Periodo di riferimento: novembre 2023 – gennaio 2024
I. Introduzione
Nel periodo di riferimento considerato, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha adottato un rilevante provvedimento di natura regolamentare, vale a dire la Delibera n. 7/24/CONS, rubricata «Linee-Guida volte a garantire il rispetto delle disposizioni del testo unico da parte degli influencer e istituzione di un apposito tavolo tecnico»[1]. Di seguito verranno illustrati i principali contenuti del provvedimento, evidenziandone contenuti e ambito applicativo.
II. Quanto al perimetro soggettivo del parametro regolamentare
Il provvedimento introduce un insieme di regole indirizzate agli influencer operanti in Italia ai quali si applicherà la disciplina del Testo unico Servizi Media audiovisivi. Pertanto, gli influencer sono considerati soggetti equiparati ai fornitori di servizi media audiovisivi. In altre parole, con le Linee guida si assiste a un processo di ulteriore assottigliamento della distinzione tra media tradizionale (in primis la televisione), piattaforme digitali e influencer, in un’ottica di convergenza delle regole che riflette, a sua volta, il dirompente e costante processo convergenza fra media. Come è noto, oggi le norme del Testo Unico sui Servizi di Media riguardano anche le piattaforme di condivisione video (YouTube e piattaforme simili). Con l’approvazione delle nuove Linee Guida sull’influencer marketing emerge un inedito paradigma che attribuisce a tale categoria la natura di media, estendendone una parte degli obblighi di natura regolamentare, ancorché tale estensione riguardi soltanto la categoria di influencer che abbia guadagnato un’audience sufficiente ampia[2].
In particolare, si rileva che l’Autorità, all’art. 5 della Delibera 7/24/CONS, ha delineato alcune specificità che consentono di individuare ex ante quali sia la categoria di influencer che svolgono attività professionale, cui si applicano le pertinenti disposizioni del Testo unico, con ciò distinguendoli da quelli che svolgono tale attività in forma amatoriale. In particolare:
(i) influencer che propongono contenuti audiovisivi che contengono comunicazioni commerciali sulla base di accordi di qualsiasi tipo, dietro corresponsione di denaro ovvero fornitura di beni o servizi che cumulativamente: a) raggiungono un numero di iscritti (i cd. follower) pari ad almeno un milione, risultanti dalla somma degli iscritti sulle piattaforme e dei social media su cui operano; b) hanno pubblicato nell’anno precedente alla rilevazione almeno 24 contenuti; c) abbiano superato almeno su una piattaforma o social media un valore di engagement rate (la misura di quanto il pubblico interagisce con i contenuti) medio negli ultimi 6 mesi pari o superiore al 2%;
(ii) soggetti che operano in maniera meno continuativa e strutturata, e che si caratterizzano per non raggiungere la soglia sopra indicata del numero di follower e di un significativo engagement rate, ai quali, di contro, non appare giustificata l’imposizione di tali oneri, ferma restando l’applicabilità ai contenuti dagli stessi pubblicati degli artt. 41 e 42 del Testo unico[3].
Pertanto, le Linee guida in commento hanno esplicitamente escluso dal proprio raggio d’azione i cd. micro-influencer, cioè i content creator che hanno una community dalle dimensioni limitate (tra i 1000 e i 100 mila follower o like alla Pagina).
Secondo una certa corrente critica, emersa anche in fase di consultazione, in tal modo l’insieme di micro-influencer attivi in Rete non sono tenuti a rispettare il Testo unico sui servizi di media audiovisivi, al contrario di quanto invece è previsto per i grandi influencer. In merito, le Linee guida hanno motivato ampiamente la scelta operata, rappresentando, al punto 5, che «Stante la peculiare natura dei soggetti qualificabili come influencer e dei contenuti audiovisivi da questi diffusi e il confine labile tra soggetti che svolgono attività amatoriale o professionale, è opportuno elencare taluni elementi che, in sede di prima applicazione, consentono, in ossequio a principi e canoni di proporzionalità, differenziazione e adeguatezza, di individuare gli influencer che svolgono attività professionale a cui si applicano le pertinenti disposizioni del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208. I soggetti sono distinguibili in: (i) (ii) Influencer che propongono contenuti audiovisivi aventi le caratteristiche definite dalle presenti Linee guida comprendenti comunicazioni commerciali sulla base di accordi di qualsiasi tipo, dietro corresponsione di denaro ovvero fornitura di beni o servizi che cumulativamente: a. raggiungono un numero di iscritti (i cosiddetti follower) pari, in sede di prima applicazione, ad almeno un milione, risultanti dalla somma degli iscritti sulle piattaforme e dei social media su cui operano; b. hanno pubblicato nell’anno precedente alla rilevazione almeno 24 contenuti aventi le caratteristiche definite dalle presenti Linee guida; c. abbiano superato almeno su una piattaforma o social media un valore di engagement rate medio negli ultimi 6 mesi pari o superiore al 2%; soggetti che operano in maniera meno continuativa e strutturata, e che si caratterizzano per non raggiungere la soglia stabilita supra del numero di follower e di un significativo engagement rate, ai quali, di contro, non appare giustificata l’imposizione di tali oneri, ferma restando l’applicabilità ai contenuti dagli stessi pubblicati degli artt. 41 e 42 del Testo unico».
III. Quanto agli obblighi regolamentari e alla ripartizione di competenze fra Autorità indipendenti
Le Linee guida contengono i principi generali cui deve necessariamente adeguarsi la comunicazione degli influencer. In prima battuta, i contenuti non devono istigare il pubblico a commettere reati o fare apologia di reati. I creator devono anche rispettare la dignità umana e non devono “diffondere, incitare, propagandare oppure giustificare, minimizzare o in altro modo legittimare la violenza, l’odio o la discriminazione” nei confronti di persone e gruppi di persone, soprattutto nel caso di minoranze.
Parimenti, i contenuti pubblicati non devono arrecare una “vittimizzazione secondaria”, cioè deresponsabilizzare l’autore di atti di violenza, odio e discriminazione, o far ricadere parte della responsabilità sulle vittime. Infine, gli influencer devono rispettare le norma a tutela dei minori, evitando di pubblicare contenuti nocivi allo sviluppo fisico, psichico o morale dei più giovani oppure utilizzando gli strumenti forniti dalle piattaforme, se disponibili, per indicare che il contenuto è inadatto ai minori.
Inoltre, quando pubblicano un contenuto pubblicitario in collaborazione con un’azienda, gli influencer devono evitare di ricorrere a “tecniche subliminali”. Devono rispettare inoltre le norme in tema di comunicazioni commerciali, televendite, sponsorizzazioni e inserimento di prodotti stabilite dal Testo unico ed evitare la pubblicità occulta.
Come già stabilito dalla Digital Chart dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (IAP), che risale al 2016, gli influencer devono rendere riconoscibile i contenuti a scopo. Per farlo, i creatori di contenuti con collaborazioni commerciali devono inserire nel testo che accompagna il contenuto (nella descrizione di un post su Instagram o Facebook) o in sovraimpressione (ad esempio in un video su Instagram o TikTok), una scritta che evidenzi la natura pubblicitaria del contenuto in modo immediatamente riconoscibile. Per la verità, numerosi influencer già adottano questa prassi, utilizzando hashtag come #ad o #adv. Piattaforme come Instagram, inoltre, consentono di rendere riconoscibili i post pubblicitari con la dicitura “sponsorizzato” o “paid partnership with” seguito dal nome del brand.
Deve, nondimeno, evidenziarsi che sul tema entra in gioco la vexata questio relativa al riparto di competenze fra Autorità amministrative indipendenti, con possibili profili critici riguardanti i rischi di “sovrapposizione” fra le competenze delle medesime.
Infatti, l’autorità Garante della concorrenza e del Mercato è competente a sanzionare una condotta, ai sensi del Codice del consumo, in presenza di una pubblicità (id est, comunicazione commerciale) ingannevole nei confronti del consumatore. Significa che l’Autorità competente sanziona l’adozione di una condotta che ha indotto il consumatore finale, tramite la comunicazione commerciale, ad adottare una decisione che altrimenti, se correttamente informato, non avrebbe preso.
Si pensi al noto caso caso Pandoro-gate[4]: «Il caso Ferragni è un’ipotesi di pubblicità commerciale collegata a un apparente scopo benefico. Dico pubblicità commerciale perché si offre un bene contro danaro. Dico scopo benefico perché si promette che una parte dei proventi delle vendite sarà destinato a una specifica opera altruista. In questo caso la competenza è dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che è intervenuta in quanto la pubblicità del pandoro era finalizzata a un obiettivo solidaristico, poi non realizzato. Quindi, l’acquirente è stato indotto dolosamente a compiere un acquistoperaltro a un prezzo maggiorato che altrimenti non avrebbe fatto»[5].
Diverso è il discorso dell’AGCOM, che è competente a intervenire nei casi di pubblicità occulta, cioè non riconoscibile, o di pubblicità vietata (perché lesiva dei diritti dei minori o degli utenti: si pensi al divieto di pubblicità in materia di gioco d’azzardo introdotto dal cd. Decreto Dignità, o ai limiti di affollamento pubblicitario, che diventano più stringenti nelle cd. fasce protette).
Proprio in tema di riparto di competenze fra Autorità con riferimento al divieto di pubblicità occulta si segnala la recentissima sentenza del TAR del Lazio, sez. IV, 6 febbraio 2024, n. 2255, con cui i Giudici non hanno accolto la doglianza di parte ricorrente concernente il presunto difetto di competenza dell’Autorità (in favore di quella dell’AGCM) in un caso di ricorso avverso una sanzione irrogata dall’Agcom medesima per violazione del divieto di pubblicità occulta. Infatti, nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che trovi ‹‹applicazione una disciplina (l’attuazione della direttiva (UE) 2018/1808, trasfusa nel “testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”) che si riferisce ad una tutela settoriale e speciale, perfettamente corrispondente a quella disciplinata dalla legge 249/1997, vale a dire la normativa che ha istituito l’AGCOM, la quale (...) “garantisce l’applicazione delle disposizioni sulla (...) pubblicità” (art. 1, comma 6, lett. b, n. 9)››.
Si tratta di una linea di demarcazione a volte sfuggevole eppure rilevante, vista la risalente questione, mai del tutto risolta in via giurisprudenziale, relativa all’actio finium regundorum fra competenze dell’Autorità antitrust, di carattere generale, e quelle di settore, come quelle rimesse all’AGCOM. Secondo la (discutibile) giurisprudenza prevalente, in particolare, l’art. 27, comma 1 bis del Codice del Consumo, deve essere interpretato nel senso che solo in caso di contrasto (cioè insanabile incompatibilità) fra discipline - id est, disciplina generale di cui al Codice del consumo, e disciplina settoriale - prevale quest’ultima; nei restanti casi, l’astratta riconducibilità della condotta alla disciplina generale comporterebbe sempre l’applicabilità di quest’ultima, con conseguente radicamento della competenza in capo all’AGCM (Consiglio di Stato n. 7296 del 2019). Una rigida applicazione di siffatto orientamento anche alla fattispecie in esame determinerebbe, pertanto, uno svuotamento di competenze dell’AGCOM in favore dell’Antitrust.
A riprova della complessa linea di demarcazione fra competenze delle Autorità in materia di piattaforme social di condivisione di contenuti, si rammenta che l’Autorità Antitrust lo scorso anno aveva avviato un procedimento per pubblicità ingannevole e lesiva per la salute dei minori nei confronti della piattaforma TIK TOK che diramava video sulla cd. “cicatrice francese”. Come si legge nel comunicato stampa di AGCM, «L’Autorità ha deciso di avviare l’istruttoria a seguito della presenza sulla piattaforma di numerosi video di ragazzi che adottano comportamenti autolesionistici; da ultimo, è diventata virale la sfida “cicatrice francese”. La piattaforma TikTok gode di ampia popolarità, in costante crescita, soprattutto presso i minori. La sua fruizione è semplice e immediata, sia per caricare e pubblicare video sia per visionarne i contenuti, che sono proposti tramite una profilazione delle abitudini di navigazione degli utenti, dei like, delle pagine seguite, sulla base di un processo di elaborazione algoritmica.
L’Antitrust ha contestato a TikTok la mancata predisposizione di adeguati sistemi di monitoraggio per vigilare sui contenuti pubblicati dai terzi, secondo i parametri di diligenza richiesti, e soprattutto in presenza di fruitori del servizio particolarmente vulnerabili quali i minori.
Secondo l’Autorità, inoltre, le società non avrebbero applicato le proprie Linee Guida, che contemplano la rimozione di contenuti pericolosi relativi a sfide, suicidio, autolesionismo e alimentazione scorretta. Infine, si è contestato lo sfruttamento di tecniche di intelligenza artificiale suscettibili di provocare un indebito condizionamento dell’utenza. Il riferimento è, in particolare, all’algoritmo sotteso al funzionamento della piattaforma che, adoperando i dati degli utenti, personalizza la visualizzazione della pubblicità e ripropone contenuti simili a quelli già visualizzati e con cui si è interagito attraverso la funzione like».
Orbene, allorquando l’autorità Antitrust ha richiesto parere (vincolante ma non obbligatorio) all’Agcom, in prossimità di conclusione del procedimento, quest’ultima ha ritenuto che la fattispecie rientrasse nel proprio raggio d’azione. A conferma di ciò, l’Agcom ha adottato l’ordine, seguito da un adeguamento spontaneo da parte di TikTok, di rimozione di 6 video ancora presenti sulla piattaforma, che riportavano immagini di ragazzi alle prese con la sfida della “cicatrice francese”. TikTok si è adeguata, spontaneamente, all’ordine di Agcom nei cinque giorni previsti dalle norme (il Testo unico Tusma 208/2021 e il regolamento attuativo 298/2023). «È il primo provvedimento adottato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – si legge in una nota di Agcom – in applicazione del nuovo regolamento sulle piattaforme, attuativo dell’art. 41, comma 7, del TUSMA (delibera n. 298/23/CONS)» (comunicato stampa del 16 febbraio 2024).
Nonostante il parere di Agcom, con il provvedimento n. 12543 del 14 marzo 2024 l’autorità Antitrust ha sanzionato Tiktok per 10 milioni di euro, ritenendola responsabile in ordine alla «diffusione di contenuti - come quelli relativi alla challenge “cicatrice francese” - suscettibili di minacciare la sicurezza psico-fisica degli utenti, specialmente se minori e vulnerabili. Inoltre, TikTok non ha assunto misure adeguate ad evitare la diffusione di tali contenuti, non rispettando pienamente le Linee Guida di cui si è dotata e che ha reso note ai consumatori rassicurandoli che la piattaforma è uno spazio “sicuro”. Le Linee Guida vengono infatti applicate senza tenere in adeguato conto la specifica vulnerabilità degli adolescenti, caratterizzata da peculiari meccanismi cognitivi dai quali derivano, ad esempio, la difficoltà a distinguere la realtà dalla finzione e la tendenza ad emulare comportamenti di gruppo» (cfr. comunicato stampa AGCM del 14 marzo 2024). L’AGCM ha quindi qualificato la condotta come pratica commerciale scorretta, ritenendo che «ai sensi dell’articolo 27, comma 1-bis del Codice del consumo la competenza a intervenire spetta in via esclusiva dell’AGCM. La disciplina consumeristica non trova infatti applicazione “unicamente quando disposizioni estranee a quest’ultima, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29” (Corte di Giustizia UE, 13 settembre 2018, C-54/17 e C/55/17, cit.)115. 115 V. pure Consiglio di Stato, sentenza del 1° ottobre 2021, n. 6596».
IV. Quanto al perimetro oggettivo
Secondo parte della dottrina, le Linee guida hanno un raggio d’azione eccessivamente ristretto in quanto si applicano solo alle comunicazioni commerciali (compreso il caso in cui a esse sia collegato, almeno apparentemente, lo scopo benefico); ma, tuttavia, restano fuori le “esternazioni” degli influencer non collegate allo scopo commerciale, bensì aventi solo una finalità a scopo benefico e di liberalità.
«Diverso sarebbe il caso di un appello al pubblico a donare soldi per uno scopo benefico, indipendente da una transazione commerciale. Abbiamo anche qui un’Autorità indipendente pronta a intervenire?
Le linee guida sembrano scritte sul caso Ferragni, e quindi vedono corto perché non considerano ipotesi ulteriori: ad esempio, quella dell’influencer che, pur non legando il suo volto all’acquisto di un bene, usa la popolarità per attirare fondi verso un’iniziativa benefica. Ebbene, il fatto che le linee guida abbiano indicato solo talune ipotesi è interpretabile come esclusione del non enumerato, che quindi rientrerebbe nell’anarchia comportamentale dell’imprenditore»[6] .
Su questo tema, si segnala inoltre che, nella seduta del 25 gennaio 2024, il C.d.M. ha approvato un d.d.l. in materia di destinazione di proventi derivanti dalla vendita di prodotti. Le disposizioni ivi previste sono finalizzate a garantire un’informazione chiara e non ingannevole sulla commercializzazione di prodotti i cui proventi sono destinati a iniziative solidaristiche.
Segnatamente, per i produttori dei beni e per i professionisti che li commercializzano e li promuovono, si prevede l’obbligo di esplicitare:
- il soggetto destinatario dei proventi,
- le finalità a cui questi sono destinati,
- la quota percentuale del prezzo di vendita o l’importo destinati all’attività benefica, per ogni unità di prodotto.
I produttori dei beni potranno assicurare l’adempimento attraverso l’indicazione delle informazioni sulle singole confezioni, pure attraverso apposizione di adesivi.
Produttori e professionisti sono tenuti a comunicare al Garante per la concorrenza e il mercato l’operazione promozionale e il termine entro cui sarà versato l’importo destinato al soggetto beneficiario.
In caso di violazione degli obblighi, l’Autorità può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie che vanno da 5.000 a 50.000 euro e disporre la pubblicazione del provvedimento da parte del produttore o del professionista sul proprio sito, su uno o più quotidiani nonché con ogni altro mezzo ritenuto opportuno, come i social media. Si prevede, infine, che il 50% degli importi delle sanzioni sia destinato a finalità solidaristiche.
[1] Reperibile al seguente link: https://www.agcom.it/documentazione/documento?p_p_auth=fLw7zRht&p_p_id=101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE&p_p_lifecycle=0&p_p_col_id=column-1&p_p_col_count=1&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_content&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_assetEntryId=33028275&_101_INSTANCE_FnOw5lVOIXoE_type=document
L’ordinamento italiano - fino all’approvazione delle Linee guida AGCOM - non prevedeva specifiche norme volte a regolamentare l’attività di degli influencer. L’attività di questi ultimi era quindi regolata dalle fonti normative in materia pubblicitaria, ovvero:
- Regolamento Digital Chart dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria(“ IAP “) sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso internet, il quale prevede norme di soft law che fanno parte del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, emanato dallo stesso IAP;
- Lgs. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole;
- Lgs. 206/2005 (“Codice del Consumo“) sulle pratiche commerciali scorrette
- Testo unico dei servizi media audiovisivi in materia di obblighi di trasparenza pubblicitaria e divieto di pubblicità occulta (…).
[2] In particolare, le linee guida stabiliscono che i soggetti qualificabili come “influencer”, reali o virtuali, nell’esercizio delle attività di creazione, selezione e organizzazione dei contenuti che diffondono, possono essere considerati fornitori di servizi di media audiovisivi sotto la giurisdizione nazionale, ove possiedono cumulativamente i seguenti requisiti:
- il servizio offerto costituisce attività economica ai sensi degli artt. 56 e 57 del TFUE;
- lo scopo principale del servizio offerto è la fornitura di contenuti, creati o selezionati dall’influencer, che informano, intrattengono o istruiscono e che sono suscettibili di generare reddito direttamente in esecuzioni di accordi commerciali con produttori di beni e servizi o indirettamente in applicazione degli accordi di monetizzazione applicati dalla piattaforma o dal social media utilizzato;
- l’influencer ha la responsabilità editoriale sui contenuti, la quale include il controllo effettivo sulla creazione, sulla selezione o sulla organizzazione dei contenuti medesimi;
- il servizio è accessibile al grande pubblico, raggiunge un numero significativo di utenti sul territorio italiano, ha un impatto rilevante su una porzione significativa di pubblico e i contenuti sono diffusi tramite un servizio di piattaforma di condivisione di video o di social media;
- il servizio consente la fruizione dei contenuti su richiesta dell’utente;
- il servizio è caratterizzato da un legame stabile ed effettivo con l’economia italiana;
- i contenuti sono offerti tramite l’utilizzo della lingua italiana o sono esplicitamente rivolti agli utenti sul territorio italiano.
[3] Ad essi si applicheranno comunque gli artt. 41 (disposizioni generali) e 42 (misure di tutela) che impongono misure adeguate a tutelare: i minori da programmi che possano nuocere al loro sviluppo fisico, mentale o morale; il grande pubblico da contenuti che istighino alla violenza o all’odio o la cui diffusione costituisca reato (es: terrorismo, pedopornografia).
[4] Provvedimento AGCM n. PS12506 , il quale ha inflitto la Sanzione di oltre 1 milione alle società riconducibili a Chiara Ferragni e di 420 mila euro a Balocco per pratica commerciale scorretta.
[5] G. De Minico, Influencer, è davvero necessaria una nuova autorità indipendente?, in Il Sole 24 Ore del 19 gennaio 2024.
[6] G. De Minico, Influencer, è davvero necessaria una nuova autorità indipendente?, in Il Sole 24 Ore del 19 gennaio 2024.