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Alle Regioni non è consentito, in nessun caso, di apportare deroghe in peius rispetto ai parametri di tutela dell’ambiente fissati dalla normativa statale (3/2017)

Sentenza n. 218/2017– giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 20 ottobre 2017 – pubblicazione in GU n. 42 del 18 ottobre 2017

Motivo della segnalazione

Il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 2, in relazione all’allegato C4, punto 7, lettera f), della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. La disposizione censurata prevede l’assoggettamento alla procedura di verifica della valutazione di impatto ambientale dei soli progetti relativi alla realizzazione di strade extraurbane secondarie di lunghezza superiore a 5 km, ponendosi, ad avviso del rimettente, in contrasto con la disciplina statale dell’art. 23, comma 1, lettera c), e relativo allegato III, elenco B, punto 7, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che impone di sottoporre alla detta procedura tutti i progetti di strade extraurbane secondarie, senza consentire alcuna esclusione a priori fondata su criteri meramente dimensionali.

Respinte alcune eccezioni d’inammissibilità, nel merito la questione è ritenuta fondata. La trasversalità della materia «tutela dell’ambiente» implica, di per sé stessa, l’esistenza di «competenze diverse che ben possono essere regionali», con la conseguenza che allo Stato rimane riservato «il potere di fissare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali» (così sentenza n. 407 del 2002). Alle Regioni non è, tuttavia, consentito, in nessun caso, di apportare deroghe in peius rispetto ai parametri di tutela dell’ambiente fissati dalla normativa statale. Ciò, in quanto «le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i livelli della tutela ambientale, senza però compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato» (così sentenza n. 300 del 2013).Venendo allo specifico thema decidendum, viene evidenziato che le disposizioni del Codice dell’ambiente, richiamate dal giudice a quo, stabiliscono che la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (c.d. screening, consistente nella procedura finalizzata a valutare, in via preliminare, se un progetto può determinare impatti negativi e significativi sull’ambiente), debba svolgersi sulla base della valutazione congiunta di una serie di elementi relativi alle caratteristiche dei progetti (il cumulo con altri progetti, l’utilizzazione di risorse naturali, le dimensioni, la produzione di rifiuti, l’inquinamento, i disturbi ambientali e il rischio di incidenti),alla loro localizzazione (considerando, quindi, le peculiarità del territorio in cui il progetto si situa) e alle caratteristiche dell’impatto potenziale (la portata, durata o reversibilità del progetto). A tale procedura di verifica risultano sottoposti tutti i progetti richiamati dal comma 1, lettera c), dell’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, tra cui, appunto, le strade extraurbane secondarie, specificamente indicate alla lettera g) del punto 7 dell’elenco B dell’allegato III alla parte seconda del detto decreto legislativo. La previsione dello screening da parte del legislatore statale va ricondotta all’esigenza di sottoporre a detta procedura, in attuazione di quanto previsto sul punto dalla normativa europea, qualsivoglia tipologia di progetto, a prescindere che questo sia di competenza statale o regionale, senza consentire esenzioni a priori e in via generale, fondate esclusivamente su parametri dimensionali. In questa prospettiva, la Corte ha già avuto modo di evidenziare che «[l]’obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA, o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilità alla VIA, attiene al valore della tutela ambientale, che, nella disciplina statale, costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale. La disciplina statale uniforme non consente, per le ragioni sopra esaminate, di introdurre limiti quantitativi all’applicabilità della disciplina, anche se giustificati dalla ritenuta minor rilevanza dell’intervento configurato o dal carattere tecnico dello stesso» (così sentenza n. 127 del 2010).La disposizione regionale censurata sottopone, invece, a screening solo le strade extraurbane secondarie di dimensioni superiori a 5 chilometri, esentando da tale procedura tutte le strade di dimensioni pari o inferiori, con una statuizione in evidente contrasto con quanto stabilito, anche in attuazione degli obblighi comunitari, dalla disciplina statale. E, invero, la limitata lunghezza dei percorsi viari esclusi dalla verifica di assoggettabilità non esclude, per ciò solo, la rilevanza di questi ai fini dell’eventuale impatto ambientale, che ben può essere compromesso dalla costruzione di un tratto stradale, ancorché di modeste dimensioni. L’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, richiamato dal giudice a quo come norma interposta violata, risulta entrato in vigore, insieme a tutta la parte seconda del Codice dell’ambiente, in data 31 luglio 2007. Ne consegue che l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata deve ritenersi sopravvenuta rispetto al momento della sua originaria entrata in vigore. In particolare, il contrasto tra la norma del Codice dell’ambiente, espressione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e la disposizione regionale è insorto, appunto, alla data del 31 luglio 2007. L’art. 50 del d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, stabilendo che «[l]e regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono affinché le disposizioni legislative e regolamentari emanate per adeguare i rispettivi ordinamenti alla parte seconda del presente decreto entrino in vigore entro il termine di centoventi giorni dalla pubblicazione del presente decreto», ha imposto il tempestivo adeguamento degli ordinamenti regionali alla disciplina statale contenuta nella parte seconda del Codice dell’ambiente. Pertanto, deve ritenersi che il termine assegnato alle Regioni per conformare le rispettive normative alle disposizioni della parte seconda del Codice dell’ambiente fosse già spirato alla data del 31 luglio 2007, che va, quindi, individuata come il momento temporale in cui è insorto il contrasto tra la norma regionale impugnata e il precetto di cui all’art. 23, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006. Consegue l’illegittimità costituzionale, sopravvenuta dal 31 luglio 2007, dell’articolo 7, comma 2, della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale) per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

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