Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza 22 giugno 2021, Causa C-872/19 P, Repubblica bolivariana del Venezuela c. Consiglio dell’Unione europea, ECLI:EU:C:2021:507.
La sentenza in oggetto riguarda l’impugnazione di una decisione del Tribunale relativa al diritto di uno Stato terzo di ricorrere in annullamento avverso un regolamento attuativo di una decisione PESC volto a introdurre misure sanzionatorie. Con questa sentenza, la Corte di giustizia ha colto l’occasione per affrontare talune complesse questioni di carattere istituzionale, quali, la nozione europea di persona giuridica, la conseguente estensione del diritto di legittimazione attiva agli Stati terzi dinanzi a essa e la nozione di “atto regolamentare” di cui all’art. 263, par. 4, TFUE.
La sentenza Venezuela c. Consiglio è stata pronunciata dalla Corte di giustizia in seguito all’impugnazione proposta dalla Repubblica del Venezuela della sentenza pronunciata dal Tribunale il 20 settembre 2019[1]. Fa da sfondo alla vicenda processuale il deterioramento delle condizioni politiche ed economiche della Repubblica del Venezuela cui è conseguita una situazione di generale limitazione dei principi democratici, dello Stato di diritti e dei diritti umani. A fronte di tale scenario, sin dal 2017, l’Unione europea ha reagito istituendo un regime sanzionatorio adottato attraverso diverse decisioni del Consiglio dell’Unione rientranti nell’ambito della PESC.
Le misure restrittive così introdotte impongono, tra l’altro, divieti di esportazione per quanto concerne la vendita, la fornitura, il trasferimento o l’esportazione di talune attrezzature militari e altre attrezzature in Venezuela. Dette misure si estendono altresì alla prestazione di servizi tecnici, di intermediazione o finanziari connessi alla fornitura di tali attrezzature. Inoltre, esse prevedono la possibilità di limitare la libera circolazione di talune persone fisiche nominativamente individuate e di imporre misure di congelamento di beni nei confronti di determinate persone fisiche o giuridiche, entità o organismi nominativamente designati.
Dinanzi al Tribunale dell’Unione, la Repubblica di Venezuela aveva proposto un ricorso in annullamento avverso gli articoli 2, 3, 6, e 7 del regolamento (UE) 2017/2063[2] – quest’ultimo attuativo della decisione (PESC) 2017/2074[3] del Consiglio – nella parte in cui dette disposizioni la riguardavano. Il Consiglio, in qualità di parte resistente, aveva presentato tre motivi di irricevibilità del ricorso. Nella sentenza in questione, il Tribunale aveva analizzato soltanto il motivo legato alla dimostrazione dell’interesse ad agire della ricorrente e, dopo aver stabilito quest’ultima non lo aveva provato, aveva dichiarato il ricorso irricevibile.
La Repubblica del Venezuela ha così impugnato la decisione del Tribunale contestando dinanzi alla Corte di giustizia il ragionamento con cui lo stesso aveva dichiarato irricevibile il ricorso, ossia il non essere direttamente riguardata dall’atto impugnato. Diversamente, la Corte di giustizia ha correttamente sollevato d’ufficio la questione se la Repubblica del Venezuela debba essere considerata una «persona giuridica», ai sensi dell’articolo 263, par. 4, TFUE, dal momento che la risposta a tale quesito risulta logicamente preordinata all’esame del motivo unico di impugnazione sollevato dalla ricorrente.
Con riguardo alla nozione di «persona giuridica», la Corte di giustizia osserva che l’art. 263, par. 4, TFUE non ne chiarisce il significato, né rinvia ai diritti nazionali degli Stati membri per determinarlo. Da ciò ne consegue che essa dev’essere considerata come una nozione autonoma del diritto dell’Unione, da interpretarsi in maniera uniforme nel territorio di quest’ultima. Quindi, conformemente a una costante giurisprudenza[4], la Corte procede a interpretare la nozione di «persona giuridica» prendendo in considerazione sia la lettera dell’art. 263, par. 4, TFUE sia il contesto e gli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte.
In primo luogo, si osserva che lo Stato possiede indubbiamente lo status di persona giuridica di diritto internazionale pubblico e che nessuna disposizione di diritto primario dell’Unione, incluso l’art. 263, par. 4, TFUE, limita il diritto di legittimazione attiva dinanzi alle istituzioni giudiziarie dell’Organizzazione a talune categorie di persone giuridiche. La Corte di giustizia afferma quindi che – in linea di principio – nessuna «persona giuridica» dovrebbe essere privata della facoltà di proporre un ricorso in annullamento.
Di seguito, la lettura della disposizione in questione viene elaborata alla luce del contesto dell’ordinamento giuridico complessivamente considerato. Nel ragionamento sviluppato dalla Corte di giustizia assume centrale rilevanza il ruolo dei valori dell’Unione e, in specie, dello Stato di diritto. La Corte di giustizia rimarca il principio secondo cui l’Unione è fondata su tale valore, come risulta tanto dall’art. 2 TUE, quanto dall’art. 21 TUE, relativo all’azione esterna dell’Unione, cui rinvia l’art. 23 TUE dedicato alla PESC[5]. Il collegamento tra il valore dello Stato di diritto e il diritto di legittimazione attiva degli Stati terzi nell’ambito del sistema giudiziario dell’Unione risulta particolarmente significativo perché consente alla Corte di giustizia di includere nella nozione «europea» - autonoma - di «persona giuridica» anche gli Stati terzi, distaccandosi nettamente da una visione internazionalistica dei rapporti tra l’Unione e le Terze Parti basata sul principio di reciprocità.
Nelle argomentazioni avanzate dal Consiglio e da taluni Stati membri, infatti, l’estensione agli Stati terzi del diritto di proporre ricorsi in annullamento avverso atti di diritto dell’Unione dinanzi ai giudici di quest’ultima comporterebbe un’assenza di reciprocità nelle relazioni internazionali con detti Stati e porrebbe l’Unione in una posizione di svantaggio sulla scena internazionale. Secondo il Consiglio, gli Stati terzi, con il pretesto che essi sono ricorrenti individuali, potrebbero utilizzare i giudici dell’Unione come mezzo per risolvere controversie internazionali tra soggetti di diritto internazionale pubblico. Segnatamente, la Corte di giustizia potrebbe così divenire un foro per la contestazione delle politiche esterne dell’Unione e, attraverso l’uso degli strumenti giudiziari, gli Stati terzi potrebbero tentare di influenzarne le politiche. Nell’ambito del presente procedimento, in cui la Repubblica del Venezuela contesta proprio le disposizioni di un atto dell’Unione che attua una decisione politica del Consiglio volta a ridurre le relazioni economiche con tale Stato, detto rischio sarebbe ancor più evidente.
Al contrario, la Corte di giustizia ha stabilito che uno Stato terzo può essere leso nei suoi diritti o interessi da un atto dell’Unione allo stesso modo di un’altra persona giuridica e deve quindi essere in grado di chiedere l’annullamento di un simile atto. Il rispetto dello Stato di diritto – posto a fondamento dell’ordinamento giuridico dell’Unione – non può essere in alcun modo subordinato alla condizione di reciprocità per quanto concerne le relazioni internazionali tra l’Unione e gli Stati terzi. Pertanto, l’interpretazione dell’art. 263, par. 4, TFUE alla luce dello Stato di diritto e del principio della tutela giurisdizionale effettiva depone a favore dell’inclusione dello Stato terzo nella nozione di «persona giuridica», legittimato ad agire quando siano soddisfatte le altre condizioni previste dalla stessa disposizione.
Chiarito ciò, la Corte di giustizia affronta il motivo di impugnazione sollevato dalla ricorrente, ossia, se quest’ultima sia direttamente riguardata dall’atto controverso e, quindi, goda della legittimazione ad agire per contestare la validità delle misure restrittive. Nella sentenza impugnata, il Tribunale aveva stabilito che le disposizioni impugnate non riguardavano direttamente la ricorrente in virtù del fatto che i divieti da queste stabilite concernevano le persone fisiche aventi la cittadinanza di uno Stato membro e le persone giuridiche costituite conformemente al diritto di uno di essi, nonché le persone giuridiche, le entità e gli organismi per quanto riguarda tutte le operazioni commerciali realizzate integralmente o parzialmente nell’Unione. Per converso, gli articoli impugnati non imponevano alcun divieto alla ricorrente, che poteva considerarsi solo indirettamente interessata.
Diversamente, la Corte di giustizia ha stabilito che le misure restrittive di cui trattasi devono essere considerate come provvedimenti adottati nei confronti della Repubblica del Venezuela atteso che i divieti da queste previsti equivalgono a vietare alla ricorrente di effettuare operazioni con tali operatori. Limitando ad essa la possibilità di procurarsi diversi prodotti e servizi, dette disposizioni producono effetti direttamente sulla situazione giuridica dello Stato in questione. Pertanto, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel concludere in senso opposto.
La Corte di giustizia ha poi deciso di statuire direttamente sulla questione affrontando anche gli altri due profili di irricevibilità del ricorso sollevati dal Consiglio dinanzi al Tribunale. Con riguardo al primo motivo vertente sull’assenza di un interesse ad agire, la Corte si limita a osservare che l’annullamento dell’atto impugnato procurerebbe un beneficio alla Repubblica del Venezuela, di conseguenza, rigetta l’argomento del Consiglio.
Più interessante risulta, invece, l’analisi del secondo motivo sollevato dal Consiglio relativo alla verifica del criterio secondo cui le misure restrittive di cui trattasi non devono lasciare alcun potere discrezionale ai destinatari incaricati della loro attuazione. Per quanto rileva ai fini dell’analisi della sentenza è degno di nota l’intervento della Corte di giustizia volto a chiarire la qualifica degli atti adottati in base all’art. 215 TFUE. Come noto, tale disposizione introduce una procedura ad hoc da seguire per adottare gli atti necessari a dare attuazione alle decisioni prese in ambito PESC con cui vengono stabilite misure sanzionatorie contro Stati Terzi e/o persone fisiche e giuridiche. La disposizione prevede che l’atto sia adottato dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione, mentre il Parlamento europeo deve essere soltanto informato.
Attesa la chiara natura non legislativa della procedura di cui all’art. 215 TFUE, la Corte di giustizia conclude stabilendo che gli atti adottati in forza a tale disposizione – incluso il regolamento (UE) 2017/2063 – non possono essere qualificati come atti legislativi, bensì come «atti regolamentari», ai sensi dell’art. 263, par. 4, terza parte di frase, TFUE. Da ciò ne consegue che, ove questi non necessitino di misure di esecuzione, possono essere impugnati dalle persone fisiche e giuridiche che dimostrano di essere direttamente riguardate dagli stessi. Questa conclusione conferma l’interpretazione elaborata dai giudici dell’Unione a partire dalla sentenza Inuit[6] e da ultimo ribadita nella sentenza Montessori[7] in virtù della quale con l'espressione «atto regolamentare» debba intendersi qualsivoglia atto a portata generale, purché adottato a mezzo di una procedura non legislativa. Nella prospettiva dell’affermazione progressiva del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva anche in ambito PESC, la lettura offerta dalla Corte di giustizia è significativa perché, oltre a ribadire l’impugnabilità degli atti adottati in esecuzioni di decisioni PESC in materia di misure restrittive[8], ne semplifica l’esercizio da parte delle persone fisiche e giuridiche. Queste ultime, qualora non siano già destinatarie del provvedimento sanzionatorio, non dovranno soddisfare la duplice condizione prevista dall’art. 263, par. 4, TFUE, ossia dell’essere direttamente e individualmente riguardati dall’atto in questione.
Nel caso di specie, la Corte di giustizia ha quindi osservato che il regolamento (UE) 2017/2063 ha portata generale e, nei limiti in cui contiene le disposizioni oggetto dell’impugnazione, non necessita di misure di esecuzione. Pertanto, le condizioni previste alla terza parte dell’art. 263, par. 4, TFUE, devono ritenersi soddisfatte e la Repubblica del Venezuela è stata considerata legittimata ad agire contro di esse senza dover dimostrare che dette disposizioni la riguardino individualmente. Il ricorso promosso da quest’ultima dinanzi al Tribunale è stato così ritenuto ricevibile nella parte in cui è diretto all’annullamento degli artt. 2, 3, 6 e 7 del regolamento (UE) 2017/2063 e la causa è stata rinviata al Tribunale per la decisione nel merito. Non rimane che attendere la pronuncia di quest’ultimo per apprezzare il modo in cui le decisioni politiche che hanno spinto il Consiglio a istituire il regime sanzionatorio verso la Repubblica del Venezuela saranno considerate nella valutazione della legittimità delle disposizioni dell’atto impugnato con cui le stesse sono state poste in essere.
[1] Sentenza del 20 settembre 2019, Reppubblica bolivariana del Venezuela c. Consiglio, causa T-65/18, EU:T:2019:649.
[2] Regolamento (UE) 2017/2063 del Consiglio, del 13 novembre 2017, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU 2017, L 295, pag.21).
[3] Decisione (PESC) 2018/1656 del Consiglio, del 6 novembre 2018, che modifica la decisione (PESC) 2017/2074, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU2018, L276, pag.10).
[4] Si rinvia, ex multis, a CGUE, sentenza del 27 novembre 2012, Pringle, causa C-370/12, EU:C:2012:756, punto 135; sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, causa C-583/11 P, EU:C:2013:625, punto 50.
[5] Così, ad esempio, CGUE, sentenza del 19 luglio 2016, H c. Consiglio e a., C-455/14 P, EU:C:2016:569, punto 41.
[6] CGUE, sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami, cit.
[7] CGUE, sentenza del 6 novembre 2018, Scuola Elementare Maria Montessori Srl c. Commissione europea, Commissione europea contro Scuola Elementare Maria Montessori Srl e Commissione europea c. Pietro Ferracci, cause riunite da C-622/16 P a C-624/16 P, ECLI:EU:C:2018:87
[8] CGUE, sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, causa C-72/15, EU:C:2017:236, punto 106.