Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (1/2023)

Periodo di riferimento: novembre 2022 – febbraio 2023

I. Introduzione

Nel periodo di riferimento considerato, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha adottato due rilevanti provvedimenti di natura regolamentare, vale a dire la Delibera n. 3/23/CONS, recante il nuovo «Regolamento in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell'equo compenso per l'utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all'articolo 43-bis della legge 22 aprile 1941 n.633»[1] e la Delibera n. 37/23/CONS, recante il «Regolamento in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona ai sensi dell’articolo 30 del Decreto Legislativo 8 novembre 2023, n. 208 (Testo Unico dei servizi di media audiovisivi)»[2].

Nella presente segnalazione si illustreranno brevemente iter di approvazione e contenuti delle rispettive delibere.

II. Delibera n. 3/23/CONS. Regolamento in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell'equo compenso per l'utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all'articolo 43-bis della legge 22 aprile 1941 n.633

A) Lo scenario di riferimento. Il regolamento dell’Autorità introduce un nuovo tassello per l’implementazione della c.d. Direttiva Copyright, già trasposta nel nostro ordinamento con il Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 177[3].

In particolare, l’articolo 43-bis della legge del 22 aprile 1941, n. 633, come introdotto dall’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177, attribuisce all’Autorità il compito di adottare un regolamento per l’individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso dovuto agli editori per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, nonché funzioni di vigilanza sul rispetto degli obblighi di informazione e comunicazione previsti dallo stesso articolo.

Il regolamento in oggetto ha dunque una genesi di livello unionale: la direttiva UE 2019/790 Direttiva intende assicurare una tutela giuridica armonizzata per gli utilizzi online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, allo scopo di remunerare l’investimento dell’editore, garantendo al contempo una informazione di qualità. In altri termini, l’articolo 15 della Direttiva intende colmare il cd. “value gap” ossia l’iniqua distribuzione del valore generato dallo sfruttamento in ambiente digitale di un contenuto protetto, nell’ambito dei rapporti economici tra il titolare del diritto (editore) e il prestatore di servizi che veicola questo contenuto online. L’obiettivo ultimo è, dunque, consentire la circolazione dei contenuti digitali favorendo una più razionale allocazione delle risorse, in un’ottica redistributiva delle revenue.

È noto, in merito, che i prestatori di servizi della società dell’informazione e, in particolare, quelli di servizi di intermediazione e di ricerca online hanno acquisito un’inedita centralità nelle abitudini di consumo degli utenti, offrendo nuovi sistemi di accesso e distribuzione di contenuti: le nuove forme di diffusione dei contenuti online hanno attratto un pubblico sempre più vasto in ragione della più agevole circolazione dei contenuti medesimi. In particolare, l’ampia disponibilità di pubblicazioni di carattere giornalistico online ha comportato la nascita di nuovi servizi digitali, come gli aggregatori di notizie o i servizi di monitoraggio dei media, per i quali il riutilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico costituisce una parte importante dei loro modelli di business e una fonte considerevole di introiti. Dal canto loro, i prestatori offrono servizi all’utente prevalentemente a titolo gratuito, in quanto la loro remunerazione si radica sui ricavi pubblicitari, nonché sullo sfruttamento dei dati degli utenti.

Alla facilità di reperimento e all’abbondanza di contenuti si accompagna, tuttavia, il rovescio della medaglia.

Il vuoto delle regole o, al più, il sostanziale regime di anarchia delle stesse, hanno determinato l’affermazione di modelli di business nell’ecosistema digitale in cui le grandi piattaforme hanno acquisito un vantaggio competitivo sbilanciato a proprio favore rispetto agli operatori tradizionali, avvantaggiandosi di posizioni potere di mercato incomparabilmente più forti di quelle proprie dei titolari dei diritti. In questa lotta tra nani e giganti si inserisce l’art. 15, che ha quindi riconosciuto agli editori di giornali, nei confronti degli internet service provider, un diritto connesso per la messa a disposizione in rete delle loro pubblicazioni, ferma restando l’esclusione dell’obbligo di remunerazione per gli utilizzi privati o non commerciali, dei link e degli estratti molto brevi, i cosiddetti snippet.

Il legislatore delegato del 2021, chiamato a dare attuazione alla direttiva tramite l’art. 43 bis LDA riproduttivo dell’art. 15 della Direttiva ha quindi rimesso la definizione del compito regolatorio all’Autorità, conferendole, a sua volta, una “delega” e investendola del compito di dare attuazione sostanziale a parte rilevante delle disposizioni in esso contenute[4]. Il decreto opera un rinvio formale (o mobile) a norme prodotte da altre fonti a esso esterne: in altri termini, qui la fonte delegata non esaurisce la disciplina di riferimento, piuttosto la rimette a nuove fonti esterne, con l’effetto di auto-integrarsi con le norme che di volta in volta sono da quest’ultima prodotte.

Sicché, il quadro normativo rappresenta la risultante della stratificazione fra fonti diacronicamente scadenzate, ma provenienti da soggetti diversi: a seguito delle indicazioni di livello europeo, sono intervenuti, rispettivamente, Parlamento nazionale, esecutivo centrale, regolatore, stakeholders. Si tratta di una fattispecie normativa a formazione progressiva, destinata a evolversi in ragione dei mutamenti dello scenario tecnologico e di mercato. Proprio con riferimento ai regolamenti dell’Autorità, chiamati a specificare numerosi precetti normativi del TUSMA, si è espresso il Consiglio di Stato[5] che ha confermato la legittimità della prassi di conferire l’attuazione normativa del decreto medesimo «…pressoché integralmente, a regolamenti dell’AGCOM…che sono destinati a disciplinare fattispecie che incidono direttamente su posizioni soggettive e sovente daranno consistenza normativa a proposizioni che nella direttiva europea e nel decreto legislativo riservano margini cospicui di adattamento e d’interpretazione, rimettendo di fatto l’effettivo rispetto della delega a tale livello di regolazione»[6].

B) I criteri per il calcolo dell’equo compenso. Il regolamento sull’equo compenso per le pubblicazioni giornalistiche ha individuato i modelli e i criteri finalizzati a garantire il riconoscimento e lo sfruttamento dei diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico degli editori, rispondendo allo stesso tempo alla necessità di effettuare un adeguato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti. Infatti, in una prospettiva pubblicistica, deve essere garantita la tutela della libertà di espressione, il pluralismo dell’informazione, e la libera iniziativa economica tramite incentivi per il mantenimento di un elevato livello di investimenti nell’innovazione, inclusa quella tecnologica. In un’ottica privatistica, deve essere salvaguardata la libertà negoziale delle parti e la stipulazione di accordi reciprocamente vantaggiosi.

In questa tensione fra valori contrapposti l’Autorità ha inteso conservare una funzione sussidiaria.

Ne consegue che l’equo compenso è, in via preliminare, oggetto di una libera negoziazione tra le parti che, nel pieno esercizio della loro autonomia contrattuale, possono addivenire ad un accordo tenendo conto anche dei criteri definiti dal regolamento per il calcolo dell’equo compenso.

In secondo luogo, anche in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, si sottolinea come resti impregiudicato il diritto delle parti di ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria al fine di dirimere l’eventuale controversia di natura negoziale.

Solo allorquando non emergano queste condizioni, su istanza di parte, l’Autorità può essere chiamata a intervenire al fine di offrire alla contrattazione una valida gamma di strumenti per la conduzione delle trattative.

Entrando nel merito delle disposizioni, il regolamento individua innanzitutto il perimetro soggettivo dei soggetti destinatari: da un lato, i soggetti attivi titolari del diritto, secondo una definizione di editori di giornali che insiste sull’elemento oggettivo della pubblicazione e, in quanto tale, ricomprende quotidiani, periodici e agenzie di stampa. Dall’altro lato i soggetti passivi, cioè i prestatori di servizi della società dell’informazione – quali (in via esemplificativa e non esaustiva) motori di ricerca, social media, aggregatori di notizie – e alle imprese di media monitoring e rassegna stampa.

Con specifico riguardo ai criteri di calcolo, in caso di prestatori di servizi della società dell’informazione diversi da imprese di media monitoring e rassegne stampa (in altre parole, nel caso della negoziazione con i c.d. Over The Top (OTT)), l’articolo 4 del Regolamento prevede che l’equo compenso dovuto agli editori sia calcolato sulla base dei ricavi pubblicitari del prestatore derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico, al netto dei ricavi dell’editore attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web dalle pubblicazioni stesse. A questa base di calcolo si applica un’aliquota fino al 70%, determinata sulla base di specifici criteri, considerati cumulativamente e con peso decrescente: a) numero di consultazioni online delle pubblicazioni, espresso in termini di visualizzazioni e interazioni degli utenti; b) rilevanza dell’editore sul mercato, come audience on line; c) numero di giornalisti impiegati dall’editore per la realizzazione delle pubblicazioni diffuse online; d) costi comprovati sostenuti dall’editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione delle pubblicazioni; e) costi comprovati sostenuti dal prestatore per investimenti tecnologici e infrastrutturali dedicati esclusivamente alla riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni; f) adesione e conformità, dell’editore e del prestatore, a codici di condotta/etici, a standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking; g) anni di attività dell’editore, anche in relazione alla storicità della testata.

In altri termini, il divario nella distribuzione degli introiti fra le due categorie ha come base di calcolo i ricavi pubblicitari del prestatore derivanti dallo sfruttamento delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore, gli unici in qualche modo misurabili, a cui andranno però sottratti i benefici economici derivanti all’editore dai servizi del prestatore. 

Nell’ipotesi in cui l’equo compenso sia dovuto da imprese di media monitoring e rassegne stampa (IMMRS), il Regolamento non indica un’aliquota e prevede dei criteri ad hoc rispondenti alle specificità dei prestatori. Cumulativamente e con peso decrescente, l’articolo 6 elenca quali criteri: a) numero di articoli riprodotti all’interno della rassegna stampa, anche tramite collazione di articoli o del servizio di media monitoring, nell’anno di riferimento; b) numero effettivo degli utenti finali contrattualizzati per iscritto; c) benefici derivanti dalla rilevanza dell’editore sul mercato di riferimento valutati in relazione agli interessi del contraente; d) numero dei giornalisti impiegati dall’editore; e) anni di attività dell’editore, anche in relazione alla storicità della testata.

 Il regolamento prevede specifici obblighi in forza dei quali i prestatori sono tenuti a mettere a disposizione – su richiesta della parte interessata, anche tramite organismi di gestione collettiva o entità di gestione indipendenti (qualora mandatari), o dell’Autorità – i dati necessari ad applicare i criteri previsti per la determinazione dell’equo compenso, fermo restando il rispetto della riservatezza da parte degli editori.

L’Autorità, che vigila sull’osservanza di tali obblighi, può in qualsiasi momento acquisire ogni elemento necessario appunto alla determinazione dell’equo compenso, attraverso richieste di informazioni/documenti ed ispezioni.

In caso di mancata comunicazione delle informazioni necessarie entro trenta giorni dalla richiesta, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del soggetto inadempiente fino all’1% del fatturato realizzato sul mercato nazionale nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della contestazione.

 Si rammenta che gli editori nel corso delle trattative potranno avvalersi anche della cd. negoziazione assistita, finalizzata a rendere effettivamente esercitabile il diritto connesso facente capo alla parte più debole del rapporto, ossia le imprese editoriali, e in particolare quelle che incontrano maggiori difficoltà a intavolare una negoziazione equa con i prestatori di servizi della società dell’informazione, tipicamente piccoli e medi editori, che avranno anche la possibilità, ove interessati, di affidarsi ad organismi di gestione collettiva dei diritti, quali loro mandatari.

C) L’intervento suppletivo dell’Autorità ai fini della determinazione dell’equo compenso. Come previsto dall’art. 43-bis, c. 10, LDA, fermo restando il diritto di adire l’autorità giudiziaria ordinaria, se entro trenta giorni dalla richiesta di avvio del negoziato di una delle parti interessate non viene raggiunto un accordo sull’ammontare del quantumdovuto all’editore, ciascuna delle parti si può rivolgere all’Autorità per la determinazione dell’equo compenso. Gli articoli 8, 9, 10, 11 e 12 disciplinano la Procedura per la richiesta di intervento dell’Autorità ai fini della determinazione dell’equo compenso, attivabile in caso di mancato accordo tra le Parti, fermo restando il diritto, per ciascuna di esse, di adire l’autorità giudiziaria ordinaria.

Gli articoli 8 e ss. del Regolamento provvedono a disciplinare la relativa procedura.

L’istanza all’Autorità dovrà essere trasmessa compilando un apposito modulo informatico a pena di irricevibilità, e nel termine di sessanta giorni (una volta trascorsi inutilmente i trenta dalla richiesta di avvio del negoziato) a pena di inammissibilità (art. 9).

Sono anche regolate la trasmissione dell’istanza alla parte convenuta (art. 10 Reg.) e la convocazione delle parti dal responsabile del procedimento (art. 11 Reg.).

L’organo collegiale dell’Autorità, entro sessanta giorni lavorativi dalla ricezione dell’istanza, delibera quale delle proposte economiche formulate sia conforme ai criteri previsti dal Regolamento; se nessuna lo è, indica d’ufficio l’ammontare dell’equo compenso (art. 12).

 

III. Delibera n. 37/23/CONS. Regolamento in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona ai sensi dell’articolo 30 del Decreto Legislativo 8 novembre 2023, n. 208 (Testo Unico dei servizi di media audiovisivi)

A) L’iter di approvazione. Nella seduta del 22 febbraio u.s., il Consiglio ha approvato all’unanimità il Regolamento in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, di rispetto del principio di non discriminazione e di contrasto ai discorsi d’odio, in attuazione delle disposizioni dell’articolo 30 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi.

L’autorità ha quindi ancora una volta assolto al compito demandatole dal decisore politico. Difatti, il comma 2 dell’articolo 30 del Testo Unico[7] amplia gli strumenti a disposizione dell’Autorità in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona e di contrasto ai discorsi d’odio affidando alla medesima la definizione, con un apposito regolamento, di idonei criteri vincolanti al fine di indirizzare la programmazione dei fornitori dei servizi di media audiovisivi in modo da prevenire la violazione dei divieti previsti dal comma 1 della medesima norma.

Una volta approvata la bozza di regolamento, il medesimo è stato assunto a valle della consultazione pubblica avviata con Delibera 292/22/CONS[8] del luglio scorso che ha visto un’ampia partecipazione del settore dei servizi media principali destinatari del Regolamento, e dei vari stakeholders[9].

B) Il contenuto del regolamento. Il regolamento indica i criteri cui i programmi televisivi devono attenersi al fine di prevenire le violazioni dei diritti. In altri termini, il regolamento prevede in via precauzionale precisi obblighi di condotta, al fine di prevenire ex ante l’evento temuto, alla luce del balancing test fra valori primari stabiliti dalla Costituzione e a livello unionale. Pertanto, i fornitori di servizi media nel definire la programmazione e la sua modalità di conduzione sono soggetti a una obbligazione di risultato, la cui inottemperanza determina l’applicazione del presidio sanzionatorio.

Nel merito, il provvedimento opera secondo un’ottica di salvaguardia di valori costituzionalmente tutelati, quali la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela dei diritti della persona. A tal fine, introduce una tutela rafforzata per le lesioni più gravi dei diritti fondamentali, quali l’istigazione alla violenza, all’odio o a commettere reati di terrorismo. I punti fondamentali delle nuove norme prevedono che i programmi di informazione e di intrattenimento non debbano: contenere espressioni suscettibili, in maniera diretta o indiretta, di istigare a commettere reati o effettuare apologia degli stessi; offendere la dignità umana; diffondere, incitare, propagandare oppure di giustificare, minimizzare o in altro modo legittimare la violenza, l’odio o la discriminazione; offendere la dignità umana nei confronti di un gruppo di persone o un membro di un gruppo sulla base di uno dei motivi di cui all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, il Regolamento recepisce il presidio sanzionatorio che il legislatore ha individuato nel caso di violazione delle disposizioni con sanzioni che vanno dai 30.000 ai 600.000 euro. L’odierno intervento, infine, getta le basi per la riflessione in materia di estensione della tutela della persona sulle piattaforme video, al fine di dare attuazione agli artt. 41 e 42 del Testo unico.

Proprio in merito a tale ultimo punto, alcuni partecipanti alla consultazione hanno evidenziato che le espressioni o discorsi d’odio (hate speech), sono di regola diffuse non sui media tradizionali (tv, radio, carta stampata), ma tramite il web, spesso a causa di notizie diffuse senza la intermediazione operata dai giornalisti (il pubblico è raggiunto da ogni genere di notizia attraverso social, blog e siti). Ciò in quanto i fenomeni di discorsi d’odio nei media tradizionali sono trascurabili rispetto a quanto accade nella rete, e pertanto hanno rilevato che alcune norme risultano eccessivamente gravose per i fornitori di servizi di media audiovisivi, mentre nessuna disposizione cogente viene rivolta alle piattaforme o ai social e, in generale, a quanto diffuso on line. Questo, ad avviso di alcuni partecipanti, determina conseguenze negative, sia con riguardo al level playing field tra le stesse piattaforme e i media audiovisivi, sia in relazione all’evidente emergenza rappresentata dalla diffusione dell’hate speech in rete.

Come emerge dalle motivazioni a corredo del procedimento della consultazione, l’Autorità ha ritenuto che l’ambito di applicazione del regolamento non comprenda i fornitori di piattaforme per la condivisione di video in quanto le disposizioni applicabili ai servizi di piattaforma per la condivisione di video con riguardo alla lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro la violazione della dignità umana sono contenute negli articoli 41 e 42 del Testo Unico che, a loro volta, attribuiscono all’Autorità specifiche competenze in materia. Pertanto, l’Autorità definirà le modalità di esercizio delle nuove funzioni di regolazione, di vigilanza e sanzionatorie con specifici regolamenti applicabili ai servizi di piattaforma per la condivisione di video.

C) Il presidio sanzionatorio e il mantenimento della cd. diffida. Il comma 3 dell’articolo 30 del Testo Unico introduce uno specifico presidio sanzionatorio per i casi di inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 e di quelle stabilite nel regolamento adottato dall’Autorità; a norma del successivo articolo 67 del Testo Unico, l’Autorità eroga le sanzioni amministrative pecuniarie da 30.000 euro a 600.000 euro in caso di violazione delle “disposizioni in materia di tutela dei diritti fondamentali di cui all’articolo 30”.

Il Testo Unico ha quindi previsto, per la prima volta, l’applicazione da parte dell’Autorità di apposite sanzioni pecuniarie nel caso in cui venga accertata la violazione del divieto di istigazione alla violenza e all’odio; tuttavia, l’irrogazione di sanzioni pecuniarie è stata prevista dal legislatore soltanto in relazione ai casi di violazione delle previsioni di cui all’art. 30 del Testo Unico cui è stata data attuazione dall’Autorità nell’art. 4 dello schema di regolamento. Invero l’art. 30, pur introducendo la sanzione pecuniaria in via immediata, ha una portata limitata ai contenuti che possano veicolare istigazione a commettere reati ovvero apologia degli stessi, in particolare istigazione alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone o un membro di un gruppo sulla base di uno dei motivi di cui all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea o in violazione dell’art. 604 -bis del codice penale, o a commettere reati di terrorismo di cui all’articolo 5 della direttiva (UE) 2017/541. Per i principi che regolano l’illecito amministrativo non è possibile estendere la portata dell’art. 30 ad ipotesi ulteriori rispetto a quelle ivi contemplate. Ciò implica che le eventuali violazioni dei principi generali in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona che non integrano le condotte vietate dal richiamato art. 30 non risultano direttamente sanzionabili, stante il principio di legalità (e di conseguente tipicità dell’illecito amministrativo) di cui all’art. 1 della legge n. 689/81.

L’Autorità, pertanto, al fine di reprimere eventuali condotte che non rientrano in quelle per cui il legislatore commina una sanzione pecuniaria, ha ritenuto, sulla scorta di alcune osservazioni emerse nel corso della consultazione, di non abrogare il precedente Regolamento di cui alla delibera n. 157/19/CONS[10], che a sua volta prevede un paradigma procedurale basato su una diffida, impartita ai fornitori di servizi media, a rispettare le norme del Regolamento, come forma di ammonimento cui segue, in caso di inottemperanza a detta diffida, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 1, comma 31, della legge n. 249/1997. Invero, l’adozione di una (previa) diffida ai sensi dell’articolo 1, comma 31, della legge n. 249 del 1997) si rende necessaria in tutti i casi in cui la legge si limiti a dettare soltanto dei principi in una certa materia, i quali, sebbene ulteriormente declinati dal presente regolamento, possono comunque richiedere la necessità di un intervento dell’Autorità che specifichi un obbligo di facere o di non facere, mediante provvedimenti di diffida o di ordine specifici, prima di procedere con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria nei confronti del fornitore di servizi di media audiovisivi (per inottemperanza a ordini o diffide). Pertanto, tale regolamento può trovare applicazione nei casi in cui siano accertate condotte che, pur non rientrando nell’ambito applicativo dell’art. 30, risultano comunque vietate in virtù delle disposizioni di carattere generale contenute negli articoli 4, comma 1, e 9, comma 1, del Testo Unico al fine di garantire il rispetto dei principi generali in materia di tutela della dignità della persona. L’articolo 11 del regolamento in commento è stato quindi modificato con il rinvio al precedente regolamento recante disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech approvato con delibera n. 157/19/CONS.

 

 

[1] Reperibile al seguente link:

https://www.agcom.it/documentazione/documento?p_p_auth=fLw7zRht&p_p_id=101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE&p_p_lifecycle=0&p_p_col_id=column-1&p_p_col_count=1&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_content&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_assetEntryId=29414509&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_type=document

[2] Reperibile al seguente link:

https://www.agcom.it/documentazione/documento?p_p_auth=fLw7zRht&p_p_id=101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE&p_p_lifecycle=0&p_p_col_id=column-1&p_p_col_count=1&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_content&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_assetEntryId=29764157&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_type=document

[3] Recante Attuazione della direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE, che a sua volta ha introdotto l’art. 43-bis della Legge 22.04.1941, n. 633 (Legge sul Diritto d’Autore, LDA). Tale art. riprende l’art. 15 della Direttiva, ai sensi del quale “agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico è riconosciuto un equo compenso per l’esercizio dei diritti di riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni stesse da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, una quota del quale, compresa tra il 2 ed il 5%, spetta agli autori”.

[4] Per alcune riflessioni sulla delega normativa operata a mezzo di decreto delegato e regolamenti secondari, sia consentito il rinvio a Marana Avvisati, Note minime su delega legislativa e regolamenti di delegificazione. Il caso della legge delega su minori e audiovisivo, in «Osservatorio sulle fonti», n. 1, 2019.

[5] Parere Consiglio di Stato, Adunanza di Sezione del 21 settembre 2021, numero affare 00944/2021.

[6] Esula dall’economia di questo scritto il discorso intorno alle modalità di attuazione dell’istituto della delega legislativa in coerenza con la norma di cui all’art. 76 Cost., su cui, peraltro, ebbe modo di esprimersi la Corte Costituzionale con sent. n. 104 del 2017.

[7] L’articolo 30, comma 1, del Testo Unico stabilisce che “1. I servizi di media audiovisivi prestati dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione 292/22/CONS 3 italiana non devono contenere alcuna istigazione a commettere reati ovvero apologia degli stessi, in particolare: a) istigazione alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone o un membro di un gruppo sulla base di uno dei motivi di cui all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea o in violazione dell’art. 604 -bis del codice penale; b) alcuna pubblica provocazione a commettere reati di terrorismo di cui all’articolo 5 della direttiva (UE) 2017/541”.

[8] Delibera n. 292/22/CONS recante Consultazione pubblica sullo schema di regolamento in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, di rispetto del principio di non discriminazione e di contrasto ai discorsi d’odio.

[9] Delibera n. 410/14/CONS, del 29 luglio 2014, recante Regolamento di procedura in materia di sanzioni amministrative e impegni e Consultazione pubblica sul documento recante Linee guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni” come modificata, da ultimo, dalla delibera n. 697/20/CONS.

[10] Delibera n. 157/19/CONS, Regolamento recante disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech, reperibile in:

https://www.agcom.it/documentazione/documento?p_p_auth=fLw7zRht&p_p_id=101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE&p_p_lifecycle=0&p_p_col_id=column-1&p_p_col_count=1&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_content&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_assetEntryId=15055471&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_type=document

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