Con la recente sentenza n. 33 del 2021, la Corte Costituzionale ha esaminato una serie di questioni di legittimità costituzionale relative allo stato civile dei bambini nati attraverso la pratica della maternità surrogata che, come è noto, nel nostro ordinamento è proibita dall’art. 12, comma 6, della Legge 40/2004, ai sensi del quale: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. Come vedremo, la sentenza in commento si segnala per aver rivolto un forte monito al legislatore sull’esigenza di assicurare l’interesse del minore ad avere due genitori, all’unisono con la sentenza n. 32 del 2021 che riguarda il fronte della fecondazione eterologa senza surroga di maternità[1].
Nella sentenza n. 33 in commento, le questioni di legittimità costituzionale erano state sollevate dalla prima Sezione civile della Corte di Cassazione, in relazione alla sentenza n.12193 dell’8 maggio 2019 emessa dalle Sezioni Unite, la quale aveva escluso, per contrasto con il parametro dell’ordine pubblico, la possibilità di riconoscere provvedimenti giurisdizionali stranieri che accertino il diritto del genitore intenzionale e non biologico di essere inserito nell'atto di nascita del figlio della persona cui si è legati da matrimonio celebrato all'estero, che sia nato attraverso la tecnica della maternità surrogata.
La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 8325 del 29 aprile 2020, aveva sollevato di fronte alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità del mancato riconoscimento nel nostro ordinamento di un provvedimento che accerti la costituzione del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale, che abbia fatto ricorso alla tecnica della maternità surrogata in altro ordinamento.
In particolare, la Corte di cassazione ravvisava un contrasto con gli artt. 2, 3, 30, 31 Cost. el’art. 117 comma 1 Cost. in relazione all'articolo 8 CEDU[2]gli articoli 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e l’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nella parte in cui le citate disposizioni non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri. In particolare, ad avviso dei giudici rimettenti, il parere consultivo del 10 aprile 2019 della Grand Chambre in materia di maternità surrogata imporrebbe “scelte ermeneutiche differenti” rispetto a quelle proposte recentemente dalle Sezioni Unite nella decisione n. 12193/2019.
Secondo la Sezione rimettente, l’attuale diritto vivente in Italia non sarebbe adeguato rispetto agli standard di tutela dei diritti del minore stabiliti in sede convenzionale, dal momento che la possibilità del ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari da parte del genitore “d’intenzione”, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983 n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), riconosciuta dalle Sezioni unite civili nella richiamata sentenza n. 12193 del 2019, non creerebbe “un vero rapporto di filiazione”. Tale forma di adozione porrebbe infatti “il genitore non biologico in una situazione di inferiorità rispetto al genitore biologico”; non creerebbe legami parentali con i congiunti dell’adottante ed escluderebbe il diritto a succedere nei loro confronti; e non garantirebbe, comunque, quella tempestività del riconoscimento del rapporto di filiazione che è richiesta dalla Corte EDU nell’interesse del minore.
In altri termini dunque, il disposto dalla sentenza n.12193/2019 violerebbe i diritti del minore al rispetto della propria vita privata e familiare.
Con la sentenza n. 33 del 2021, la Corte Costituzionale, pur respingendo tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Sezione remittente, rivolge un accorato appello al legislatore affinché elabori una soluzione giuridica che possa far giungere ad un valido compromesso tra le varie esigenze di segno opposto. Secondo la Consulta, le norme censurate dalla Sezione rimettente non lederebbero alcuno dei parametri costituzionali invocati: non già l’articolo 2, da cui non discenderebbe alcun diritto alla genitorialità, e neppure l’art. 3, per l’incomparabilità tra la condizione di sterilità o infertilità delle coppie eterosessuali cui è consentita la procreazione medicalmente assistita, e la condizione di fisiologica infertilità delle coppie omosessuali.
Ancora, non sarebbe riscontrabile alcuna lesione degli articoli 30 e 31 Cost e non, infine, degli articoli 117 primo comma Cost. e 8 CEDU, alla luce soprattutto dell’interpretazione resa dalla Corte europea dei diritti umani nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia, risalente al gennaio del 2017, che aveva già ritenuto insufficiente, per l’accertamento di un legame di vita familiare, la mera esistenza di un progetto genitoriale, in mancanza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori.
Tuttavia chiarisce la Corte al paragrafo 6.4 del Ritenuto in Fatto che “l’ordine pubblico di cui all’art. 64 della legge n. 218 del 1995 unico ostacolo al riconoscimento di uno status filiationis già stabilito dallo Stato di cittadinanza del minore, dovrebbe essere interpretato in senso restrittivo, e l’interesse del minore, al pari degli altri valori supremi dell’ordinamento che, con esso, determinano la nozione di ordine pubblico, non potrebbe che essere valutato dal giudice in ciascun caso concreto”.
Dunque, pur non accogliendo le questioni di rimessione poste dalla prima Sezione e non rinvenendo profili di contrasto con le norme già citate, la Corte Costituzionale ribadisce l’assoluta centralità dell’interesse del minore, il quale esige che sia riconosciuta la titolarità giuridica dei doveri legati all’esercizio delle responsabilità genitoriali in capo agli individui che si occupano di lui, pena una capitis deminutio assolutamente ingiustificata dei suoi diritti.
Lo scopo legittimo che il nostro ordinamento persegue di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità deve necessariamente porsi in un rapporto di bilanciamento con l’interesse del minore alla continuità del proprio status e dei propri legami affettivi.
Il principio del “best interests of the child”, proclamato dall’articolo 3 della Convenzione di New York del 1989, impone, come peraltro aveva già stabilito la stessa Corte Costituzionale in una sentenza del 1981, che nelle decisioni concernenti il minore venga sempre ricercata “la soluzione ottimale in concreto per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior cura della persona[3]”. Come ricorda la stessa Corte nella pronuncia di cui in commento, tale concetto è stato ricondotto da plurime pronunce all’ambito di tutela dell’art. 31 Cost[4].
Prosegue il giudice delle leggi al paragrafo 5.4 del Considerato in diritto che: “Non v’è dubbio che l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata”.
E ciò, per molteplici ragioni.
Anzitutto, questi legami sono parte integrante della stessa identità del bambino, ai sensi di quanto disposto dalle sentenze gemelle Menesson e Labassee c. Francia (Grande Chambre, 26 giugno 2014, paragrafo 96), ma anche perché – si preoccupa di ribadire in questa sede la Corte - non è qui in discussione un preteso “diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino.
Ciò che è qui in discussione è unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di tutto quell’insieme di diritti e doveri funzionali al suo preminente interesse.
Una simile tutela richiederà allora di essere assicurata attraverso un procedimento di adozione che sia effettivo e celere, e che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino.
Come viene invero affermato, “ogni soluzione che non dovesse offrire al bambino alcuna chance di un tale riconoscimento, sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, finirebbe per strumentalizzare la persona del minore in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata[5]”.
Secondo la sentenza n.12193/2019 delle Sezioni Unite rimessa al giudizio della Consulta, nel caso in esame di bambino nato da maternità surrogata, il rimedio giuridico esperibile ai fini della tutela del minore potrebbe validamente essere rinvenuto nell’ istituto dell’adozione in casi particolari.
Questo istituto tuttavia non garantisce una piena tutela al minore perché non attribuisce la genitorialità all’adottante. Pertanto, la Corte Costituzionale nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sottoposte dalla Corte remittente, ha espresso altresì l’auspicio che il legislatore individui una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e gli interessi in gioco, adeguando il diritto vigente alle esigenze di tutela per i bimbi che nascono da maternità surrogata. La Consulta ha concluso che sia opportuno “cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all'attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore[6]”.
Questa decisione della Corte, dunque, pur non mettendo in discussione l’interdizione della pratica della gestazione per altri nel nostro ordinamento e dunque riconfermando la posizione delle Sezioni Unite sulla contrarietà all'ordine pubblico della maternità surrogata, apre la strada ad un adeguamento importante della legislazione vigente, che si riveli maggiormente al passo con la dinamicità dell’attuale contesto sociale.
[1] Corte Costituzionale, sentenza n. 32/2021.
[2] “L'accezione dell'endiadi vita privata e familiare va intesa in senso ampio, comprensiva di ogni espressione della personalità e dignità della persona ed anche del diritto all'identità dell'individuo. In questa prospettiva si è sempre più chiaramente affermata una valorizzazione dei legami familiari secondo i principi di uguaglianza e di bigenitorialità affinchè i minori possano fruire pienamente della relazione genitoriale e i genitori possano entrambi partecipare a pieno titolo alla cura e alla educazione dei figli e ad adottare congiuntamente le decisioni più importanti che li riguardano.” Corte di Cassazione, Prima Sezione, ordinanza n. 8325/2020
[3] Corte Costituzionale, sentenza n. 11/1981
[4] sentenze n. 272 del 2017, n. 76 del 2017, n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014
[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 33/2021, paragrafo 5.7
[6] Corte Costituzionale, sentenza n. 33/2021, paragrafo 5.9