L’intricato intreccio di fonti sul suicidio medicalmente assistito: il caso dell’Emilia-Romagna (1/2024)

1. Suicidio assistito e attivismo regionale – Numerose sono ormai le Regioni che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato e ancora in attesa di una legge del Parlamento nazionale, si stanno attivando – attraverso interventi legislativi regionali – per fornire alle proprie strutture sanitarie indicazioni con riferimento alle procedure, ai tempi e ai ruoli per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente. La quasi totalità delle Regioni ha intrapreso questi percorsi su iniziativa legislativa popolare e, quindi, a fronte della raccolta di firme sulla base di un documento presentato dalla Associazione Coscioni con cui si sollecitano le Regioni a supplire con un proprio atto normativo al silenzio del legislatore nazionale.

 

In questa ventata di attivismo regionale, dopo che in Veneto si è registrata la bocciatura in Consiglio regionale della proposta, mentre in Lombardia si assegnava il testo in Commissione per la discussione in Consiglio e poco prima che in Piemonte il Consiglio regionale approvasse la questione pregiudiziale di costituzionalità posta dalla maggioranza (per menzionare solo alcune delle Regioni impegnate nell’iter legislativo), si distingue la Regione Emilia-Romagna. Una manciata di giorni prima di dare avvio al dibattito in Consiglio regionale sulla proposta di legge (calendarizzato per il 13 febbraio 2024[1]), la Giunta regionale ha approvato il 5 febbraio 2024 una Delibera con cui si è istituito il Comitato Regionale per l’etica nella clinica. Di lì a poco, il 9 febbraio, è stata inoltre approvata la Determina Dirigenziale del Direttore della Direzione generale cura della persona, salute e welfare (n. 2596/24) con cui si sono emanate le istruzioni tecnico-operative per la verifica dei requisiti previsti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019 e le modalità per la sua applicazione. Attraverso questi atti amministrativi, dunque, la Regione Emilia-Romagna ha inserito un ulteriore tassello al complesso (e incompiuto?) sistema delle fonti del suicidio medicalmente assistito.

2. I contenuti dei provvedimenti adottati dalla Regione – Prima di sollevare alcune possibili criticità giuridico-costituzionali connesse all’emanazione dei provvedimenti, occorre soffermarsi sui contenuti per comprendere su quali aspetti sia intervenuta ad oggi la Regione.

2.1. La Delibera di Giunta e il Comitato Regionale per l’etica nella clinica

Con la Delibera di Giunta, la Regione innanzitutto istituito il Comitato Regionale per l’etica nella clinica a cui si sono attribuiti compiti di consulenza etica su singoli casi, tra i quali l’espressione di pareri non vincolanti relativi a richieste di suicidio medicalmente assistito. La Giunta regionale ha quindi optato per la trasformazione in Comitato di valenza regionale del Comitato per l’etica nella clinica dell’AUSL di Reggio Emilia, avvantaggiandosi della possibilità lasciata aperta dal DM 30 gennaio 2023[2] e seguendo un indirizzo manifestato da una parte del Comitato Nazionale di Bioetica in occasione del parere del 24 febbraio 2023. In tale parere, i membri del CNB avevano a maggioranza affermato come, in attesa di un intervento legislativo, la competenza affidata dalla Corte al Comitato Etico “possa attribuirsi ai CET (Comitati Etici Territoriali) di cui al Decreto del 26 gennaio 2023 (“Individuazione di quaranta comitati etici territoriali”), uniformemente presenti nel Paese. Nelle regioni nelle quali sono presenti, tale compito potrebbe essere affidato ai Comitati Etici esistenti che non sono inclusi nell’elenco dei quaranta. Il Comitato Etico così identificato istituisce al suo interno, in un approccio “caso per caso”, che garantisca prossimità con il paziente che chiede assistenza al suicidio, una commissione integrata con esperti esterni, in modo da assicurare le competenze professionali e relazionali ritenute necessarie in riferimento alla situazione clinica di ogni singolo richiedente”. Se questa era la posizione della maggioranza emersa in seno al CNB, una parte (seppur minoritaria) aveva invece suggerito – con risposta argomentata – come fosse preferibile la scelta di assegnare la valutazione delle richieste di suicidio medicalmente assistito ai Comitati per l’etica nella clinica.

2.2. La Determina: procedure, soggetti e … un nuovo diritto?

Con il secondo provvedimento, poi, la Regione ha deciso di regolamentare nel dettaglio la procedura di richiesta di suicidio assistito anticipando, di fatto, per via amministrativa il contenuto della proposta di legge regionale. Nello specifico, la procedura scandisce una serie di tappe: in primo luogo, la richiesta deve essere inviata alla Direzione sanitaria di un’Azienda del SSR, allegando la documentazione sanitaria ritenuta necessaria per la valutazione complessiva del caso. La relativa acquisizione del consenso (che può essere modificato in qualsiasi momento) deve avvenire attraverso le modalità previste dalla legge n. 219 del 2017 ossia in forma scritta e/o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Entro 3 giorni dal ricevimento della richiesta, la Direzione sanitaria è tenuta a trasmetterla alla Commissione di valutazione di Area Vasta che deve, dopo aver effettuato una prima visita al paziente, procedere con un vaglio in ossequio ai requisiti indicati nella sentenza della Corte Costituzionale. Decorso il termine massimo di 20 giorni per tale valutazione, la Commissione invia la propria relazione istruttoria al Comitato per l’etica nella clinica che, entro i successivi 5 giorni, deve formulare un parere non vincolante da inviare alla Commissione di valutazione. Quest’ultima procederà quindi alla redazione di una relazione conclusiva da trasmettere entro 5 giorni, unitamente al parere del Comitato, al paziente e al Direttore sanitario dell’Azienda sanitaria territoriale di competenza e, qualora il paziente sia ricoverato, al Direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera. Laddove la Commissione rilasci parere favorevole sulla richiesta, la procedura dovrà avvenire nel termine massimo di 7 giorni decorrenti dal ricevimento della relazione conclusiva.

Dalla rapida rassegna dei passaggi procedurali previsti nella Determina, emerge quindi come l’obiettivo sia quello di assicurare tempi certi e rapidi per garantire le verifiche prodromiche alla assistenza al suicidio richieste dalla Corte costituzionale. Tanto che, seguendo la scansione delle tappe procedurali, si evince come la procedura – a partire dalla presentazione della richiesta fino ad arrivare al decesso del paziente – debba concludersi entro un tempo massimo complessivo di 42 giorni.

Nel definire la scansione procedurale, la Determina non si limiti a definire le tempistiche ma introduce altresì per via amministrativa un soggetto ossia le Commissioni di area vasta multidisciplinare, incardinando su di esse il compito di vagliare le richieste. Tali Commissioni, la cui costituzione è fissata nel termine di 45 giorni a decorrere dalla data della Determina e a fronte di nomina con delibera della Giunta Regionale su proposta del Coordinamento dei Direttori Sanitari di Area Vasta, dovranno essere composte da professionisti provenienti da diverse branche specialistiche tra i quali un medico palliativista, un anestesista rianimatore, un medico legale, uno psichiatra, un medico specialista nella patologia di cui è affetto il richiedente (neurologo o oncologo o ematologo), un farmacologo o farmacista ed uno psicologo. Tale composizione potrà essere integrata sia – in accordo con il singolo paziente – dal Medico di Medicina Generale di quest’ultimo, che potrà essere coinvolto come consulente sia, sempre in vesti di consulenti, da specialisti di altre branche disciplinari.

Ma la Determina si spinge ancora oltre. E qui si pongono i principali elementi di criticità. Sulla falsariga dei contenuti della proposta di legge[3], infatti, si prevede come la Direzione sanitaria dell’Azienda dove deve svolgersi la procedura debba assicurare l’attuazione della stessa “attraverso l’individuazione di personale adeguato, individuato su base volontaria, il rispetto dei tempi e delle modalità previste, fornendo quanto indicato nella relazione conclusiva ed assicurandone la gratuità”.

In questo modo, la legittimità del suicidio medicalmente assistito sembra non rimanere contenuta nell’alveo di quella esclusione della punibilità evocata direttamente dalla Corte ma assume le vesti di un vero e proprio diritto di prestazione. Un diritto a prestazione che si fonda su una particolare lettura della sentenza della Corte costituzionale ma altresì – come esplicitato nelle Istruzioni tecnico-operative fornite dalla Direzione Generale – su una Nota del Ministro della Salute, inviata a tutti i Presidenti di Regione in data 20 giugno 2022 e in cui precisava che le strutture del SSN erano chiamate a dare attuazione in tutti i suoi punti alla sentenza della Corte costituzionale, finanche garantendo che siano a carico del SSN le spese mediche necessarie per consentire al termine della procedura di verifica affidata alle strutture del SSN, il ricorso al suicidio medicalmente assistito ai pazienti che ne facciano richiesta. Una Nota, quella inviata dal Ministero, che evidenziava già un salto rispetto ad una precedente Nota del novembre 2021 inviata alla Conferenza Stato Regioni dal Capo di Gabinetto con cui si chiedeva alle Regioni di individuare, entro 60 giorni (con scadenza il 10 gennaio 2022), uno o più Comitati etici a cui le strutture sanitarie si sarebbero potute rivolgere a fronte della ricezione di richieste di suicidio medicalmente assistito. A seguito di tale comunicazione, infatti, la Segreteria Generale della Conferenza delle Regioni e Province autonome aveva esortato le Regioni (con altre due note dell’11 novembre 2021 e del 20 dicembre 2021) a porre in essere tale identificazione.

3. I presupposti formali e sostanziali dell’intervento regionale – E proprio su questo aspetto, ossia sulla individuazione dell’esatto portato della sentenza della Corte costituzionale, si innestano alcuni profili di criticità non solo sul piano del riparto delle competenze ma anche con riferimento alla compatibilità dei provvedimenti emiliani con la pronuncia della Corte. Si chiamano quindi direttamente in causa i presupposti formali e sostanziali dell’intervento regionale.

La proposta di legge regionale emiliana, così come le altre proposte di legge presentate e discusse in numerose Regioni, muove infatti da un presupposto di fondo. La sentenza della Corte costituzionale è immediatamente esecutiva, espressiva di un diritto la cui fruibilità è strettamente dipendente dalla definizione dei tempi e dalle procedure che consentano a chi versi in condizioni di malattia, sofferenza ed estrema urgenza di usufruirne, arginando ostruzionismi, ritardi e difficoltà applicative. In questo senso si esprime chiaramente la Relazione illustrativa al Progetto di legge redatto dalla Associazione Coscioni.

Una lettura che è stata accolta e sostenuta anche da una parte della giurisprudenza ordinaria sollecitata da alcuni casi concreti che hanno messo in luce ritardi e ostilità nella garanzia dei “diritti fondamentali” ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale. Tanto che vi sono stati giudici che hanno riconosciuto, dalla sentenza Cappato, un diritto alla presa in carico della richiesta con relativo obbligo da parte delle Aziende Sanitarie di attivarsi per dar corso a quegli adempimenti connessi alla possibilità del singolo di esercitare la sua autodeterminazione nella scelta del congedo alla vita nelle condizioni espresse dalla Corte. Ma non solo. Altre Corti, ancora, si sono spinte ad affermare come dalla penna dei giudici costituzionali sia possibile trarre un vero e proprio diritto al suicidio medicalmente assistito e quindi non solo alla presa in carico della richiesta ai fini della sua valutazione ma anche la messa a disposizione del farmaco e del supporto, giungendo quindi alla affermazione di un vero e proprio diritto di prestazione da parte del SSN.

Quest’ultima lettura, in particolare, sembra però distanziarsi da quanto gli stessi giudici costituzioni hanno affermato nella propria decisione, laddove espressamente si sostiene che “la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati” (par. 6).

Una esclusione della punibilità che la Corte stessa va a regolamentare, chiamando in causa il SSN, dopo aver invano sollecitato il Parlamento ad intervenire entro quel contenuto lasso temporale indicato nell’ordinanza n. 207 del 2018. Parlamento ulteriormente poi sollecitato a più riprese anche nella sentenza n. 242 del 2019 nella quale la Corte dichiara di assumere un ruolo di supplenza dell’organo legislativo per evitare vuoti di tutela e una menomata protezione di diritti fondamentali “non limitandosi a un annullamento “secco” della norma incostituzionale, ma ricavando dalle coordinate del sistema vigente i criteri di riempimento costituzionalmente necessari, ancorché non a contenuto costituzionalmente vincolato, fin tanto che sulla materia non intervenga il Parlamento” (par. 4).

Dalla pronuncia della Corte si è così innescata una complessa articolazione di fonti: dal piano giurisprudenziale si è cercato di passare alla fonte legislativa statale per poi tornare alla fonte giurisprudenziale che, a sua volta, rievoca l’intervento legislativo del Parlamento, alla cui assenza cercano di porre rimedio le fonti legislative e regionali e, come accaduto in Emilia-Romagna, la fonte secondaria: Il tutto in attesa di un ulteriore intervento della Corte costituzionale con specifico riferimento al requisito della sottoposizione ad un trattamento di sostegno vitale, tratteggiato dalla stessa Corte.

Lo slittamento sul piano regionale ha innescato un dibattito sulla opportunità e sulla costituzionalità della fonte regionale ad intervenire in materia, a partire dai profili connessi al riparto di competenza Stato-Regioni ed evocandosi lo strumento pretorio della cedevolezza invertita. Problematiche sulle quali non si può in questa sede indugiare[4] ma che necessitano di essere affrontati non solo a partire dalla pregressa giurisprudenza costituzionale (su tutte si veda la sent. n. 262 del 2016 in materia di anticipazione regionale del testamento biologico in cui la Corte esclude un intervento regionale laddove la legislazione impatti su “aspetti essenziali della identità e della integrità della persona” che necessitano “uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza”) ma proprio alla luce della affermazione della stessa Corte poc’anzi richiamata sui criteri di riempimento costituzionalmente necessari ma non a contenuto costituzionalmente vincolato. Anche non considerando possibili profili di contatto con competenze esclusive statali, si possono da questi “criteri di riempimento” estrapolare principi fondamentali alla stregua di quelli posti dal legislatore statale nell’ambito della competenza concorrente in materia di tutela della salute, assecondando il titolo competenziale evocato nelle proposte legislative regionali?

Se questo è un aspetto di criticità, non lo è a maggior ragione a fronte di una siffatta disciplina contenuta in fonte secondaria? A fortiori in mancanza di un almeno preliminare momento di coordinamento a livello regionale attraverso la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, come era invece avvenuto in occasione della pronuncia della Corte costituzionale che dichiarava l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa[5]. In quella occasione, in attesa di un intervento del Parlamento, si era deciso di procedere con un accordo interregionale a valenza transitoria che, recepito dalle Regioni, consentiva alle coppie che desideravano farne richiesta di poter accedere alla fecondazione eterologa. Un passaggio quindi ulteriore e prodromico a sparsi interventi regionali in materia che, oltretutto, avveniva in una situazione da molti considerata assimilabile ma che presenta una essenziale divergenza rispetto alla decisione della Corte sul suicidio medicalmente assistito: se nel primo caso si agiva in un ambito presieduto da un diritto a prestazione che veniva esteso a soggetti non contemplati dalla normativa, nel secondo – come ricordato – non sembra che la Corte abbia voluto giungere a sancire il riconoscimento di un diritto al suicidio medicalmente assistito.

4. Il futuro del suicidio medicalmente assistito in Emilia-Romagna – E di questo era ben consapevole anche la stessa Consulta di Garanzia statutaria dell’Emilia Romagna. Nel decidere della ammissibilità della proposta di legge di iniziativa popolare sul suicidio assistito, la Consulta non ha rinvenuto profili di inammissibilità muovendo dall’orientamento secondo cui tale organo può esprimersi in tal senso solo qualora sia possibile individuare delle norme presenti nella proposta di legge come incostituzionali alla luce di precedenti giurisprudenziali chiari e puntuali della Corte costituzionale, assenti nel caso de quo[6]. Ciononostante, la Consulta ha anche invitato il Consiglio regionale a prestare particolare attenzione al fatto che la sentenza della Corte non ha configurato un diritto ad essere aiutati a morire dal SSN, di talché alcune disposizioni della proposta di legge appaiono “non meramente applicative della sentenza (…) e quindi difficilmente riconducibili alla competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute”.

Se questo monito valeva per la proposta legislativa, esso può a maggior ragione essere traslato con riferimento ai recenti provvedimenti assunti dalla Giunta regionale e, in particolare, alla Determina del 9 febbraio u.s. in cui proprio questi aspetti dubbi della proposta legislativa sono confluiti.

Provvedimenti che, probabilmente spinti sul piano politico dalla paura della mancanza di una compatta maggioranza sul punto[7] anche in un periodo di avvicinamento alla tornata elettorale europea ed amministrativa, hanno sollevato critiche bipartisan: da una parte, una porzione del Consiglio regionale ha evidenziato dubbi di illegittimità della Delibera di Giunta[8] e della Determina chiedendone prima il ritiro e poi impugnando tali provvedimenti avanti al Tar dell’Emilia-Romagna. Dall’altra, la stessa Associazione Coscioni continua a sollecitare una discussione in Consiglio regionale, reputando lo strumento adottato dalla Giunta troppo debole in quanto privo della “forza vincolante necessaria affinché i cittadini siano pienamente tutelati” (F. Gallo).

Non resta quindi che attendere il pronunciamento del Tar per capire quale potrà essere il futuro dei provvedimenti amministrativi emiliani in materia di suicidio medicalmente assistito e per capire se rimarranno spazi per un intervento legislativo regionale, nell’ulteriore attesa – mentre la fonte giurisprudenziale continua il suo corso – di capire se il Parlamento, anche su sollecitazione di questo attivismo regionale, deciderà di intervenire.

 

[1] Il testo su cui era calendarizzato il dibattito in Commissione Politiche per la salute è frutto dell’accorpamento della proposta di legge di iniziativa popolare e di una proposta avanzata della consigliera del Movimento 5 Stelle, Silvia Piccinini.

[2] L’art. 1 del Dm recita infatti che “I CET e i CEN possono esercitare anche le attività sin qui svolte dai comitati etici esistenti (di seguito indicati come «comitati etici locali»), concernenti ogni altra questione sull'uso dei medicinali e dei dispositivi medici, sull'impiego di procedure chirurgiche e cliniche o relativa allo studio di prodotti alimentari sull'uomo generalmente rimessa, per prassi internazionale, alle valutazioni dei comitati, inclusa qualsiasi altra tipologia di studio avente altro oggetto di indagine solitamente sottoposta al parere dei comitati, nonchè le funzioni consultive in relazione a questioni etiche connesse con le attività di ricerca clinica e assistenziali, allo scopo di proteggere e promuovere i valori della persona, ove non già attribuite a specifici organismi”.

[3] Si rimanda all’art. 4 della proposta di legge n. 8058 del 2024 e 7229 del 2023 rubricato Gratuità della prestazione: “1. Le prestazioni quali la verifica e l’assistenza ai trattamenti previsti dalla presente legge sono assicurate gratuitamente, nell’ambito del percorso terapeutico-assistenziale erogato in favore di coloro che ne abbiano fatto richiesta. 2. Il diritto all’erogazione delle prestazioni disciplinate dalla presente legge è individuale e inviolabile e non può essere limitato, condizionato o assoggettato ad altre forme di controllo al di fuori di quanto previsto dalla presente legge”.

[4] Si rimanda, sul punto, al saggio di Leonardo Bianchi pubblicato in questo Fascicolo della Rivista. Si veda altresì M.G. Nacci, Il contributo delle Regioni alla garanzia di una morte dignitosa. Note a margine di due iniziative legislative regionali in tema di suicidio medicalmente assistito, in Rivista del Gruppo di Pisa, 2023; P.F. Bresciani, Sull’idea di regionalizzare il fine vita. Uno studio su autonomia regionale e prestazioni sanitarie eticamente sensibili, in Corti Supreme e salute, 2024,

[5] Sent. Corte cost. n. 162 del 2014.

[6] Cfr. Consulta di Garanzia Statutaria Emilia-Romagna, Delibera n. 12 del 22 febbraio 2023.

[7] Come accaduto in Veneto e come spesso accade su decisioni politiche in materie eticamente sensibili dove l’appartenenza politica si stempera in un voto di coscienza.

[8] Si veda la Risoluzione ex art. 104 del Regolamento interno dell’Assemblea legislativa del 13 febbraio 2024 rivolta alla Presidente del Consiglio regionale emiliano.

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