apposite norme di tutela contro l'inquinamento acustico, nel rispetto della normativa statale e regionale vigente".

Pertanto, la disciplina degli orari e dei limiti di impatto acustico massimo delle manifestazioni sonore di carattere temporaneo - che è cosa diversa dalla disciplina degli orari dei pubblici esercizi - può essere solo oggetto di veri e propri regolamenti e infatti deve essere inserita nei "regolamenti locali di igiene e sanità, di polizia municipale, edilizio".

Com’è noto, la competenza generale in materia di regolamenti spetta al Consiglio comunale e non del Sindaco, in virtù dell'articolo 42, comma 1 lett. a) del d.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 5287 del 2014).

Di qui la fondatezza della censura di incompetenza del Sindaco.

Legge 26 ottobre 1995, n. 447, Legge quadro sull'inquinamento acustico

Art. 6. Competenze dei comuni

1. Sono di competenza dei comuni, secondo le leggi statali e regionali e i rispettivi statuti:

a) la classificazione del territorio comunale secondo i criteri previsti dall'articolo 4, comma 1, lettera a);
b) il coordinamento degli strumenti urbanistici già adottati con le determinazioni assunte ai sensi della lettera a);
c) l'adozione dei piani di risanamento di cui all'articolo 7;
d) il controllo, secondo le modalità di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del rispetto della normativa per la tutela dall'inquinamento acustico all'atto del rilascio delle concessioni edilizie relative a nuovi impianti ed infrastrutture adibiti ad attività produttive, sportive e ricreative e a postazioni di servizi commerciali polifunzionali, dei provvedimenti comunali che abilitano alla utilizzazione dei medesimi immobili ed infrastrutture, nonché dei provvedimenti di licenza o di autorizzazione all'esercizio di attività produttive;
e) l'adozione di regolamenti per l'attuazione della disciplina statale e regionale per la tutela dall'inquinamento acustico;
f) la rilevazione e il controllo delle emissioni sonore prodotte dai veicoli, fatte salve le disposizioni contenute nel decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
g) i controlli di cui all'articolo 14, comma 2;
h) l'autorizzazione, anche in deroga ai valori limite di cui all'articolo 2, comma 3, per lo svolgimento di attività temporanee e di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico e per spettacoli a carattere temporaneo ovvero mobile, nel rispetto delle prescrizioni indicate dal comune stesso.

2. Al fine di cui al comma 1, lettera e), i comuni, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, adeguano i regolamenti locali di igiene e sanità o di polizia municipale, prevedendo apposite norme contro l'inquinamento acustico, con particolare riferimento al controllo, al contenimento e all'abbattimento delle emissioni sonore derivanti dalla circolazione degli autoveicoli e dall'esercizio di attività che impiegano sorgenti sonore.

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Scheda n. 10 - Ordinanze contingibili ed urgenti e legittimazione a ricorrere.

TAR Liguria, Genova, 4 aprile 2016, n. 321 

Associazioni che svolgono per statuto attività di utilità sociale in favore degli immigrati e delle persone senza fissa dimora e svantaggiate non sono legittimate ad impugnare l'ordinanza contingibile ed urgente, con la quale il sindaco del comune di Alassio, in considerazione dell'aumento esponenziale della presenza sul territorio comunale di cittadini provenienti da diversi stati africani, asiatici e sudamericani e del fatto che in detti paesi sono ancora presenti numerose malattie contagiose ed infettive (quali T.B.C., scabbia, H.I.V., Ebola), ha fatto divieto, alle persone senza fissa dimora provenienti da dette aree geografiche, di insediarsi anche occasionalmente nel territorio comunale, se non in possesso di regolare certificato sanitario attestante la negatività da malattie infettive e trasmissibili.

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Scheda n. 11 - Potere di ordinanza e comunicazione dell’avvio del procedimento.

TAR SARDEGNA, Cagliari, 15 marzo 2016, n. 253 

Il Tribunale rileva che non sussisteva una immediata urgenza, nell'adozione del provvedimento sindacale che ingiungeva al Consorzio per la Zona Industriale di Interesse Regionale di Iglesias di provvedere, entro 30 gg., alle “operazioni amministrative necessarie” per la rimozione e lo smaltimento di rifiuti speciali e pericolosi abbandonati nell’area industriale di pertinenza del medesimo Consorzio., tale da impedire il coinvolgimento endoprocedimentale del Consorzio destinatario del provvedimento.

Dall'ordinanza, non si evince l'elemento rappresentativo di una peculiare pericolosità della discarica (compiuta da ignoti). La descrizione compiuta nel provvedimento in ordine alla tipologia dei rifiuti speciali e pericolosi riscontrati, scaricati da terzi nelle aree del Consorzio, è stata effettuata in forma meramente illustrativa, senza che venissero posti in evidenza elementi di eccezionale gravità, in atto, tali da imporre e consentire l'emanazione di un provvedimento straordinario, contingibile ed urgente. E senza previo contraddittorio con il proprietario delle aree che ha “subìto” la condotta e che non ha concorso in alcun modo al deposito/abbandono dei rifiuti.

Il contraddittorio, da costituirsi con previa adozione dell'avviso di avvio del procedimento, sarebbe stato necessario per attivare il procedimento di imposizione della rimozione e smaltimento. E ciò, soprattutto, al fine di ottenere elementi istruttori finalizzati a verificare la sussistenza di una posizione soggettiva di "colpa" del Consorzio, da individuarsi in termini di effettiva mancata diligenza nella gestione e custodia delle proprietà.

La giurisprudenza in questa specifica fattispecie riconosce l'applicabilità dell'art. 7 L. 241/1990, anche in considerazione del fatto che debbono essere svolti, "in contraddittorio", gli accertamenti in ordine alla responsabilità.

Si richiamano:

- Consiglio Stato, sez. V, 25 giugno 2010, n. 4073: "ai sensi dell'art. 192, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 l'obbligo di procedere alla rimozione dei rifiuti può gravare, in solido con il responsabile, anche a carico del proprietario del sito e del titolare di diritti reali o personali di godimento relativi ad esso, ma solo se tale violazione sia anche a loro imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai preposti al controllo";

- T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 31 gennaio 2008, n. 64: "l'ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 14, d.lg. n. 22 del 1997 deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio ai soggetti interessati, stante la rilevanza dell'eventuale apporto procedimentale che tali soggetti possono fornire, quanto meno in riferimento all'accertamento delle effettive responsabilità per l'abusivo deposito di rifiuti. In tali casi, l'esigenza di un effettivo contraddittorio tra Amministrazione procedente e tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto, è espressamente prevista dall'art. 192 comma 3, d.lg. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente), laddove si prescrive che i controlli svolti dall'Amministrazione riguardo all'abbandono di rifiuti sul terreno debbano essere effettuati in contraddittorio con i privati interessati."

Il necessario contraddittorio (ante emanazione del provvedimento finale) risulta, in questo caso, del tutto omesso.

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Scheda n. 12 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR LAZIO, Latina, 27 aprile 2016, n. 279

La S.p.A., cui è affidata la gestione del servizio idrico, impugnava l’ordinanza del Sindaco di Strangolagalli n. 1 del 3 febbraio 2016, che aveva inibito alla medesima di procedere, su tutto il territorio comunale, al distacco dei contatori idrici ed alla sospensione dell’erogazione dell’acqua potabile ai nuclei familiari morosi, e le aveva altresì ingiunto di assicurare ad ogni individuo l’uso di almeno 50 litri pro capite giornalieri, nonché di ripristinare con effetto immediato il flusso idrico interrotto.

Il TAR accoglie il ricorso, ritenendo fondate sia la doglianza di carenza dei presupposti per l’esercizio del potere sindacale di ordinanza previsto dagli artt. 50 e 54 T.U.E.L, sia quelle di sviamento di potere e violazione del principio di proporzionalità. Ad avviso del giudice amministrativo, siffatte doglianze sono meritevoli di condivisioni atteso che: a) non è dimostrato che nella fattispecie esista una situazione di attuale pericolo per la salute e l’igiene pubblica, né che detto pericolo, ove esistente, non sia fronteggiabile con gli strumenti ordinari previsti dall’ordinamento (quali, per es., forme di sostegno a favore degli utenti morosi che versino in stato di bisogno economico); b) l’ordinanza effettivamente si risolve in un’alterazione del rapporto contrattuale tra gestore del servizio idrico integrato e singoli utenti, dato che al primo viene inibito in via generale e senza limiti di tempo il ricorso al principale strumento di reazione agli inadempimenti dei secondi.

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Scheda n. 13

Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR SICILIA, Palermo, 15 aprile 2016, n. 961.

L’ordinanza dal Sindaco di Montevago, che vieta al gestore l'interruzione della fornitura idrica nei confronti di utenti morosi, non è in linea con il parametro normativo di riferimento (art. 54 d. lgs. n. 267 del 2000) che regola l'esercizio dei poteri di contingibilità ed urgenza da parte dell'ufficiale di governo.

Sul punto vengono reiterate le considerazioni già svolte dallo stesso Tribunale con le sentenze rese dalla Sez. III n. 290 del 2013 e n. 860/2014.

Con dette pronunce è stato affermato che decisione del Sindaco di vietare al gestore l'interruzione della fornitura idrica nei confronti di utenti morosi, lungi dal muovere dalla sussistenza di asserite ragioni di ordine pubblico ed igienico-sanitarie, tali da giustificare l'adozione di un provvedimento extra ordinem ai sensi del combinato disposto degli artt. 50 e 54 cod. proc. amm., in realtà substanzia evidenti profili di sviamento del potere e di violazione della normativa di legge laddove il Comune, estraneo al rapporto contrattuale gestore-utente, mira in concreto ad impedire al gestore medesimo di azionare i rimedi di legge tesi ad interrompere la somministrazione di acqua nei confronti di utenti non in regola col pagamento della prevista tariffa.

Ove a tutto concedere - ma così non è nel caso di specie - la dinamica dei rapporti tra il soggetto gestore ed il Comune di Montevago avesse giustificato un siffatto provvedimento inibitorio, è del tutto evidente che lo strumento amministrativo da utilizzarsi non sarebbe stato comunque legittimamente rinvenibile nell'ordinanza ex artt. 50 e 54 d. lgs. n. 267 del 2000 che, in difetto dei presupposti di contingibilità (ossia di accidentalità, eccezionalità ed imprevedibilità, essendo incerto il verificarsi di un evento sia nell'an che nel quando) ed urgenza oggettiva, risulta essere del tutto sproporzionato rispetto al risultato da raggiungere.

Va, infatti, ricordato che per consolidato orientamento della giurisprudenza (Cons. St., V, 11 dicembre 2007, n. 6366; 8 maggio 2007, n. 2109), presupposti imprescindibili per l'esercizio del potere sindacale di adottare ordinanze contingibili ed urgenti, ai sensi degli articoli 50 e 54 del d. lgs. n. 267/2000, sono la contingibilità e l'urgenza, id est la sussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, da esternare con congrua motivazione; pericolo caratterizzato dall'estremo dell'eccezionalità, tale da rendere indispensabile interventi immediati ed indilazionabili, consistenti nell'imposizione di obblighi di fare o di non fare a carico del privato (ex multis Consiglio di Stato, V, 16 febbraio 2010 , n. 868; T.A.R. Lombardia, Milano, III, 6 aprile 2010, n. 981; T.A.R. Toscana, II, 5 gennaio 2010, n. 4; T.A.R. Veneto, III, 4 agosto 2009, n. 2280).

Peraltro, nessun dubbio può in tal senso sorgere circa il quadro normativo che disciplina l'esercizio dei poteri di urgenza da parte dei Sindaci dei comuni della Regione Siciliana il cui Statuto, di matrice costituzionale, attribuisce legislazione esclusiva in materia di enti locali: anche in ambito regionale i poteri d'urgenza sono regolati direttamente dall'art. 54 del d. lgs. n. 267 del 2000. Detta disposizione va applicata, ancorché in difetto di apposito richiamo del legislatore regionale, considerato che essa disciplina i cd. servizi statali (cfr. anche l'art. 14 del medesimo d. lgs. n. 267 del 2000), rispetto ai quali la potestà legislativa della Regione Siciliana risulta essere recessiva.

Va sottolineato che, nel caso, le asserite problematiche di ordine pubblico prospettate dal Comune non risultano affatto comprovate agli atti del giudizio, né documentalmente supportate ad esempio da atti prefettizi o della Questura.

Il Collegio evidenzia, infine, che nelle more del giudizio il legislatore regionale è intervento in materia di "Disciplina delle risorse idriche" con la legge regionale 11 agosto 2015, n. 19. Nel contesto di tale legge, con l'art. 10 è stato individuato il quantitativo minimo vitale d'acqua (pari a 50 litri giornalieri per persona) la cui erogazione "non può essere sospesa neppure in caso di morosità, per i soggetti di cui all'articolo 4, comma 12". A sua volta, il comma 12 dell'art. 4 l.r. 19/2015 così dispone: "Nelle convenzioni di affidamento del servizio idrico integrato è previsto un Fondo di solidarietà a sostegno dei soggetti meno abbienti utilizzato, secondo modalità definite dalle Assemblee territoriali idriche, esclusivamente per il pagamento delle bollette afferenti al servizio idrico integrato. I beneficiari del suddetto Fondo sono individuati sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e di altri indicatori reddituali, quali attestazioni che certifichino la condizione di indigenza, di disoccupazione ovvero di mancata percezione di reddito. Il Fondo è alimentato, per il primo anno, attraverso le risorse derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato. Decorso il primo anno dalla sua istituzione, il Fondo è alimentato mediante un accantonamento a carico del gestore, nella misura pari allo 0,2 per cento del fatturato complessivo annuo. Con decreto dell'Assessore regionale per l'energia ed i servizi di pubblica utilità, sentito l'Assessore regionale per la famiglia, le politiche sociali ed il lavoro, sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma".

La sopravvenuta novella normativa corrobora l'insussistenza, nel caso in esame, dei presupposti per l'emanazione dell'impugnato provvedimento extra ordinem da parte del Sindaco.

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Scheda n. 14 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR LAZIO, Roma, 5 luglio 2016, n. 7685

Il TAR annulla l’ordinanza contingibile e urgente in materia sanitaria emessa in data 8.10.2015, con cui il Sindaco del Comune di Borgorose ha ordinato di provvedere all’allontanamento degli animali (sette galline) nonché alla pulizia dell’immobile di proprietà della ricorrente ove le stesse vengono detenute in frazione Corvaro Via del Fosso.

Nella motivazione il giudicante ricostruisce sinteticamente il quadro normativo e giurisprudenziale:

- l’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede che “il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana….”;

- secondo l’orientamento pressoché unanime della giurisprudenza in materia, la norma in argomento attribuisce al Sindaco un potere extra ordinem, atto a legittimare l’adozione di provvedimenti anche atipici in ragione dell’esigenza di fronteggiare “situazioni di carattere eccezionale ed imprevedibile” costituenti minaccia per la pubblica incolumità e per le quali non sia possibile utilizzare gli ordinari strumenti approntati dall’ordinamento (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. III, 29 maggio 2015, n. 2697; TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 5 aprile 2016, n. 429; TAR Lazio, Roma, Sez. II ter, 26 maggio 2015, n. 7473), la cui sussistenza deve essere – in ogni caso – suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione (C.d.S., Sez. III, 29 ottobre 2015, n. 2697).

Dalle stesse premesse del provvedimento impugnato, risulta – chiaramente – che in riferimento alla sua adozione non è stata compiuta una adeguata e compiuta istruttoria e che la motivazione fornita dall’Amministrazione non appare sufficiente.

Pare, infatti, singolare (e sicuramente censurabile) che il Comune agisca – nel caso di specie – con lo strumento dell’ordinanza contingibile ed urgente, trascurando di prendere in debita considerazione la possibilità di emanare altri provvedimenti per ordinare alla ricorrente, soltanto, il mantenimento della pulizia dei luoghi, al fine di ricondurre (eventualmente entro limiti più accettabili) l’attività svolta all’interno della proprietà privata.

Ad avviso del Collegio, un provvedimento così afflittivo, come quello ora emesso dal Comune nei confronti della ricorrente, che trae origine – soltanto - dal fatto che “sono pervenute segnalazioni continue”, avrebbe richiesto, infatti, una più attenta e ponderata istruttoria, che, nella fattispecie, è però mancata.

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Scheda n. 15 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR LAZIO, Roma, 28 giugno 2016, n. 7473

Il TAR respinge il ricorso presentato avverso l’ordinanza n. 204 del 10 agosto 2012 del Sindaco di Roma Capitale, che ha dichiarato inabitabile l’ex struttura alberghiera “Kursaal 2000 S.r.l.”, sita ad Ostia Lido e, conseguentemente, ha ordinato che le persone e i nuclei familiari che ivi alloggiano lascino i locali della struttura liberi da persone e cose entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto.

Il Sindaco ha adottato l’impugnata ordinanza ai sensi dell’art. 50 d.lgs. n. 267 del 2000, considerata l’esigenza di intervenire a tutela della salute e della sicurezza degli occupanti.

La motivazione del provvedimento è esaustiva e fa riferimento ad una ampia documentazione (risultanze del sopralluogo ispettivo effettuato dall’Azienda USL Roma/D congiuntamente a personale della U.O. XIII Polizia Roma Capitale acquisite in data 20 marzo 2012, da cui è emerso che la struttura è interessata da inconvenienti igienico/sanitario/strutturali e manutentivi che determinano condizione di pericolo per la salute e l’incolumità degli adulti e dei minori che vi alloggiano; sopralluogo ispettivo eseguito in data 14 giugno 2012 dal Comando Provinciale Vigili del Fuoco; nota del 14 giugno 2012 da cui risulta che lo stesso Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, considerate le sfavorevoli condizioni strutturali e di sicurezza emerse nel corso del sopraccitato sopralluogo ispettivo, ha ritenuto di interdire l’utilizzo dell’intero edificio e delle zone esterne; nota del 10 luglio 2012 con cui l’Azienda USL Roma/D ha confermato la richiesta di emanazione di ordinanza sindacale di sgombero della struttura in considerazione del degrado, del rischio igienico-sanitario e di sicurezza cui vanno incontro gli occupanti della struttura….).

L’ordinanza contingibile ed urgente è stata quindi adottata sulla base di una situazione di oggettiva gravità e di pericolo imminente per la salute e la sicurezza degli occupanti, ampiamente documentata, sicché sussistono i presupposti della contingibilità ed urgenza per la legittima adozione dell’ordinanza sindacale di cui all’art. 50 d.lgs. n. 267 del 2000.

Inoltre la misura adottata, in ragione dei presupposti evidenziati, si presenta proporzionata e la sua durata è legata ontologicamente alla persistenza dell’emergenza sanitaria e di pubblica sicurezza da arginare. 

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Scheda n. 16 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR LAZIO, Roma, 27 maggio 2016, n. 6208.

Si contestava l’ordinanza contingibile ed urgente adottata dal commissario straordinario di Roma che vietava lo svolgimento, fino al 30 giugno 2016, nelle vie e piazze indicate, di "qualunque attività assimilabile al trasporto pubblico collettivo o individuale di persone, con velocipedi a tre o più ruote anche a pedalata assistita dotati di un motore ausiliario elettrica". Il Commissario dava ampiamente conto delle motivazioni che lo avevano condotto a siffatta decisione.

Il Tar ricorda innanzitutto che secondo la consolidata interpretazione del giudice amministrativo "l'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile" (Cons. St., sez. III, sentenza n. 2697 del 29.5.2015).

Essa costituisce quindi il rimedio approntato dall'ordinamento per far fronte a situazioni di emergenza ed urgenza impreviste, ed è espressione di un potere extra ordinem, derogatorio e dal contenuto libero, salvo il rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico.

In tale prospettiva, è stata ad esempio ritenuta illegittima un'ordinanza non già diretta a fronteggiare un'emergenza, bensì ad imporre l'esecuzione di obblighi ulteriori rispetto a quelli derivanti dalle prescrizioni già dettate dall'Autorità competente (TAR Lecce, sez. I^, sentenza n. 1550 del 19.9.2012).

Deve essere altresì ricordato che "In base agli artt. 23 e 97 Cost. gli atti amministrativi che incidono sulla libertà dei consociati, imponendo ad essi obblighi e divieti, debbono ordinariamente avere base legislativa, la quale indichi in maniera puntuale il presupposto fattuale cui è subordinato l'esercizio del potere e predefinisca le misure (e quindi il contenuto) che il provvedimento può assumere per fronteggiare la situazione creatasi. Solo nei casi di urgenza e contingibilità è consentito l'esercizio di potere solo finalisticamente orientato, attraverso l'emanazione di provvedimenti il cui contenuto non è predefinito dalla legge" (TAR Milano, sez. III, sentenza n. 2308 del 13.9.2012).

Le ordinanze extra ordinem non hanno carattere di fonti primarie, attesa la loro efficacia meramente derogatoria, e non innovativa, dell'ordinamento giuridico.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 115 del 2011, ha ribadito che "che deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se "temporalmente delimitate" (ex plurimis, sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della "concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare" (sentenza n. 4 del 1977).

Nel dichiarare costituzionalmente illegittima l'originaria formulazione della disposizione introdotta dal d.l. n. 92/2008, ha poi rilevato che "la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti - pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti - viola la riserva di legge relativa, di cui all'art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge".

La riforma di cui del d.l. 92/08 convertito in legge 125/08 ha esteso il potere sindacale di adottare ordinanze contingibili e urgenti, in precedenza circoscritto dall'art. 54 del TUEL all'"incolumità pubblica", anche alla "sicurezza urbana" definita dal decreto del Ministero dell'interno in data 5 agosto 2008 come "bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale" (art. 1).

La Corte Costituzionale, in sede di conflitto di attribuzioni, ha inteso tale definizione come da riferire esclusivamente alla tutela della sicurezza pubblica ed in funzione delle relative attività di prevenzione e repressione dei reati (Corte Costituzionale, 1° luglio 2009, n. 196).

Secondo il Consiglio di Stato "il potere in questione può essere legittimamente esercitato, quale immanente prerogativa sindacale di provvedere in via d'urgenza e contingibile alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, nonché quando la violazione delle norme che tutelano i beni previsti dal DM del 5 agosto 2008 (situazioni di degrado o isolamento, tutela del patrimonio pubblico e della sua fruibilità, incuria ed occupazione abusiva di immobili, intralcio alla viabilità o alterazione del decoro urbano) non assuma rilevanza solo in sé stessa (poiché in tal caso soccorrono gli strumenti ordinari) ma qualora possa costituire la premessa per l'insorgere di fenomeni di criminalità suscettibili di minare la sicurezza pubblica, dato che, in tal caso, vengono in rilievo interessi che vanno oltre le normali competenze di polizia amministrativa locale.

Soltanto nelle illustrate ipotesi il Sindaco dunque, in qualità di ufficiale di governo, assume il ruolo di garante della sicurezza pubblica e può provvedere, sotto il controllo prefettizio ed in conformità delle direttive del Ministero dell'interno, alle misure necessarie a prevenire o eliminare i gravi pericoli che la possano minacciare" (Cons. St., sentenza n. 5276 del 31.10.2013).

Il Tar ricorda infine che, nel vigore del codice del processo amministrativo, lo scrutinio delle ordinanze contingibili e urgenti è soggetto al solo sindacato di legittimità, in quanto esse non figurano tra le materie attribuite alla giurisdizione di merito dall'art. 134 del suddetto codice.

In precedenza, invece, come noto in virtù del combinato disposto dell'art. 7, l. Tar (l. 6 dicembre 1971 n. 1034); degli art. 27 e 29 n. 2 5 e 8, t.u. Cons. St. (r.d. 26 giugno 1924 n. 1054) e dell'art. 1 r.d. 26 giugno 1924 n. 1058) la giurisdizione del giudice amministrativo risultava estesa anche al merito di siffatte ordinanze, le quali quindi potevano essere sindacate con riguardo non solo a tutti i profili di legittimità, ma pure a quelli di convenienza, opportunità ed equità delle determinazioni adottate (Cons. St., sez. V, sentenza n. 220 del 19.2.1996).

Passando quindi ad esaminare nello specifico l’atto impugnato il giudice rileva che, tra le plurime motivazioni che sorreggono l'ordinanza impugnata, non appaiono condivisibili quelle che alludono ad una necessità di "aggiornamento dell'apparato legislativo di settore", necessario al fine di "ricondurre l'attività in parola in un alveo normativo che consenta di fornire all'utenza le necessarie garanzie in riferimento alla sicurezza della circolazione stradale e alle amministrazioni locali un'adeguata sorveglianza in relazione alla sicurezza, al decoro urbano e alle relazioni commerciali".

Esse tendono infatti a configurare l'intervento del commissario non già come finalizzato a superare una situazione di emergenza, bensì come una sorta di rimedio alla supposta inadeguatezza della legislazione vigente. Tale finalità, come già in precedenza evidenziato, non risulta conforme al paradigma legislativo del potere di ordinanza.

Agli atti di causa, non vi è poi evidenza del fatto che l'amministrazione capitolina abbia realmente posto in essere tutte le possibili "misure organizzative necessarie per eliminare le conseguenze degli effetti degenerativi" del repentino sviluppo dell'attività in esame, non risultando che sia stata mai adottata alcuna iniziativa di carattere regolamentare volta a disciplinarla.

Pertanto, ammesso che siano auspicabili interventi del legislatore statale (per quanto riguarda il miglioramento della normativa tecnica), ovvero regionale (per quanto riguarda l'accesso alla professione), la carente regolamentazione del settore è in definitiva allo stato imputabile alla stessa amministrazione capitolina.

Al riguardo, va evidenziato che essa dispone non solo delle competenze relative alla disciplina dei servizi di noleggio con conducente ma bensì anche dei più generali poteri di regolamentazione in materia di circolazione nei centri abitati, previsti dall'art. 7 del d.lgs. n. 285 del 1992, nonché, infine, delle competenze proprie della polizia amministrativa e locale (cfr. l'art. 14, comma 27, lett. i) del d.l. n. 78/2010, come sostituito dall'art. 19, comma 1, lett. a), d.l.. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, secondo cui "Ferme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, sono funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: [...]i) polizia municipale e polizia amministrativa locale [...]".

La stessa difesa capitolina ha ricordato che, ai sensi dell'art. 34 del Regolamento di polizia urbana del Comune di Roma "Nessuno può esercitare un commercio, una industria, una professione o mestiere ambulante, sul suolo o spazio pubblico [...] senza preventiva autorizzazione del Comune, salvi gli eventuali atti di competenza di altra autorità".

Il Collegio deve quindi rilevare che all'attuale situazione si è probabilmente giunti proprio per il mancato tempestivo esercizio delle competenze ordinarie, tipizzate dall'ordinamento.

Ciò nonostante, quali che siano le ragioni della repentina espansione del fenomeno in esame, la difesa capitolina ha documentato che, alla vigilia del Giubileo, risultava una cospicua attività sanzionatoria da parte della Polizia locale nei confronti dei conducenti di risciò (relativa, per quanto è possibile verificare, sia a violazioni del codice della strada che alla mancanza di qualsivoglia autorizzazione) al punto da indurre il Comandante della Polizia di Roma Capitale a lamentare, già in data 15.12.2014, l'accresciuta difficoltà di "fronteggiare il fenomeno con una puntuale azione di controllo".

Risulta anche - come affermato nell'ordinanza impugnata - l'esistenza di almeno due informative all'Autorità giudiziaria, scaturite proprio da tale attività di controllo, riguardanti anche reati di tipo associativo collegati alla "diffusione del fenomeno dei risciò nel centro storico della Capitale". L'esatta consistenza del fenomeno, attraverso la documentazione prodotta, non risulta comunque agevolmente apprezzabile.

Considerato che, venuto meno il sindacato di merito, il Collegio è chiamato esclusivamente a verificare la sussistenza di profili di manifesta irragionevolezza delle determinazioni che, da tale elementi istruttori, ha tratto il Commissario straordinario.

Essi non appaiono tuttavia ravvisabili.

Le risultanze dell'istruttoria devono infatti essere poste in correlazione con l'esigenza di "prevenire" i pericoli paventati dal Commissario in un contesto ex se caratterizzato da condizioni di eccezionalità per effetto dell'imminente avvio dell'anno giubilare.

Al riguardo, non può allora revocarsi in dubbio che, a circa un mese da tale evento (il provvedimento è del 25 novembre 2015) non vi fosse ormai più il tempo per elaborare una compiuta ed efficace regolamentazione del settore.

Va tuttavia rimarcato che un intervento "extra ordinem" nella materia risulta ammissibile soltanto nelle more dell'adozione della definitiva regolamentazione del settore, e, comunque, esclusivamente nella misura in cui le condizioni che ne hanno determinato l'adozione siano tuttora sussistenti.

Si è infatti ricordato che, secondo l'orientamento costantemente ribadito dalla Corte Costituzionale, deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se "temporalmente delimitate" e comunque nei limiti della "concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare".

In tale ottica, deve essere quindi valutata positivamente la limitazione temporale dell'efficacia dell'ordinanza, in quanto essa consente, da un lato, di contenere il sacrificio imposto agli operatori economici e, dall'altro, di verificare se le condizioni di eccezionale afflusso turistico, paventate all'inizio dell'anno, si siano poi effettivamente concretizzate.

Relativamente, infine, all'ambito di applicazione dell'ordinanza, essa non appare nemmeno affetta da un evidente difetto di proporzionalità ove si consideri che, nel vietare l'attività dei risciò soltanto in alcune vie e piazze del Centro Storico, implicitamente la consente nel resto del territorio capitolino, costituendo quindi sostanzialmente un primo nucleo di quella regolamentazione che, come in precedenza evidenziato, l'amministrazione è tenuta tempestivamente ad adottare nel quadro delle proprie competenze ordinarie.

In virtù di quanto precede il ricorso viene rigettato.

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Scheda n. 17 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR CALABRIA, Reggio Calabria, 8 aprile 2016, n. 383. 

La società ricorrente lamenta che il Sindaco non avrebbe potuto fare ricorso allo strumento dell'ordinanza contigibile ed urgente poiché non ricorrevano, nel caso di specie, i presupposti del grave pregiudizio per la salute pubblica o per la pubblica incolumità.

Il Collegio non condivide tale prospettazione.

La situazione di "grave degrado ambientale" e la circostanza che la discarica sia collocata in prossimità di pozzi che costituiscono fonte di distribuzione dell'acqua anche per uso domestico giustificano il ricorso alla ordinanza contingibile ed urgente poiché il pericolo di lesione ad un bene primario, quale la salute pubblica, impone alla amministrazione di adottare i rimedi che con maggiore celerità consentano di arginare il pericolo e di garantire il ripristino di condizioni di normalità.

La materia, dunque, rientra tra quelle di "igiene pubblica" per la quale l'art. 50 del TUEL prevede la competenza del Sindaco ad adottare provvedimenti d'urgenza

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Scheda n. 18 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR LAZIO, Roma, 7 aprile 2016, n. 4191

I presupposti oggettivi per l'adozione dei provvedimenti extra ordinem sono tre: urgenza, contingibilità e temporaneità.

La prima concerne l'indifferibilità dell'atto dovuta alla situazione di pericolo inevitabile che minaccia gli interessi pubblici. La dottrina ritiene che l'urgenza si risolve nello stato di necessità cui inerisce un bisogno da soddisfare in via immediata.

La contingibilità si configura come straordinarietà, accidentalità e imprevedibilità. In giurisprudenza, specie del Consiglio di Stato, sussistono due diversi orientamenti sulla nozione.

Per un primo orientamento il provvedimento contingibile è quello volto a regolare una situazione nuova e imprevedibile; il secondo orientamento, invece, non attribuisce importanza alla circostanza che la situazione di fatto per cui si provvede esista da tempo in quanto il ritardo può maggiormente accentuare l'urgenza.

Questa seconda tesi (che il Collegio preferisce) ritiene impossibile discriminare tra una situazione di urgenza che consista in una situazione preesistente e un'altra che si configuri come evento nuovo e imprevedibile. Al riguardo, infatti, nell'ottica di protezione degli interessi pubblici, il fatto che non si sia ancora provveduto non vuol dire necessariamente che l'urgenza non ci sia, ma piuttosto che si doveva provvedere prima o che la situazione pericolosa si è aggravata.

È stato affermato che il presupposto per l'adozione dell'ordinanza contingibile e urgente è la sussistenza e l'attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l'incolumità pubblica, l'ordine pubblico e l'igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo (cfr. Cons. Stato Sez. V sent. n. 4968 del 19 settembre 2012; idem Cons. Stato Sez. VI, sent. n. 3007 del 31 maggio 2013).

La giurisprudenza amministrativa, in altre occasioni, ha chiarito che il presupposto del pericolo di un danno grave ed imminente per l'incolumità pubblica non ricorre quando a fronteggiare la paventata situazione la PA abbia già provveduto con mezzi propri che, per la loro idoneità a evitare il danno temuto, rendano non più urgenti e indilazionabili ulteriori interventi a carico del privato.

Infine, la temporaneità attiene agli effetti del provvedimento. Tuttavia, l'inefficacia non opera ipso jure essendo la relativa valutazione della cessazione dello stato di necessità rimessa all'apprezzamento discrezionale della PA.

Secondo l'insegnamento del Consiglio di Stato "l'adozione da parte del Sindaco di ordinanze contingibili e urgenti deve trovare motivata e proporzionata giustificazione rispetto alla situazione che si intende fronteggiare da un lato, nell'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (urgenza); dall'altro lato, nell'impossibilità di provvedere con gli ordinari mezzi offerti dalla legislazione (contingibilità); si tratta, a ben vedere, di atti connotati da un elevato grado di specificità e dal contenuto non predeterminabile proprio in quanto sintomatici di una realtà imprevedibile e verosimilmente temporanea, con la conseguenza che ciascuna ordinanza è caratterizzata dagli specifici motivi che la sostengono e va interpretata nei limiti delle motivazioni espressamente addotte senza poter da essa desumere ulteriori e diverse implicazioni, in relazione alla specificità e alla straordinarietà dello strumento utilizzato, connotato dalla urgenza e quindi presumibilmente adottabile anche in mancanza di una adeguata istruttoria" (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 01 aprile 2015, n. 1727).

Con particolare riferimento al caso di specie gli assunti relativi alla mancanza di operato collegamento giuridico e materiale tra la concessionaria ed il campo oggetto del provvedimento impugnato, che almeno nell'ordinanza n. 275/2015 (tardivamente impugnata), tale collegamento era stato ben individuato dal Comune, con l'ordine alla ricorrente di mantenere le aree, i parcheggi ecc, ed intraprendere ogni idonea azione per la vigilanza e il rispetto del regolamento impianti sportivi.

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Scheda n. 19 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR PIEMONTE, Torino, 5 aprile 2016, n. 429. 

L'associazione ricorrente contestava una ordinanza contingibile e urgente con la quale il Comune di San Salvatore Monferrato ha "dichiarato l'emergenza nutrie sul territorio comunale" e ha dettato modalità generali (concernenti le modalità di abbattimento, i soggetti autorizzati a effettuarlo, lo smaltimento delle carcasse, la vigilanza) per contenere la popolazione delle nutrie, ritenuta dannosa per l'ambiente e le coltivazioni.

La ricorrente lamentava l’insussistenza dei presupposti di imprevedibilità e urgenza, nonché di rischi per salute e sicurezza pubblica tali da giustificare l'adozione di un provvedimento extra ordinem.

La recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cds, sez. V, n. 1189/2016), sottolinea il giudicante, ha ribadito che atti quali quelli impugnati presuppongono "grave pericolo che minaccia l'incolumità dei cittadini (art. 54, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000), solo in ragione della quale si giustifica l'eccezionale deroga al principio di tipicità degli atti amministrativi e alla disciplina vigente attuata mediante l'utilizzazione di provvedimenti extra ordinem (sulla necessità che il presupposto delle ordinanze contingibili e urgenti - mezzo per far fronte a situazioni di carattere eccezionale e impreviste costituenti minaccia per la pubblica incolumità e per le quali sia impossibile utilizzare gli ordinari mezzi approntati dall'ordinamento - sia suffragato da istruttoria e motivazione adeguate la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante; da ultimo: Cons. Stato, III, 29 maggio 2015, n. 2697; V, 23 settembre 2015, n. 4466, 2 marzo 2015, n. 988, 25 maggio 2012, n. 3077, 20 febbraio 2012, n. 904; VI, 5 settembre 2005, n. 4525)".

Ad avviso del giudice, il provvedimento impugnato rappresenta una problematica di carattere generale, parzialmente indotta dalla circostanza che le nutrie sono state escluse dalla fauna selvatica come disciplinata dalla l. n. 157/92, con la conseguenza che, a normativa vigente, non se ne possono più attuare piani di controllo né sono indennizzabili i connessi danni alle colture; il provvedimento non evidenzia alcuna specifica condizione che interessa il territorio comunale, non dà atto di concreti dati di popolazione nell'area di questi animali, non individua un fenomeno di carattere estemporaneo o imprevedibile o ancora eccezionale rispetto a generali esigenze di controllo di una certa tipologia di fauna selvatica; si aggiunga a ciò che il provvedimento, non ancorato ad eventi specifici di carattere locale non individua neppure un termine (nemmeno implicito) dell'asserita emergenza, sostanzialmente qualificando emergenza una esigenza di programmazione territoriale.

Si ritiene pertanto che non sussistano i presupposti legittimanti la tipologia di atto adottato, come per altro già affermato dallo stesso tribunale anche in altri similari vertenze aventi ad oggetto atti di carattere assimilabile (cfr. Tar Piemonte, sez. II, n. 1008/2015).

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Scheda n. 20 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR BASILICATA, Potenza, 1 aprile 2016, n. 300. 

L'ordinanza impugnata può essere qualificata sia come un ordinario provvedimento di carattere edilizio, sia come ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54, comma 4, D.Lg.vo n. 267/2000, in quanto risulta palesemente erroneo il riferimento all'art. 50, comma 5, D.Lgv.o n. 267/2000, perché il provvedimento impugnato è stato adottato non per fronteggiare un'emergenza sanitaria e/o di igiene pubblica, ma principalmente per tutelare la pubblica incolumità dal pericolo di crollo del fabbricato di cui è causa.

L'ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54, comma 4, D.Lg.vo n. 267/2000 può essere adottata, quando il pericolo per la pubblica incolumità non è imminente, ma consiste in una ragionevole probabilità che possa verificarsi, se non si interviene prontamente, anche se tale situazione di pericolo, come nella specie, dura da molto tempo e potrebbe protrarsi per un lungo periodo senza alcun crollo delle parti pericolanti dell'edificio (sul punto cfr. per es. C.d.S. Sez. VI n. 4812 del 7.10.2008; C.d.S. Sez. V n. 1678 del 2.4.2003).

Parimenti non risulta ostativa all'emanazione dell'Ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54, comma 4, D.Lg.vo n. 267/2000 l'assenza di una situazione accidentale e/o imprevedibile oppure la persistenza di un comportamento inerte da parte del Comune, a conoscenza della situazione di pericolo, atteso che anche in tali situazioni l'aggravarsi del pericolo non esime l'Amministrazione dalla tempestiva adozione dei provvedimenti contingibili ed urgenti.

Il Comune di Picerno non ha, inoltre, violato né il principio di provvisorietà dei provvedimenti contingibili ed urgenti, né il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, in quanto gli interventi richiesti dal provvedimento impugnato si riferiscono esclusivamente alle parti pericolanti dell'edificio che costituiscono pericolo per la pubblica incolumità ed all'evidente esigenza di prevenire rischi per l'igiene pubblica con idonea disinfestazione.

Anche perché spetta ai proprietari degli immobili curare la loro manutenzione, per evitare il verificarsi di situazioni di pericolo per la pubblica incolumità e/o per l'igiene pubblica.

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Scheda n. 21 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR SARDEGNA, Cagliari, 15 marzo 2016, n. 253 

L'utilizzo delle ordinanze contingibili ed urgenti da parte dei Sindaci dei Comuni per la rimozione di discariche abusive attuate da ignoti in terreni privati, è stata ritenuta soluzione diffusa per poter porre rimedio a situazioni che, da un lato, potevano (astrattamente, ma che dovevano necessariamente riscontrarsi in concreto, in relazione alle specifiche situazioni) costituire un pericolo per l'igiene pubblica ma che, dall'altro, colpivano discariche che si erano, nel tempo, "consolidate" sul territorio.

Lo strumento giuridico dell'ordinanza contingibile e urgente non può essere utilizzato nel caso non sia riscontrabile, dai dati istruttori acquisiti, effettivamente presente una situazione attuale di grave pericolo che giustifichi un "immediato" intervento extra ordinem.

Nel caso di specie, dall'ordinanza, non si evince l'elemento rappresentativo di una peculiare pericolosità della discarica (compiuta da ignoti). La descrizione compiuta nel provvedimento in ordine alla tipologia dei rifiuti speciali e pericolosi riscontrati, scaricati da terzi nelle aree del Consorzio, è stata effettuata in forma meramente illustrativa, senza che venissero posti in evidenza elementi di eccezionale gravità, in atto, tali da imporre e consentire l'emanazione di un provvedimento straordinario, contingibile ed urgente. E senza previo contraddittorio con il proprietario delle aree che ha "subìto" la condotta e che non ha concorso in alcun modo al deposito/abbandono dei rifiuti.

Sussisteva, indubbiamente, l'esigenza di rimozione dei rifiuti speciali e pericolosi (tra cui figurano, materiali da demolizione e da costruzione, anche contenenti amianto), ma presupposto dell'intervento sindacale urgente doveva essere giustificato dall'immediato pericolo. 

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Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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