Con la sentenza n. 8 del 2023 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili, per erroneità del presupposto interpretativo, le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale ordinario di Lecce, sez. lav., in relazione all’art. 2033 c.c. nella parte in cui la norma non prevede l’irripetibilità dell’indebito retributivo o previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione, nel caso di specie) quando le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato un legittimo affidamento del percettore circa la spettanza di dette somme. In specie, a giudizio dei rimettenti, in presenza di un legittimo affidamento del percettore, la pretesa restitutoria da parte del soggetto pubblico si porrebbe in violazione degli artt. 11 e art. 117, primo comma Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. Addiz. CEDU.
I Giudici hanno ripercorso preliminarmente la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo in materia di ripetizione degli indebiti retributivi e previdenziali erogati da soggetti pubblici; in particolare, si sono soffermati sull’interpretazione fornita dell’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, secondo il quale «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni». Per la Corte europea, nella tutela di detti beni rientrerebbe anche il legittimo affidamento. In diverse sentenze sono stati, infatti, specificati i presupposti che consentono di identificare quando l’affidamento del percettore sia legittimo e le condizioni in presenza delle quali la richiesta dell’ente erogatore di ripetizione dell’indebito possa essere considerata, invece, un’interferenza sproporzionata[1].
A riguardo, tuttavia, la Corte Edu ha specificato che la presenza, in astratto, di siffatti presupposti non implica automaticamente l’intangibilità della prestazione economica erogata. In concreto, infatti, risulta necessario attuare un bilanciamento tra l’esigenza di recuperare le prestazioni indebitamente erogate e la tutela dell’affidamento incolpevole del beneficiario. Ciò che la giurisprudenza della Corte europea ha censurato nelle proprie pronunce è stato, semmai, l’eventuale mancanza di proporzionalità tra i due distinti e opposti interessi. A riguardo, tra le circostanze incidenti, secondo la Corte Europea, devono annoverarsi sicuramente le specifiche modalità di restituzione dell’indebito imposte dall’ente erogatore al beneficiario. In particolare, se, ad esempio, tale pretesa restitutoria ometta o meno di considerare in modo adeguato la fragilità economico-sociale o di salute dell’obbligato.
Premesso tutto ciò, la Corte costituzionale ha evidenziato come l’ordinamento italiano appresti numerosi strumenti di tutela al percipiente che incolpevolmente ha fatto affidamento sulla legittimità della erogazione indebita ricevuta dall’ente pubblico. In specie, rispetto alle diverse tipologie di prestazioni indebite, l’ordinamento italiano prevede un complesso apparato di rimedi specifici, tra cui l’irripetibilità delle somme.
Invero, a parere della Corte, il legislatore ha predisposto un quadro di tutele previdenziali, pensionistiche, assicurative, assistenziali e retributive particolarmente incisive. Per tali specifiche tipologie di prestazioni indebite, infatti, il sistema normativo interno esclude tout court la ripetizione dell’indebito; unica eccezione all’irripetibilità è l’ipotesi in cui l’accipiens sia consapevole di aver percepito un indebito. In tali discipline eccezionali frutto di una valutazione discrezionale del legislatore non è richiesta alcuna prova dell’affidamento, sicché quest’ultimo, più che rilevare quale interesse protetto, si configura come modello ispiratore.
Al di fuori del raggio di tali disposizioni speciali opera invece la disciplina generale dell'indebito oggettivo di cui all’art. 2033 cod. civ., il quale prevede che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto a ripetere ciò che ha pagato. Sennonché, a fronte del generale obbligo restitutorio previsto dalla norma, i Giudici costituzionali hanno posto in risalto come anch’esso trovi, in realtà, diverse mitigazioni.
Da un lato, è lo stesso art. 2033 cod. civ. a prevedere che, in ipotesi di buona fede soggettiva dell’accipiens, i frutti e gli interessi vadano corrisposti solo a partire dalla domanda di restituzione. Dall’altro lato, poi, si rinviene nell’ordinamento italiano la clausola generale di buona fede oggettiva, suscettibile di valorizzare la specificità degli elementi posti in risalto dalla giurisprudenza della Corte EDU a fondamento dell’affidamento legittimo.
Tale clausola generale plasma, per un verso, ex art. 1175 cod. civ., l’attuazione del rapporto obbligatorio e, dunque, condiziona l’esecuzione dell’obbligazione restitutoria che ha fonte nell’art. 2033 c.c. Per un altro verso, la buona fede oggettiva permette, tramite l’art. 1337 c.c., di identificare i casi di affidamento legittimo meritevoli di tutela.
In specie, riguardo a quest’ultimo punto, la Corte ha posto in luce come il diritto vivente abbia da tempo estrapolato dall’art. 1337 c.c. – riferito alla tutela dell’affidamento rispetto alla conclusione di un contratto – un possibile modello generale di tutela dell’affidamento legittimo. Dalla citata norma, infatti, la giurisprudenza è solita individuare i presupposti che consentono di ravvisare i casi di affidamento legittimo meritevole di tutela. Ebbene, questa attitudine della buona fede oggettiva a recepire l’evoluzione giurisprudenziale consente, a parere della Corte, di ravvisare nell’art. 1337 c.c. una cornice giuridica capace di valorizzare, a livello nazionale, i presupposti individuati dalla Corte EDU per fondare il riconoscimento di un affidamento legittimo circa la spettanza di una prestazione indebita erogata. In sostanza, gli elementi che possono rilevare ex fide bona, ai fini dell’individuazione di un affidamento legittimo, sono i medesimi di cui si avvale la Corte EDU per l’individuazione delle ipotesi di legitimate expectation. Entrambe le fonti pongono attenzione, anzitutto, alla relazione instaurata fra solvens e accipiens, dal momento che non basta l’apparenza di un titolo posto a fondamento dell’attribuzione per ingenerare un legittimo affidamento in una prestazione indebita.
Ebbene, dati tali presupposti costitutivi, la Corte Costituzionale ha gettato luce sui rimedi che l’ordinamento nazionale prevede a tutela dell’affidamento legittimo.
A riguardo, una prima fondamentale tutela spetta alla categoria della inesigibilità, la quale si radica nella clausola generale di cui all’art. 1175 c.c. Il canone di comportamento impone al creditore di esercitare la sua pretesa restitutoria tenendo in considerazione le circostanze concrete in cui si è verificato l’indebito; più precisamente delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato. Ciò significa che la clausola della buona fede oggettiva consente in taluni casi – sul presupposto dell’affidamento ingenerato – di mitigare l’obbligo restitutorio in capo all’accipiens mediante modalità di pagamento favorevoli a quest’ultimo, come la rateizzazione. Ne consegue che, all’atto pratico, la pretesa del creditore si dimostrerà inesigibile fintantoché non venga richiesta con mezzi che il giudice reputi conformi a buona fede oggettiva[2].
La Corte ha messo in risalto come gli interpreti, tenendo conto proprio delle condizioni concrete, abbiano individuato, ex fide bona, diverse forme di inesigibilità – sia temporanea sia parziale – della prestazione di ripetizione dell’indebito di cui all’art. 2033 c.c. In specie, in tutti i casi in cui l’esercizio concreto della pretesa creditoria entri in conflitto con la tutela del legittimo affidamento, il rimedio dell’inesigibilità funge da causa esimente del debitore, cioè da contro bilanciamento alla posizione abusiva e contraria a buona fede assunta dal creditore. Oltre a ciò, una volta individuati i tratti del legittimo affidamento, è dato riconoscere, nell’ipotesi di una sua lesione, anche una possibile tutela risarcitoria dentro le coordinate della responsabilità precontrattuale.
Alla luce quadro di rimedi offerto dall’ordinamento nazionale, i Giudici costituzionali hanno escluso, dunque, che l’art. 2033 c.c. – fonte generale dell’indebito oggettivo – presenti i prospettati profili di illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., rispetto al parametro interposto di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
[1] In specie, i motivi individuati sono i seguenti: 1) L’erogazione di una prestazione a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisca in buona fede o su spontanea iniziativa del soggetto pubblico. 2) La provenienza dell’attribuzione da parte di un ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all'esito di un procedimento fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale la cui applicazione venga percepita dal beneficiario come fonte della prestazione economica erogata, individuabile anche nel suo ammontare. 3) La mancanza di una attribuzione della prestazione manifestamente priva di titolo o basata su meri errori materiali; 4) Un’erogazione effettuata in relazione a un’attività lavorativa ordinaria e non a una prestazione isolata od occasionale, per un periodo sufficientemente lungo da far nascere la ragionevole convinzione circa il carattere stabile e definitivo della medesima. 5) L’omessa previsione di un’espressa riserva di ripetizione.
[2] ex multis, Consiglio di Stato, Sez. II, sent. 10 dicembre 2020, n. 7889; Par. 31 dicembre 2018, n. 3010; Adunanza Plenaria, sent. 26 ottobre 1993, n. 11.