Nella sentenza oggetto della segnalazione, la Corte di giustizia è stata chiamata ad interpretare il diritto dell’Unione e il principio del primato rispetto ad una normativa nazionale che impediva di disapplicare disposizioni nazionali contrarie al diritto dell’Unione a un organismo nazionale istituito per legge al fine di garantire l’applicazione del diritto UE. La Corte, distinguendo tra potere di disapplicazione e potere di decidere sulla validità di un atto normativo, ha stabilito che il principio del primato osta al limite previsto dalla normativa nazionale suddetta, anche se di rango costituzionale: secondo la sua costante giurisprudenza, infatti, un organo chiamato ad applicare il diritto dell’Unione deve poter disapplicare la norma contrastante senza aspettare l’intervento di un ulteriore organo per poter garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione.
Nella sentenza in commento, la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla questione se un organismo nazionale non giurisdizionale, istituito dalla legge di uno Stato membro per dare attuazione al diritto dell’Unione in un settore specifico, avesse o meno il potere di disapplicare una norma nazionale contraria al diritto dell’Unione, visto che la Costituzione nazionale riservava questo potere a determinati organi giurisdizionali.
L’organo nazionale in questione è stato istituito a seguito della direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione1. In particolare, l’art. 9, par. 1, prevede l’obbligo in capo agli Stati membri di garantire l’accesso a procedure contenziose (giurisdizionali o amministrative) o a quelle di conciliazione finalizzate al rispetto degli obblighi che scaturiscono dalla direttiva. Il legislatore irlandese ha recepito la direttiva tramite la previsione di alcune norme – contenute negli Employment Equality Acts emanati dal 1998 al 2015 – che individuano l’organo deputato a giudicare di tali ricorsi nella Commissione per le relazioni professionali.
Il procedimento principale aveva ad oggetto il ricorso del sig. Ronald Boyle e di altre due persone, che sono stati esclusi dalla selezione di nuovi agenti dell’An Garda Sìochàna (la polizia nazionale) per aver superato l’età massima di assunzione prevista dalla normativa irlandese (35 anni). Questi si sono dunque rivolti all’Equality Tribunal (poi divenuta Commissione per le relazioni professionali) contestando che un limite di età massimo per l’assunzione nella polizia rappresentava una discriminazione vietata dalla direttiva e dalle relative norme nazionali.
Dinanzi alla High Court, il Ministero della giustizia irlandese ha eccepito l’incompetenza dell’Equality Tribunal, in quanto l’art. 34 della Costituzione irlandese stabilisce che soltanto alla High Court, alla Court of Appeal e alla Supreme Court possono essere sottoposte questioni sulla validità di qualunque legge nazionale. La High Court, accogliendo tale domanda, ha emesso un’ordinanza che vietava all’Equality Tribunal di pronunciarsi sulla questione, in quanto ritenuto incompetente a giudicare sulla contrarietà di una norma nazionale alle disposizioni del diritto dell’Unione europea. L’Equality Tribunal ha tuttavia contestato tale decisione di fronte alla Supreme Court, giudice del rinvio alla Corte di giustizia nella sentenza in commento.
Concordando con la valutazione della High Court, la Supreme Court evidenziava come la competenza a conoscere le cause relative alla parità di trattamento in materia di occupazione – per il diritto costituzionale irlandese – dovesse essere ripartita tra la Commissione, competente per la gran parte delle liti in tale settore, e la High Court, competente “eccezionalmente” in tutti quei casi in cui l’accoglimento di una domanda richiedesse la disapplicazione delle norme di diritto nazionale incompatibili con le disposizioni del diritto dell’Unione. Per la Supreme Court tale ripartizione di competenze rispetta sia il principio di equivalenza che quello di effettività. Tuttavia, dati i dubbi sollevati dalla Commissione per le relazioni professionali circa la non conformità al diritto dell’Unione della normativa nazionale – che impediva di rispettare l’obbligo di garantire l’osservanza del diritto nazionale e di quello UE circa la parità di trattamento in materia di occupazione –, la Supreme Court ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia una domanda pregiudiziale. In particolare, il giudice irlandese di ultima istanza ha chiesto, in sostanza, “se il diritto dell’Unione e, in particolare, il principio del primato dello stesso, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, secondo la quale un organismo nazionale istituito per legge al fine di garantire l’applicazione del diritto dell’Unione in un particolare settore non è competente a decidere di disapplicare una norma di diritto nazionale contraria al diritto dell’Unione.” (par. 31)
Nella sentenza in esame, la Corte di giustizia sottolinea la necessità di chiarire la distinzione fondamentale tra il potere di astenersi dall’applicare, in un caso specifico, una disposizione di diritto nazionale che contrasta con il diritto dell’Unione e, invece, il potere di annullare una disposizione con il più ampio effetto di privarla di qualsiasi validità (par. 33)2. Infatti, pur riconoscendo che spetta agli Stati membri stabilire quali organi giurisdizionali o istituzioni siano competenti a verificare la validità, e nel caso, ad annullare una disposizione nazionale, tuttavia la giurisprudenza costante della Corte ha stabilito che i giudici nazionali incaricati di applicare il diritto dell’UE, nell’ambito delle loro attribuzioni, hanno l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto UE fino ad arrivare alla disapplicazione delle norme nazionali contrastanti3.
Pertanto, è da ritenersi incompatibile con le esigenze stesse del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione nazionale che porti alla riduzione dell’efficacia di tale diritto, soprattutto qualora neghi al giudice competente il potere di disapplicare4. Ciò quindi anche nel caso in cui la soluzione di un eventuale conflitto tra norme nazionali e dell’Unione sia affidato a un soggetto diverso dal giudice che ha il compito di garantire l’applicazione del diritto dell’Unione nel caso di specie5.
Alla luce di quanto detto, la Corte di giustizia, evidenziando “che il principio del primato del diritto dell’Unione impone non solo agli organi giurisdizionali, ma anche a tutte le istituzioni dello Stato membro di dare pieno effetto alle norme dell’Unione” (par. 39), ricorda che l’obbligo di disapplicare riguarda anche “tutti gli organismi dello Stato, ivi comprese le autorità amministrative, incaricati di applicare, nell’ambito delle rispettive competenze il diritto dell’Unione” (par. 38)6.
Con riguardo alla Commissione per le relazioni professionali, la Corte di Giustizia ritiene che, quando questa sia investita di una questione attinente al rispetto della parità di trattamento in materia di occupazione, il principio del primato esige che assicuri “la tutela giuridica attribuita ai singoli dal diritto dell’Unione e che garantisca la piena efficacia dello stesso, disapplicando, all’occorrenza, qualsiasi disposizione eventualmente contraria della legislazione nazionale” (par. 46). Sarebbe infatti contradditorio se “l’organismo in parola non avesse […] l’obbligo di applicare tali disposizioni escludendo quelle non conformi del diritto nazionale” (par. 47), in quanto, in conseguenza di una tale interpretazione, “l’effetto utile delle norme dell’Unione nel settore della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro risulterebbe affievolito” (par. 48). Perciò, per la Corte “è inammissibile che le norme di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, possano menomare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione” (par. 49, corsivo aggiunto)7. Gli organismi di cui si tratta devono, anche di loro iniziativa, assumere tutte le misure che garantiscano l’applicazione del diritto dell’Unione, disapplicando nel caso di specie tutte le disposizioni o la giurisprudenza nazionale che siano contrarie a tale diritto, senza “chiedere né attendere la previa soppressione di una siffatta disposizione o giurisprudenza in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale” (par. 50).
Pertanto, la Corte risponde al rinvio pregiudiziale dichiarando che il diritto dell’Unione e il principio del primato ostano ad una normativa, anche di rango costituzionale, che impedisce ad organismo nazionale, istituito dalla legge al fine di garantire l’applicazione del diritto dell’Unione in un particolare settore, di disapplicare una norma di diritto nazionale contraria al diritto dell’Unione (par. 52).
1 Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, GU L 303 del 2.12.2000, pp. 16-22.
2 Cfr. le Conclusioni dell’Avvocato generale Nils Wahl dell’11 settembre 2018, causa C-378/17, Minister for Justice and Equality e Commissioner of the Garda Síochána, ECLI:EU:C:2018:698, punto 45: “La distinzione tra l’atto di lasciare inapplicata una disposizione e quello di annullare una disposizione può risultare talvolta puramente teorica nella prassi. Può inoltre accadere che, dal punto di vista di un determinato sistema giuridico nazionale, non si possa ravvisare alcuna reale distinzione tra i due concetti. Tuttavia, sotto il profilo del diritto dell’Unione, la distinzione tra l’obbligo di astenersi dall’applicare una disposizione di diritto nazionale (in quanto tale disposizione è in contrasto con il diritto dell’Unione) in un caso specifico e l’obbligo di annullare siffatta disposizione con il più ampio effetto di privarla di qualsivoglia validità (ex tunc o ex nunc) è importante” (corsivo aggiunto).
3 Cfr. sentenze della Corte di giustizia del 9 marzo 1978, Simmenthal, causa C-106/77, EU:C:1978:49, punti 17, 21 e 24, e del 6 marzo 2018, SEGRO, cause riunite C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punto 46.
4 Cfr. Simmenthal, cit., punto 22, e sentenze della Corte del 19 giugno 1990, Factortame, causa C‑213/89, EU:C:1990:257, punto 20, nonché dell’8 settembre 2010, Winner Wetten, causa C‑409/06, EU:C:2010:503, punto 56.
5 Cfr. Winner Wetten, cit., punto 57.
6 Cfr. sentenze della Corte 22 giugno 1989, Costanzo, causa C-103/88, EU:C:1989:256, punto 31; del 9 settembre 2003, CIF, causa C‑198/01, EU:C:2003:430, punto 49; e del 14 settembre 2017, The Trustees of the BT Pension Scheme, causa C‑628/15, EU:C:2017:687, punto 54.
7 Cfr. Winner Wetten, cit., par. 61