Sentenza 6/2022 – La sentenza oggetto di annotazione è resa nell’ambito di un ricorso in via principale proposto dal Governo nei confronti di una legge della Regione Calabria, peraltro sottoposta – appunto nella materia sanitaria di cui qui si discute – ad amministrazione commissariale, che, nella sostanza, prevede una disciplina più restrittiva di quella nazionale, a tenore della quale in tutte le strutture pubbliche e private in cui è prevista la somministrazione di farmaci è obbligatoria la presenza di un farmacista iscritto al relativo ordine professionale.
Nello specifico, viene così sottoposto al vaglio di costituzionalità il sistema legislativo disegnato negli artt. 1, commi 1 e 2, 3, comma 2, e 4 della legge della Regione Calabria 19 novembre 2020, n. 24 (Norme per l’utilizzo dei farmaci nelle strutture pubbliche e private).
I parametri invocati dallo Stato sono costituiti quanto agli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in riferimento alla competenza legislativa concorrente in materia di principi fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica»; quanto all’art. 1, comma 2, dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile»; quanto all’art. 3, comma 2, dall’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento ai principi fondamentali in materia di «professioni», e dall’art. 3 Cost., per lesione del principio di uguaglianza (quest’ultima questione è poi rimasta assorbita per accoglimento delle altre, dunque, non valutata dalla Corte).
La questioni proposte, coinvolgono profili legati al rapporto tra fonti e vengono tutte considerate come fondate dalla Consulta.
Andando con ordine, innanzitutto il Governo contesta la legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge impugnata, poiché prevede la presenza obbligatoria della figura professionale del farmacista negli istituti di ricovero, di riabilitazione, nelle residenze sanitarie assistite (RSA), negli hospice, nelle residenze socio sanitarie assistite (RSSA), presso i servizi per le tossicodipendenze (SERT), negli ospizi, nelle case protette e comunità terapeutiche, case di cura private e in tutte le altre strutture pubbliche e private della Regione ove sono utilizzati farmaci. La legge dispone, inoltre, che la suddetta figura professionale debba essere inquadrata nell’organigramma della struttura interessata avendo riguardo alla dimensione della struttura stessa (a mente dell’art.4 della legge impugnata, un farmacista ogni sessanta posti letto, due o più farmacisti nelle strutture che hanno più di sessanta posti letto, un farmacista nelle strutture con ricezione inferiore).
L’art. 1, comma 2, della legge precisa, altresì, che l’esercizio della professione di farmacista presso le suddette strutture debba essere riservato ai possessori del corrispondente titolo professionale, conseguito previo esame abilitativo, iscritti all’albo professionale.
Ripercorrendo e facendo parzialmente proprie le considerazioni svolte nella difesa statale la Corte dichiara l’incostituzionalità della normativa in parola in quanto disposta in violazione della materia “coordinamento della finanza pubblica” annoverata -come noto- tra quelle di esclusiva pertinenza statale dall’art.117 Cost.
Nello specifico tale competenza, come rilevato dalla Corte, è stata esercitata dallo Stato, sulla base dell’art.4 dl 159/2007 (l. 222/2007), e si è infine tradotta nella nomina di un Commissario ad acta con delibera del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 luglio 2019 per l’attuazione dei programmi operativi 2019-2021, che prevede, fra gli interventi demandati al Commissario, la: «razionalizzazione e contenimento della spesa per il personale in coerenza con l’effettivo fabbisogno in applicazione della normativa vigente in materia»; compiti successivamente confermati nel punto 8 della delibera del Consiglio dei ministri 27 novembre 2020, con cui è stato nominato il nuovo Commissario ad acta.
Il contrasto che ne deriva anche con l’art. 11, commi 1 e 4, del d.l. n. 35 del 2019, come convertito, in tema di tetto di spesa per il personale nel settore sanitario, è, dunque, causato dalla portata precettiva della normativa regionale indubbiata, che non si limita a regolare aspetti organizzativi ma impone alle amministrazioni interessate di reclutare nel proprio organico personale qualificato (id est farmacisti iscritti all’albo), con effetti sulla spesa sanitaria che la Corte ha anche in passato ricondotto alla esclusiva prerogativa della gestione commissariale.
Da notare che la rigida interpretazione del rapporto tra fonti, con prevalenza di quelle statali dedicate al contenimento della spesa sanitaria per il personale, è stata confermata dalla Corte nonostante che la difesa regionale avesse tentato di aggirare l’ostacolo sottolineando che la necessità del professionista all’interno delle anzidette strutture risultava strumentale alla tutela del paziente/degente, troppo spesso esposto al rischio che decisioni riguardanti i trattamenti da impartire e decisioni di carattere sanitario fossero, di fatto, demandate a personale sprovvisto delle opportune qualifiche professionali.
La Corte ritiene, altresì, fondata la seconda questione proposta, che investe la legittimità dell’art.1, comma 2, della legge Regione Calabria 24/2020, per lesione della competenza esclusiva statale in materia di “ordinamento civile”. La previsione dell’obbligatorietà di prerequisiti quali l’abilitazione alla professione di farmacista e l’iscrizione al relativo albo, laddove la normativa di riferimento per la partecipazione ai concorsi nel comparto sanità (art.32 d. P.R. n.483/97) richiede il solo possesso della specializzazione, incide in maniera illegittima sull’uniformità che sul territorio nazionale deve avere la disciplina che regola i rapporti di impiego di settore.
Interessante dal punto di vista del rapporto tra fonti è, in ultimo, la questione di legittimità dell’art.3, comma 2, della legge impugnata che pure viene considerata fondata dalla Corte.
La materia che viene in evidenza è quella, sempre di competenza esclusiva statale, delle “professioni”. Dall’esame della normativa regionale si evince che, in sostanza, essa risulti attribuire al farmacista ambiti di attività ulteriori e più ampi rispetto a quelli contenuti nelle norme nazionali (art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 258 del 1991). In particolare la norma in questione attribuisce al farmacista compiti quali quelli di “prendere visione e fare consulenza della terapia farmacologica da adottare sul paziente; controllare l’aderenza terapeutica; verificare l’interazione tra farmaco-farmaco, farmaco-cibo, farmacodisturbi comportamentali”, che non gli sono invece riconosciuti nella disciplina statale.
Da notare come la Corte individui un doppio contrasto tra fonti della disciplina regionale indubbiata. Oltre la disciplina nazionale appena richiamata (comunque adottata in base al diritto europeo di settore), la Corte richiama altresì la più recente disciplina europea che tende ad ampliare gli ambiti di attribuzione del farmacista anche distinguendo tra farmacista e farmacista ospedaliero. In questo senso, la Consulta lascia intendere di aver assunto a parametro anche la disciplina europea per chiedersi se la legge regionale fosse almeno compatibile con il più avanzato diritto eurounitario (peraltro in parte anch’esso recepito in ambito nazionale; decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE; decreto legislativo 28 gennaio 2016, n. 15, recante «Attuazione della direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante modifica della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 1024/2012), il che avrebbe potuto far concludere per la legittimità della normativa regionale nel più ampio contesto europeo.
Dunque, la dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultima norma è dipesa principalmente dal fatto che le attribuzioni che essa conferisce al farmacista contrastano per eccesso soprattutto con le disposizioni europee che – pur ampliando le attuali funzioni del farmacista (consigli sui medicinali in quanto tali, compreso il loro uso corretto, segnalazione alle autorità competenti degli effetti indesiderati dei prodotti farmaceutici, accompagnamento personalizzato dei pazienti che praticano l’automedicazione, contributo a campagne istituzionali di sanità pubblica) – non arrivano comunque a ricomprendere quelle attività invece previste nella disposizione regionale.