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È costituzionalmente illegittima la Legge della Regione Siciliana che, introducendo il silenzio-assenso sulle domande di autorizzazione paesaggistica, contrasta con norme dello Stato qualificabili come “grandi riforme economico-sociali in materia di tutel

Sent. n. 160/2021 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 22 luglio 2021 – Pubblicazione in G.U. del 28/07/2021, n. 30

Con la sentenza n. 160 del 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 8, comma 6, della L. Reg. Sicilia n. 5 del 2019, nella questione promossa in merito all’art. 14, lett. n), dello Statuto speciale, in quanto, «introducendo il silenzio assenso sulla domanda di autorizzazione paesaggistica, quest[a] disposizion[e] contrasterebbe[…] con la disciplina dettata dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e dal d.P.R. n. 31 del 2017», disciplina che esprime norme da qualificare come “grandi riforme economico-sociali in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

Nello specifico, l’art. 146 del c.d. Codice dei beni culturali rimetteva ad un regolamento di delegificazione la definizione di procedure semplificate per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per interventi di lieve entità. Tali procedure sono state, successivamente, definite dal d.P.R. n. 31 del 2017, il quale, all’art. 11, ha altresì stabilito «le conseguenze della mancata espressione da parte del soprintendente del parere vincolante nei termini fissati al comma 5» del medesimo articolo.
Il d.P.R. citato stabiliva, inoltre, all’art. 13, che le Regioni a statuto speciale dovevano adeguare la propria legislazione alle sue disposizioni, in quanto attinenti «alla tutela del paesaggio, ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nonché della natura di grande riforma economico sociale».
La Regione Siciliana ha operato il suddetto adeguamento mediante la citata legge n. 5 del 2019, tuttavia, il modello procedimentale da essa delineato si discosta da quello stabilito dall’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, attribuendo alla «“Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali” competente per territorio (art. 8, comma 1) la definizione del procedimento semplificato, con provvedimento da adottare “entro il termine tassativo di sessanta giorni dal ricevimento della domanda” (art. 8, comma 4)». Il silenzio assenso assume, così, un significato diverso da quello definito dal legislatore statale; spettando alla Soprintendenza la definizione del procedimento ciò sarebbe incompatibile con la sola necessità di acquisirne un parere endoprocedimentale.
La Corte costituzionale ha costantemente riconosciuto che la conservazione ambientale e paesaggistica rientra nella competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. s), Cost.) e che, nel caso Regioni a statuto speciale siano dotate, sulla base del loro statuto, di una competenza esclusiva in materia, lo Stato conserva il potere «di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, così che le norme qualificabili come ‘riforme economico-sociali’ si impongono al legislatore di queste ultime».
Passando al caso specifico la Corte sottolinea che «sono state espressamente qualificate […] come norme di grande riforma economico-sociale, idonee a vincolare anche le regioni a statuto speciale, le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la gestione dei beni soggetti a tutela, e in particolare il suo art. 146». La legge regionale, quindi, «non può prevedere una procedura diversa da quella dettata dalla legge statale, perché alle regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, fra i quali rientra l’autorizzazione paesaggistica».
La circostanza che il ricorrente abbia lamentato il contrasto con l’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017 non muta i termini della questione. Infatti, pur trattandosi di fonte secondaria, inidonea a dettare “grandi riforme economico-sociali”, «essa costituisce senza dubbio espressione dei principi enunciati dalla legge, in particolare dagli artt. 146 e 149 cod. beni culturali, che, come visto, costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale idonee a vincolare anche la potestà legislativa regionale primaria».
La Regione Siciliana ha, quindi, ad avviso della Corte, oltrepassato i limiti della propria competenza in materia di tutela del paesaggio.
Non altrettanto sarebbe avvenuto nella seconda questione sottoposta alla Corte, relativa alla legittimità dell’art. 13 della Legge regionale n. 5 del 2019, che assegna «all’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana il potere di “apportare con proprio decreto specificazioni e rettificazioni agli elenchi di cui agli Allegati A e B, fondate su esigenze tecniche ed applicative, nonché variazioni alla documentazione richiesta ai fini dell’autorizzazione semplificata ed al correlato modello di cui all’Allegato D”». La Corte, infatti, rigetta la questione perché la Regione non avrebbe derogato al regime stabilito a livello statale, ma si sarebbe limitata, nella sua autonomia, a riservare all’Assessore un’attività che la legislazione statale assegna al Ministro della cultura, senza intaccare la circostanza che anche l’Assessore è chiamato a riscontrare le “esigenze tecniche e applicative” nel puntuale rispetto dei vincoli sostanziali della stessa normativa statale.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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