Sentenza n. 223/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 24/10/2019 – Pubblicazione in G. U. 30/10/2019, n. 44
Motivo della segnalazione
La sentenza qui segnalata riguarda la compatibilità con la Costituzione del d. lgs. 36/2018, recante «Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103», nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela anche per i delitti previsti dall’art. 590-bis, I comma, del codice penale, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).
Il parametro di legittimità costituzionale è individuato nell’art. 76 Cost.
Come messo in luce dalla Consulta, nel caso di specie non si lamenta il mancato esercizio di una delega legislativa (circostanza, come ricorda la Corte stessa, che dà luogo a una responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento, ma non implica una violazione dell’art. 76 Cost., salvo il caso in cui il mancato esercizio comporti uno stravolgimento della legge di delega).
Qui, invece, il giudice rimettente lamenta l’osservanza non corretta di un criterio di delega. L’art. 1, XVI comma, lett. a), della legge n. 103 del 2017 aveva incaricato il Governo di «prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di cui all’art. 610 del codice penale, e per i reati contro il patrimonio previsti dal codice penale, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio quando ricorra una delle seguenti condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per età o per infermità; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 del codice penale; 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità».
Secondo il giudice a quo, tale delega non sarebbe stata correttamente esercitata perché la punibilità a querela. non è stata prevista anche per la fattispecie di cui all’art. 590 bis, I comma, c.p.
La Corte costituzionale dovrebbe quindi provvedere a correggere una scelta arbitraria.
La Consulta sottolinea che si tratta di una questione simile a quella già affrontata nella sent. 127/2007: «la Corte è […] chiamata a valutare se il Governo, nell’esercitare in parte qua la delega conferitagli dal Parlamento, abbia o meno errato nel dare applicazione ai principi e ai criteri direttivi il cui rispetto condiziona, in forza dell’art. 76 Cost., la legittimità costituzionale del decreto legislativo» (punto 3 del ‘considerato in diritto’).
Se l’applicazione della delega fosse errata, ne conseguirebbe l’incostituzionalità del decreto legislativo, «non diversamente, del resto, da ciò che accadrebbe ove il Governo avesse previsto la procedibilità a querela di un’ipotesi delittuosa che, secondo le indicazioni del legislatore delegato, doveva invece restare procedibile d’ufficio.» (ibidem).
Il giudice delle leggi ha deciso che la questione è infondata.
Nel suo iter logico-argomentativo la Consulta prende in considerazione i lavori parlamentari. In primo luogo, si fa menzione della Relazione illustrativa al primo schema di decreto legislativo; in seconda battuta, si richiama il parere espresso dalla Commissione giustizia della Camera.
La Corte costituzionale, al termine della propria ricostruzione, ritiene che «il Governo non abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge delega, nell’adottare una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante – del criterio dettato dall’art. 1, comma 16, lettera a), numero 1), della legge n. 103 del 2017; e si sia mantenuto così entro il perimetro sancito dal «legittimo esercizio della discrezionalità spettante al Governo nella fase di attuazione della delega, nel rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie della materia penale» (sentenza n. 127 del 2017). E tanto più nel caso di specie, al cospetto di una delega “ampia” o “vaga”, che interviene per “blocchi” di materie, riferendosi genericamente a due Titoli del codice penale».