Anche in questo numero variegatissimi sono i temi trattati in saggi ed articoli: quattro di essi fanno parte di uno speciale sul "ravvicinamento delle legislazioni"; gli altri trattano, rispettivamente, della difficoltà di instaurare un corretto rapporto tra rappresentanza politica e sistema delle fonti; della disciplina dei gruppi parlamentari con particolare riferimento al delicato tema dei controlli dei loro bilanci; dell'incidenza dell'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nella tutela della libertà d'espressione nel nostro ordinamento costituzionale; delle norme di attuazione degli statuti speciali con particolare riferimento all'ordinamento provinciale di Bolzano in relazione al servizio pubblico radiotelevisivo; del "ridimensionamento" delle Province; delle fonti degli enti locali nella ricostruzione della giurisprudenza.
Queste brevi considerazioni non vogliono proporre una rassegna dei loro contenuti: il risultato sarebbe al tempo stesso avvilente e fuorviante. Avvilente, perché una sintesi mal renderebbe l'articolazione e la ricchezza dei contributi; fuorviante, perché una tale operazione metterebbe in ombra i problemi di fondo che attraversano il sistema delle fonti e che possono essere invece evidenziati proprio dalla lettura coordinata di contributi così diversi quanto ad ambiti trattati.
Tutti i temi hanno una caratteristica comune: la loro particolare attualità. Addirittura, in alcuni casi, si vanno definendo (o si sono appena definite) scelte normative nel mentre scriviamo queste considerazioni: si pensi, ad esempio, al tema delle Province, a quello dei controlli sui bilanci dei gruppi parlamentari, a profili che attengono alla libertà di manifestazione del pensiero.
È una caratteristica dell'Osservatorio, sin dalla pubblicazione del primo volume nel 1996 a cura di Ugo De Siervo, la capacità di monitorare l'evolversi del sistema delle fonti e, per far ciò, procedere nell'analisi dei più disparati settori e profili della dimensione giuridica. L'esito è quello di avere un panorama d'insieme del sistema delle fonti e delle relazioni tra gli ordinamenti: ricerche che possono talora apparire eterogenee e produrre pubblicazioni 'contenitore' hanno invece la funzione di rappresentare plasticamente l'articolatissima complessità di funzionamento dell'ordinamento giuridico.
Lo studio di un ordinamento offre l'opportunità di comprendere l'evolversi di una società e delle sue multiformi relazioni, talora più di complesse analisi sociologiche o politologiche; costringe al tempo stesso a fare i conti con concretissimi problemi ed a rinnovare il proprio strumentario culturale. L'analisi rigorosa delle dinamiche normative si rivela essere essenziale per la comprensione di rilevanti profili della realtà e sfatare così radicati luoghi comuni non solo nell'opinione pubblica ma nello stesso personale politico-istituzionale.
Quanto utile in tal senso rappresenti questo tipo di ricerche lo si coglie in tutti i contributi. Innanzitutto, le metodologie adottate sono tali da evidenziare la complessità dei problemi e questo è, oltre che scientificamente corretto, culturalmente salutare e civicamente educativo. Prendiamo i vari contributi proprio sotto questo profilo: tutti rappresentano un ausilio prezioso per contrastare, pur in ambiti diversi, sommarie analisi scientifiche, improvvisate soluzioni politiche, deresponsabilizzante, consolatoria, riduzionistica sottovalutazione dei problemi.
Di tutta evidenza questo appare nel contributo di De Siervo, su Rappresentanza politica e ruolo della legge, non a caso frutto di un'audizione parlamentare. Il presidente emerito della Corte costituzionale non si limita a ricordare l'ormai pluridecennale "spostamento del potere decisionale (...) in materia di adozione delle fonti primarie dal Parlamento al Governo, pur in assenza di ogni riforma della Costituzione e perfino delle disposizioni dei regolamenti parlamentari", né si limita a richiamare i dati raccolti dal Comitato per la legislazione, da cui si rileva quello sconsolante dell'atrofia della funzione legislativa pienamente esercitata, ma sottolinea le molteplici convergenti dinamiche che accentuano il fenomeno di perdita di ruolo dell'organo rappresentativo della volontà popolare. Non richiamiamo in questa sede le dinamiche più note, pur ovviamente ricordate dall'Autore. Qui è interessante rilevare l'accento posto sulla ricaduta istituzionale, con la "contrazione dei poteri del Parlamento" ed il "corrispondente accrescimento" di quelli del Governo, di scelte apparentemente 'tecniche', come quella della diminuita "articolazione del bilancio" e la drastica riduzione delle "unità previsionali" con la conseguente maggiore discrezionalità amministrativa dell'esecutivo. Fenomeno i cui esiti sono certamente amplificati dalla "enorme consistenza delle leggi finanziarie e di quelle di stabilità (...)". Leggi, quest'ultime, che dispiegano i loro effetti, anche in virtù di una incompiuta riforma del Titolo V della Costituzione, nel rapporto tra Stato e Regioni e nel complessivo sistema delle autonomie locali.
Proprio l'incapacità del sistema politico di porre mano a riforme organiche determina problemi di non facile soluzione quando questo è sovente costretto a procedere sotto la spinta di emergenziali esigenze economico-finanziarie. Si determinano situazioni paradossali: riforme di cui si discute infruttuosamente da decenni vengono promosse, sotto l'incalzare degli avvenimenti, senza neppure poter mettere a profitto una riflessione che avrebbe dovuto sottrarre la materia alla ghigliottina della (indotta dalla pregressa latitanza) straordinarietà del provvedere. Appare questo di tutta evidenza nel saggio di Deffenu con riferimento al pur necessario ridimensionamento delle Province ed emerge anche nel contributo di Corsi e Rosini che rilevano come, "nonostante la riforma del titolo V risalga a più di un decennio fa, molte delle novità introdotte nel testo costituzionale devono ancora essere recepite sia dal legislatore che dalla giurisprudenza.". Non solo, ma a fronte di una retorica 'federalista' a lungo professata assistiamo ad un gigantesco processo di ricentralizzazione, aldilà della formale ripartizione delle competenze: a favore dello Stato nei confronti delle Regioni e degli altri enti territoriali (ma anche, ad esempio, delle Università), dell'Unione europea nei confronti degli Stati nazionali
Si vanno determinando, nel disorientamento del ceto politico e degli attori istituzionali, mutazioni profonde dell'ordinamento giuridico, che toccano profili significativi non solo della nostra forma di governo ma della stessa forma di Stato (sul versante soprattutto dei suoi caratteri sociale e regionale ma persino democratico). Significativo è l'auspicio, da un lato, di De Siervo, che Parlamento e Governo pongano mano, per quanto ciascuno di competenza, a riforme che arginino le disfunzioni del sistema e, dall'altro, di Corsi e Rosini, che gli enti locali valorizzino le potenzialità di governo delle loro comunità attraverso un uso consapevole delle proprie fonti normative.
Emerge il tema della crisi del ceto dirigente (nozione e crisi più ampia di quella circoscritta al solo ceto politico) e del circuito politico-istituzionale.
Il tema è di tutta evidenza nel contributo di Biondi sulla disciplina dei gruppi parlamentari e i controlli sui relativi bilanci, tema che si è imposto per le note cronache (penali prima ancora che politiche) sull'uso di risorse destinate al finanziamento delle attività politico-istituzionali, che hanno comprensibilmente indignato l'opinione pubblica. Tema che ripropone quello, a lungo dibattuto, sulla stessa natura giuridica dei gruppi parlamentari.
Più in generale, il tema complessivo dei c.d. 'costi della politica' viene affrontato nel dibattito politico e giornalistico senza alcuna capacità di distinguere l'uso improprio delle risorse pubbliche dai costi necessari al funzionamento del sistema democratico. Il rischio è che sull'onda del discredito (purtroppo non immeritato) vengano messi sullo stesso piano dall'opinione pubblica i costi del malaffare e quelli della rappresentanza politica; che la critica legittima e fondata relativa all'attuale crisi dei partiti si trasformi in critica apodittica a queste indispensabili formazioni sociali.
Anche gli altri saggi svolgono un'analoga preziosa funzione nello sfatare luoghi comuni. Prendiamo i quattro contributi sul ravvicinamento delle legislazioni nazionali grazie all'impulso comunitario prima e dell'Unione europea poi. Dalla lettura d'insieme di tali contributi (di Buffoni e Cardone; Gianassi; Grisolia; Migliorini) si ricavano insegnamenti importanti: sulle oggettive difficoltà del processo d'integrazione europea; su come la costruzione di un mercato comune, ormai trasformatosi in mercato interno dell'Unione, sia il prodotto non solo di dinamiche economiche ma di un'imponente azione di promozione e costruzione di un adeguato contesto normativo; sulle relazioni tra le diverse modalità dei processi d'integrazione europea ed il correlato necessario differenziato uso delle fonti; su come il diritto comunitario abbia rappresentato in materia ambientale la base di innovative legislazioni nazionali, anticipandone come noto principi e regole fondamentali, in un contesto che è al "crocevia tra diritto, scienza, tecnica ed economia" (Buffoni e Cardone). Sono contributi sensibili alle difficoltà che attraversa l'Unione europea in questo difficile periodo storico ma che obbligano, a differenza di molte analisi emotive, a misurarsi con la complessità e la concretezza dei problemi ed implicitamente sottolineano come la strada da percorrere sia quella del rinnovato impegno nel processo di integrazione europea.
Ma tantissimi sono gli ulteriori preziosi spunti di riflessione offerti in questo numero: si pensi a come il contributo di Cardone, nel dipanare il complesso problema della tutela multilivello della libertà di espressione del pensiero, ci fa comprendere le potenzialità di "implementazione" di questo come degli altri diritti fondamentali anche quando si è in presenza di un delicato loro bilanciamento e, dall'altro, quello di Bianchi, con riferimento alle norme di attuazione degli statuti speciali, come la tipologia delle fonti utilizzate possa avere significative ricadute sul versante istituzionale (con riferimento al ruolo del Parlamento e, in specie, del Consiglio della provincia di Bolzano) e sul pluralismo dell'informazione.
Del resto, questa è la funzione dell'Osservatorio delle fonti: monitorare le modalità di produzione normativa e cogliere, attraverso la trattazione dei temi più variegati, i 'segni' di un ordinamento in trasformazione.