Le recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’italia riguardo al diritto di visita del padre (1/2024)

Con tre recenti sentenze emesse contro lo Stato italiano, la Corte europea dei diritti dell’uomo è tornata a parlare del diritto di visita del padre non garantito dalle giurisdizioni interne, che la Corte ha definito “un problema sistemico” del nostro paese (A. e altri c. Italia, par. 102).

In caso di separazione dei genitori, come riconosciuto dal diritto internazionale e dallo stesso Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, l’interesse che dovrebbe prevalere è il superiore interesse del minore, il quale dovrebbe essere protetto nella sua integrità fisica e psicologica anche attraverso il mantenimento, laddove possibile, di un legame paritetico con entrambi i genitori. Con la riforma del 2006 del Codice civile italiano è stata introdotta in Italia la disciplina relativa all’affidamento condiviso che prevede il diritto del figlio, anche in caso di separazione personale dei genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale.

E ciò si collega all’art. 30 della Costituzione, che, al comma 1, pone i due genitori in identica posizione rispetto ai figli. La riforma del 2006 aveva come obiettivo quello di passare da un modello che metteva i due genitori su un piano giuridico differente, sottolineato da una drastica attribuzione di maggiori poteri e competenze al genitore affidatario, a un altro modello che eliminava sistematicamente tali discriminazioni, mettendo i figli al centro dell’interesse del legislatore e dell’interprete e introducendo il principio della bigenitorialità. Anche la cd. riforma Cartabia, intervenuta con decreto legislativo n. 149/2022, ribadisce che è fondamentale che i figli mantengano un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori al fine di riceverne cura, educazione, istruzione e assistenza morale, nel rispetto del diritto alla bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi. A conferma di ciò, il giudice, prevalentemente, opterà per l’affidamento condiviso dei figli, il quale può essere derogato solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per il minore.

Nonostante questi interventi legislativi, si è continuato a registrare in questi anni in Italia un filone giurisprudenziale che sembra riaffermare un approccio adultocentrico e per di più monogenitoriale, perpetuando un certo grado di discriminazione verso uno dei due genitori, definito genitore “non collocatario” o genitore “non convivente”.

Le due recenti sentenze della Corte EDU, A.S. e M.S. c. Italia - del 19 ottobre 2023, ricorso n. 48618/22 e Landini c. Italia - del 12 ottobre 2023, ricorso n. 48280/21, si inseriscono in questo contesto poiché la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione da parte dell’Italia dell’art. 8 della Convenzione in quanto gli organi giudiziari interni non hanno adottato con la dovuta diligenza tutte le misure che si potevano ragionevolmente esigere da esse per permettere di mantenere un legame fra il padre non collocatario e i figli.

In A.S. e A.M. c. Italia, il ricorso riguardava la dedotta violazione del diritto al rispetto della vita familiare di A.S. («il primo ricorrente»), il quale agiva anche per conto di M.S., suo figlio di quindici anni («il secondo ricorrente» o «il minore»). Dopo la separazione dei genitori e a causa della relazione molto conflittuale fra i due, con sentenza del 23 settembre 2016, il tribunale di Roma disponeva l’affidamento condiviso di M.S. ad entrambi i genitori, confermava il collocamento del minore presso sua madre, concedeva un ampio diritto di visita al primo ricorrente e chiedeva ai servizi sociali di predisporre un programma di sostegno alla genitorialità e una serie di interventi domiciliari.

Tuttavia, la madre, esercitando una manipolazione psichica sul minore avrebbe impedito al padre di esercitare effettivamente questo diritto (par. 1). Visto che la relazione fra i ricorrenti era compromessa dalla madre, la curatrice, i servizi sociali, lo psicologo incaricato di monitorare il minore e il padre - primo ricorrente - avevano chiesto al tribunale per i minorenni di disporre l’inserimento del minore in una struttura protetta, misura secondo loro idonea a permettere al minore di ricostruire il rapporto con suo padre e a proteggerlo dalla relazione conflittuale tra i suoi genitori.

La decisione del Tribunale per i Minori, intervenuta nel giugno 2019, a più di sei mesi di distanza dalla prima richiesta presentata dal padre, ed eseguita con altrettanto ritardo nel dicembre 2019, disponeva la collocazione del minore in un istituto semiresidenziale, ove i due ricorrenti riprendevano, sia pure molto lentamente e nonostante il persistere del comportamento oppositivo della madre, la reciproca frequentazione.

Nel marzo 2021, facendo seguito, anche in questo caso tardivamente, alla richiesta proposta dal primo ricorrente e dalla curatrice, il Tribunale disponeva la perizia psicologica del minore. Nella relazione, il perito raccomandava il mantenimento del secondo ricorrente nell’istituto e il suo graduale reinserimento presso il domicilio del primo ricorrente, ritenendolo più adatto a prendersi cura del minore. Nonostante le indicazioni peritali, nell’aprile 2022 il Tribunale per i minori ordinava sì la revoca della sospensione della potestà di entrambi i genitori e la permanenza del minore all’interno dell’istituto, ma disponeva, al contempo, l’organizzazione della sua graduale reintroduzione presso la madre, sostenendo che il minore non avrebbe sopportato l’interruzione dei rapporti con quest’ultima.

La Corte sottolinea innanzitutto che vi sono stati gravi ritardi nell’esecuzione della misura di collocamento del minore in una struttura protetta, la cui motivazione principale era l’opposizione della madre. Sul punto la Corte rammenta che una mancanza di cooperazione tra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dai loro obblighi positivi in riferimento all’articolo 8 della Convenzione. Questa situazione esige piuttosto che le autorità adottino delle misure per conciliare gli interessi confliggenti, tenuto conto del fatto che l’interesse del minore deve prevalere rispetto a qualsiasi altra considerazione (par. 150). La Corte non è convinta dalle giustificazioni del Governo che tendono a spiegare i ritardi nell’esecuzione della misura con la natura simbiotica della relazione tra la madre e il minore e con l’opposizione di quest’ultimo, tenuto conto del fatto che la misura era stata adottata nell’interesse del minore. A questo proposito, la Corte rammenta che il parere di un minore non è necessariamente immutabile, e che le obiezioni che quest’ultimo formula, anche se devono essere debitamente prese in considerazione, non sono necessariamente sufficienti per prevalere sull’interesse dei genitori, in particolare sul loro interesse ad avere dei contatti regolari con il loro figlio. Il diritto di un minore di esprimere la propria opinione non deve essere interpretato nel senso di conferire effettivamente un diritto di veto incondizionato ai minori senza che siano presi in considerazione altri fattori e senza che sia condotto un esame per determinare il loro interesse superiore. Inoltre, se un tribunale basasse una decisione sull’opinione di minori che sono evidentemente incapaci di formarsi ed esprimere un’opinione sui loro desideri – ad esempio a causa di un conflitto di lealtà – una tale decisione potrebbe essere contraria all’articolo 8 della Convenzione.

Inoltre, la Corte osserva carenze da parte delle giurisdizioni nazionali anche nel non aver preso misure efficaci contro la madre. Infatti, anche se il tribunale per i minorenni aveva rammentato alla madre che un’opposizione al collocamento costituiva un reato di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice e sebbene il primo ricorrente avesse chiesto che fosse avviata un’azione giudiziaria, non è stato dato seguito a questi avvertimenti. A tale riguardo, la Corte rammenta che il ricorso a sanzioni non deve essere escluso in caso di comportamento manifestamente illegale da parte della persona con la quale vive il bambino (par. 153). Soltanto con grave ritardo, poi, dopo varie domande da parte dei servizi sociali, del primo ricorrente e della curatrice, il tribunale per i minorenni aveva sospeso la responsabilità genitoriale della madre.

Infine, la Corte osserva che, nonostante la perizia psicologica peritale suggerisse la continuazione del collocamento di M.S. in una struttura e la preparazione del suo ritorno progressivo al domicilio del primo ricorrente, conclusioni che la curatrice aveva fatto proprie, il tribunale per i minorenni aveva ordinato nel 2022, invece, il ritorno progressivo del minore al domicilio della madre, senza indicare i motivi che lo avevano portato a non tenere conto delle conclusioni del perito (par. 159).

La Corte conclude quindi che la limitazione dei contatti tra il primo ricorrente e suo figlio per quasi sei anni ha avuto delle ripercussioni sulla vita familiare dei ricorrenti. Secondo la Corte nella presente causa, che necessitava di essere trattata con urgenza, sarebbero state necessarie una maggiore diligenza e rapidità, e osserva che l’eccessiva durata del procedimento è ampiamente imputabile alle giurisdizioni interne. Tenuto conto dei diversi ritardi e lacune, considerati complessivamente, la Corte considera che le giurisdizioni interne, invece di adottare misure idonee a creare le condizioni necessarie affinché il padre potesse esercitare pienamente il suo diritto di visita, hanno tollerato che la madre, con il suo comportamento, impedisse il consolidarsi di una vera e propria relazione tra i ricorrenti, e hanno dunque violato il diritto degli interessati a mantenere un legame familiare tra loro. Inoltre, dato che i provvedimenti in questione erano necessari per la protezione dell’integrità psicologica del secondo ricorrente, la Corte considera che i ritardi e le lacune delle giurisdizioni interne hanno avuto – come hanno riconosciuto varie autorità interne – delle ripercussioni negative sul diritto alla vita privata del minore.

In Landini c. Italia, il ricorrente lamentava l’impossibilità di esercitare il proprio diritto alla cogenitorialità dopo la separazione con R. e aver lasciato la casa familiare ed essersi trasferito in Australia.

Nel luglio 2009, a seguito di difficoltà incontrate nell’esercizio del suo diritto di visita, il ricorrente si era rivolto al tribunale per i minorenni di Genova per ottenere l’affidamento condiviso del minore e un diritto di visita più ampio. Con provvedimento emesso nel novembre 2009, il tribunale aveva concesso l’affidamento condiviso del minore a entrambi i genitori, e fissò il domicilio dello stesso presso R. prevedendo un diritto di visita e di alloggio per il ricorrente. Il 29 maggio 2019 il ricorrente aveva poi adito il tribunale sostenendo che R. continuava ad impedire, con il suo comportamento, l’esercizio del diritto di visita, e presentando anche una richiesta urgente affinché suo figlio potesse trascorrere una parte delle vacanze scolastiche in Australia con lui. Il 1° luglio 2019 il tribunale dichiarò che la richiesta del ricorrente era formulata in termini generici e che, ad ogni modo, i viaggi all’estero dovevano essere autorizzati da entrambi i genitori. Nel mese di novembre 2020 il tribunale ordinò che il minore fosse preso in carico dai servizi sociali con un percorso di sostegno psicologico, fissò le modalità dell’esercizio del diritto di visita del ricorrente e, per quanto riguarda la domanda che il minore potesse recarsi in Australia durante le vacanze scolastiche, subordinò questa decisione al consenso di R. Il ricorrente impugnò questo provvedimento dinanzi alla corte d’appello sostenendo che R. non dava il suo consenso. Con un provvedimento emesso nel mese di marzo 2021, la corte d’appello, dopo aver constatato che R. si opponeva a che il minore si recasse in Australia, confermò la decisione del tribunale, considerando che il suo spostamento «poteva aver luogo solo con il consenso di entrambi i genitori», dal momento che «non soltanto il padre, ma anche la madre doveva essere messa in grado di valutare se lo spostamento fosse nell'interesse del minore, e di dare o meno il suo consenso». A seguito della comunicazione del ricorso al Governo convenuto, il ricorrente, invocando l’articolo 8 della Convenzione, presentava un ricorso per cassazione lamentando che, in violazione delle disposizioni di legge, il minore non era mai stato sentito, e che i giudici avevano subordinato l’esercizio del suo diritto alla cogenitorialità a una condizione impossibile, in quanto non vi era il consenso da parte di R. affinché il minore si recasse in Australia. Con ordinanza emessa il 23 giugno 2022, la Corte di cassazione, dopo aver constatato che, in violazione degli articoli 315 bis, 336 bis e 337 octies del codice civile, il minore non era stato sentito, annullò il provvedimento impugnato e rinviò il procedimento dinanzi alla corte d’appello. Sentito il minore, con sentenza emessa l’11 maggio 2023, la corte d’appello ha stabilito che il minore, a partire dall’estate del 2024, se lo desidera potrà recarsi dal padre in Australia per un periodo di tre settimane, accompagnato, all’andata e al ritorno, da un’assistente di volo, da suo padre o dai nonni paterni a spese del ricorrente.

Di fronte alla Corte europea, invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta che i giudici interni, a partire dal mese di maggio 2019, hanno omesso di pronunciarsi sulla sua richiesta di esercitare parte del suo diritto di visita presso il suo domicilio, in Australia, violando così il suo diritto alla cogenitorialità.

Prima di tutto la Corte esclude che si possa eccepire il mancato esaurimento dei ricorsi interni (in riferimento al fatto che all’epoca in cui è stato presentato il ricorso in esame, il procedimento era ancora pendente dinanzi alla Corte di cassazione) poiché, sebbene in linea di principio l’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne si valuta facendo riferimento alla data di presentazione del ricorso dinanzi alla Corte, da una giurisprudenza consolidata si evince che la Corte ammette che l’ultima fase di un ricorso interno sia raggiunta successivamente al deposito del ricorso dinanzi ad essa, ma prima della sua decisione sulla ricevibilità dello stesso. A maggior ragione in questo caso la Corte non può rimproverare al ricorrente di averle trasmesso le proprie doglianze inerenti alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione senza avere atteso la decisione della Corte di cassazione, dal momento che erano passati vari anni prima che il tribunale adottasse una decisione sulla sua domanda di diritto di visita. Trattandosi di un ricorso in materia di diritto di visita e data l’urgenza della controversia, era necessario che le autorità prendessero una decisione più rapidamente, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il minore e il genitore che non vive con lui.

In quanto al merito, la Corte, anche se ammette che il diritto nazionale applicabile possa esigere che vi sia il consenso di entrambi i genitori affinché un minore possa viaggiare all’estero, osserva che gli articoli 316 e 337ter del codice civile garantiscono anche un intervento di sostituzione del giudice in caso di disaccordo allo scopo di proteggere l’interesse superiore del minore. La Corte constata che l’approccio formalistico seguìto nel caso di specie dal tribunale dei minorenni e dalla corte d’appello, in assenza di una vera e propria analisi della proporzionalità della situazione e dell’interesse del minore, pone un problema in quanto R. è stata lasciata libera, per più di quattro anni, di fissare le modalità di contatto.

La Corte osserva dunque che le giurisdizioni interne, invece di adottare «le misure idonee per creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore» (Strumia, par. 121‑122), «hanno tollerato che la madre, con il suo comportamento, impedisse il consolidarsi di una vera e propria relazione tra il ricorrente e il minore» (ibidem). A questo riguardo, la Corte ritiene che sia la quantità che la qualità delle modalità di contatto, se sono considerate essere nell’interesse superiore del minore, siano di fondamentale importanza nel contesto di una relazione tra un genitore non residente e un figlio. Di conseguenza, l’accesso limitato del ricorrente a suo figlio, per un periodo di circa quattro anni, ha avuto delle ripercussioni sulla vita familiare del ricorrente. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte conclude che, per vari anni, le autorità interne non hanno fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente attendere da esse per prendere in considerazione l’interesse legittimo del ricorrente a sviluppare e mantenere un legame con suo figlio, e l’interesse a lungo termine di quest’ultimo nello stesso senso. In particolare, la Corte rileva che le autorità interne si sono sottratte al loro obbligo di procedere entro un termine ragionevole a una valutazione dettagliata e scrupolosamente equilibrata della situazione nel suo complesso e dell’interesse superiore del minore. Di conseguenza, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per il periodo durante il quale le giurisdizioni interne hanno omesso di pronunciarsi sulla domanda del ricorrente.

Preme poi ricordare un’altra recente sentenza, A e altri c. Italia - del 7 settembre 2023 (definitiva 7 dicembre 2023), ricorso n. 17791/22, che non concerne un caso di affidamento condiviso ma che riguarda comunque l’inottemperanza da parte delle autorità del diritto di visita del padre riconosciuto dalle giurisdizioni interne.

Nel ricorso si lamentava la violazione del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare dovuta alla presunta impossibilità per A, il primo ricorrente, di esercitare nei confronti dei suoi figli (B e C, il secondo e il terzo ricorrente) il diritto di visita che gli era stato riconosciuto dalle giurisdizioni interne, e di instaurare così una relazione con loro.

Al momento della nascita nel 2006 e nel 2011, il ricorrente non aveva riconosciuto i due figli. Poiché detenuto, abitò con loro soltanto per periodi di tempo molto brevi. Nel 2016 il primo ricorrente fu ammesso al beneficio di un programma di protezione dei testimoni in quanto collaboratore di giustizia nell’ambito delle indagini su un’associazione per delinquere di tipo mafioso di cui aveva fatto parte. A seguito di tale decisione la madre (D.) smise di fare visita in carcere al primo ricorrente accompagnata dai loro figli.

Di fronte all’opposizione di D al mantenimento di una relazione significativa tra lui e i suoi figli, il 29 settembre 2016 il primo ricorrente presentava dinanzi al tribunale di Roma una domanda ai fini del riconoscimento di filiazione. Con sentenza del 2 agosto 2018, il tribunale riconosceva l’esistenza di un rapporto di filiazione tra il primo ricorrente e il secondo e il terzo ricorrente, ordinando inoltre di trascrivere questa decisione nei registri dello stato civile e di proseguire il procedimento ai fini dell’adozione di decisioni sulla custodia dei figli e della modifica del loro cognome.

Nel frattempo, a seguito dell’opposizione della madre dei bambini all’inserimento del secondo e del terzo ricorrente nel programma di protezione dei testimoni, il 22 febbraio 2017, il primo ricorrente chiedeva alle autorità di adottare misure di protezione immediate nei confronti dei minori. Temeva che i bambini fossero presi di mira dall’organizzazione criminale alla quale era stato affiliato, come ritorsione per la sua decisione di collaborare con le autorità. Anche la procura presso il tribunale per i minorenni depositava una richiesta urgente per ottenere la sospensione della responsabilità genitoriale di D e l’adozione di misure a protezione dei minori.

Con provvedimento emesso in data 24 marzo 2017, il tribunale per i minorenni ordinava la sospensione dell’esercizio da parte di D della responsabilità genitoriale, e il collocamento dei minori in un istituto insieme alla madre, qualora quest’ultima lo desiderasse. Inoltre, chiedeva alle autorità coinvolte di esaminare la possibilità di stabilire un calendario di incontri tra i ricorrenti, il padre e i figli, se necessario in ambiente protetto.

Il 17 agosto 2020 il tribunale di Roma decideva di affidare la custodia esclusiva dei bambini alla madre e di concedere al primo ricorrente un diritto di visita. Le condizioni nelle quali tale diritto si sarebbe esercitato dovevano essere determinate dai servizi sociali d’intesa con gli altri organismi interessati, in particolare con il servizio di protezione dei testimoni e con la struttura in cui i bambini erano collocati con la madre. Il tribunale ordinava inoltre a quest’ultima di collaborare con le autorità per consentire l’esecuzione del diritto di visita riconosciuto al primo ricorrente. D. interpose appello avverso questa decisione. Il primo ricorrente e la curatrice contestarono l’appello. Il 28 ottobre 2021 la corte d’appello di Roma respinse l’appello e ordinò di organizzare le visite tra i ricorrenti e di fornire ai bambini, in vista di tali incontri, un’adeguata preparazione sotto forma di un programma di sostegno psicologico.

Il 9 febbraio 2021 il tribunale per i minorenni, basandosi sulla decisione del 17 agosto 2020 del tribunale di Roma che riconosceva al primo ricorrente un diritto di visita, ritenne che fosse necessario prendere in considerazione la volontà dei bambini, e che non vi fossero elementi tali da pensare che gli incontri con il padre potessero essere pregiudizievoli per loro. Pertanto, ordinò ai servizi sociali di predisporre immediatamente un calendario di visite, e di organizzare, al più presto, dei contatti telefonici regolari tra i ricorrenti. Inoltre, decise di affidare i minori ai servizi sociali in quanto D non collaborava con le autorità nei loro sforzi per permettere al primo ricorrente di esercitare il suo diritto di visita. Dichiarò anche che, in futuro, l’eventuale opposizione della madre all’organizzazione di incontri tra i minori e il loro padre non avrebbe più potuto impedire lo svolgimento di tali incontri.

Tuttavia, nel giugno 2021, sulla base del rapporto redatto in occasione del primo incontro tra i ricorrenti, che si era svolto il 24 maggio 2021, dai servizi sociali, il tribunale per i minorenni ordinò la sospensione delle visite a causa dell’incapacità del primo ricorrente di instaurare con i figli una relazione compatibile con l’interesse superiore di questi ultimi.

Il 7 luglio 2021 il primo ricorrente interpose appello avverso queste decisioni. Nel procedimento si costituì anche la curatrice, chiedendo con urgenza l’organizzazione di visite in ambiente protetto e lamentando la mancanza di un effettivo sostegno psicologico idoneo a preparare tutti i ricorrenti a tali incontri. La curatrice informò la corte d’appello che il giorno dell’incontro tra i ricorrenti aveva subìto, da parte dei servizi sociali e delle altre autorità coinvolte, delle pressioni affinché esprimesse un parere negativo sulla prosecuzione degli incontri. Dinanzi alla corte d’appello, il primo ricorrente e la curatrice sostennero che due procedimenti paralleli relativi alla stessa situazione erano pendenti dinanzi a giurisdizioni diverse, e che il tribunale per i minorenni aveva sospeso l’esercizio del diritto di visita senza trasmettere loro le relazioni redatte dai servizi sociali e dalla psicologa sulla riunione del 24 maggio 2021 e, pertanto, senza permettere loro di presentare le proprie osservazioni a tale riguardo, il che, a loro avviso, comportava una violazione dei loro diritti di difesa.

Il 9 dicembre 2021 la corte d’appello di Roma riconobbe l’assenza di competenza funzionale del tribunale per i minorenni in ragione dell’anteriorità del procedimento di riconoscimento di filiazione dinanzi al tribunale di Roma. Dichiarando la nullità del procedimento relativo alla responsabilità genitoriale, la corte d’appello rammentò alle parti che le decisioni adottate nel procedimento di riconoscimento di filiazione erano vincolanti.

Nel merito, la Corte osserva che dopo la decisione del tribunale per i minorenni del 24 marzo 2017 che ordinava alle autorità interessate di esaminare se fosse possibile programmare degli incontri tra i ricorrenti, non è stata organizzata alcuna visita, e ciò è dovuto al fatto che il tribunale per i minorenni era stato informato del parere negativo dei servizi sociali, che consideravano che tali incontri fossero incompatibili con lo stato dei minori. Essa osserva che, malgrado tale informazione e sebbene il ricorrente chiedesse che fossero organizzate delle visite, il tribunale per i minorenni non ha ordinato alcuna indagine sociale. La Corte rammenta che non le spetta sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti riguardo alle misure che avrebbero dovuto essere adottate alla luce dei pareri negativi dei servizi sociali, in quanto tali autorità sono in linea di principio più indicate per procedere a questa valutazione. Tuttavia, essa considera che non sia accettabile che ci siano voluti quasi quattro anni affinché il tribunale prendesse una decisione o chiedesse un aggiornamento della situazione, poiché un tale ritardo comportava il rischio che la controversia si risolvesse con un fatto compiuto (par. 95).

Inoltre, la Corte constata che non è stata organizzata alcuna visita dopo la decisione del tribunale di Roma del 17 agosto 2020 che riconosceva un diritto di visita al primo ricorrente. Essa osserva peraltro che il servizio di protezione dei testimoni ha affermato più volte che gli incontri non potevano essere organizzati a causa dell’opposizione della madre dei minori. A questo proposito, la Corte ammette che, nel caso di specie, le autorità si trovavano di fronte a una situazione molto difficile, dovuta soprattutto alle tensioni esistenti tra i genitori dei minori. Tuttavia, essa considera, come peraltro ha già affermato nelle summenzionate sentenze, che la mancanza di collaborazione fra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto qualsiasi mezzo idoneo a permettere di mantenere il legame familiare (par. 97).

La Corte osserva che la prima visita ha avuto luogo nove mesi dopo la decisione del tribunale di Roma del 17 agosto 2020, nonostante l’urgenza di organizzare tale incontro. La Corte constata che i servizi sociali, sebbene vi fossero delle decisioni giudiziarie che ordinavano di organizzare degli incontri, sono intervenuti tardivamente. Essa ritiene peraltro, che le giurisdizioni nazionali, delegando quasi completamente il controllo della situazione ai servizi sociali e omettendo di controllare le attività di questi ultimi, abbiano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie.

La Corte rammenta anche il principio ben consolidato secondo il quale gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di giungere a tale risultato (par. 98). Nel caso di specie, sebbene la curatrice dei minori avesse più volte chiesto che fosse predisposto un programma di preparazione agli incontri con il padre, i servizi sociali hanno spiegato che era stata effettuata soltanto una seduta di preparazione. Inoltre, nessun sostegno psicologico era stato offerto al primo ricorrente in vista degli incontri.

La Corte conclude che le autorità nazionali non hanno adottato rapidamente tutte le misure che si potevano ragionevolmente esigere per far rispettare il diritto di visita riconosciuto al primo ricorrente dalle decisioni giudiziarie, e per permettere l’instaurarsi di una relazione tra i ricorrenti e constata che le giurisdizioni nazionali non hanno effettuato alcun controllo sulle attività e sulle omissioni delle autorità interessate.

Sulla scia di questa giurisprudenza, preme segnalare da ultimo anche un’altra sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, emessa il 10 ottobre 2023, riguardante sempre la tutela del padre nelle relazioni intrafamiliari. Nella recente sentenza I.V. c. Estonia (ricorso n. 37031/21), infatti, la Corte ha affermato il principio secondo cui l’adozione del minore dichiarata senza coinvolgere il padre biologico viola l’art. 8 della Convenzione. La Corte ha accertato la violazione da parte dell’Estonia dei diritti genitoriali di un cittadino lettone, per non aver coinvolto quest’ultimo nel procedimento di adozione del proprio figlio biologico da parte di un soggetto adottante – ovvero il nuovo marito della madre del bambino.

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