Interna corporis degli organi costituzionali

Le nuove frontiere del nesso tra opinioni espresse extra moenia e intra moenia ai fini dell’insindacabilità ex art. 68, comma 1, Cost. (1/2024)

Tra il novembre 2023 e il gennaio 2024 la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato si è trovata ad affrontare nuovamente una richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità ex art. 68, primo comma Cost. relativa alle opinioni espresse a mezzo social network da un senatore e dalla possibilità di contestualizzazione di queste ultime nell’ambito delle attività della Camera di appartenenza sotto il profilo della sussistenza del doppio nesso funzionale e temporale, così come definite dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

 È necessaria una preliminare contestualizzazione: la vicenda trae origine da un post pubblicato su Facebook il 7 dicembre 2018, all’inizio della XVIII Legislatura, dall’allora senatore del MoVimento 5 Stelle Alessio Lanzi, avente a oggetto il passaggio dell’on. Matteo Dall’Osso dal gruppo pentastellato a quello di Forza Italia, che si trovava allora all’opposizione del governo Conte I. Le forti critiche rivolte al collega, affetto da sclerosi multipla e non in grado di deambulare autonomamente, erano espresse utilizzando espressioni assai taglienti, quali “Dall'Osso ha deciso di aderire a Forza Italia avvalendosi del suo libero arbitrio. Pur nella “tragicità” di questa decisione mi conforta il fatto che forse le sue condizioni di salute non lo sostengono più di tanto facendogli fare questa ca[...]ta” (sic). Tali affermazioni, espresse a mezzo social network e dunque rivolte a una platea amplissima ed indeterminata e potenzialmente in grado di suscitare ulteriori espressioni offensive e lesive di onore, reputazione ed immagine del destinatario da parte degli altri utenti, nonostante l’invito a “non utilizzare insulti o male parole” da parte dell’autore, furono ritenute diffamatorie dal sen. Dall’Osso. Considerando anche la ridiffusione dei giudizi in oggetto da parte di mezzi di comunicazione online e testate giornalistiche, il destinatario del post ha citato in giudizio l’autore presso il Tribunale di Roma, domandando il risarcimento del danno tanto patrimoniale quanto non patrimoniale da questi asseritamente subito, lamentando altresì il dileggio nei suoi confronti in quanto persona portatrice di disabilità e stigmatizzando la “connessione arbitraria e perniciosa” tra la sua scelta di cambiare gruppo parlamentare e le proprie condizioni fisiche. Inoltre, l’on. Dall’Osso riteneva che la propria vicenda fosse stata strumentalizzata dal MoVimento 5 Stelle per dissuadere altri eventuali abbandoni del gruppo parlamentare e di conseguenza delle forze a sostegno della maggioranza.

Da parte sua, l’allora senatore Lanzi si è difeso adducendo l’esigenza di contestualizzare il proprio post nella linea politica del MoVimento 5 Stelle, storicamente caratterizzata dalla contrarietà all’attuale formulazione dell’art. 67 Cost. e dunque dalla necessità di superare il divieto di mandato imperativo, riaffermata (ma mai attuata) anche nel c.d. “Contratto per il Governo del Cambiamento” tra le forze politiche a sostegno del governo Conte I, mediante il quale erano state definite le linee programmatiche dell’esecutivo[1]. Il necessario nesso funzionale e temporale tra le espressioni extra moenia (ricomprendendosi in esse anche quelle pubblicate sui social media) sarebbe stato integrato dalle affermazioni del medesimo tenore formulate dallo stesso Lanzi nel corso di interventi nelle sedute del Consiglio direttivo del gruppo parlamentare del M5S tanto dell’8 ottobre 2018 quanto del 10 dicembre dello stesso anno, quest’ultima avente a oggetto proprio le sanzioni disciplinari ex art. 21, comma 3, dello Statuto del gruppo, che appunto prevede l’espulsione per tutti i componenti che aderiscano ad altra formazione. Altro elemento presentato dall’on. Lanzi a proprio favore era la sua carica di segretario del gruppo, che avrebbe comportato la sua responsabilità nel far osservare la disciplina interna mediante attività di coordinamento e supervisione. Ne sarebbe conseguita, quindi, l’assenza di qualsiasi potenziale lesivo nel contenuto del post in oggetto, che anzi sarebbe stato da collocare all’interno della linea politica promossa dalla forza politica di appartenenza nei lavori dell’Aula, integrando quindi la natura di manifestazione extra moenia di opinioni già espresse intra moenia. Nel luglio 2021, quindi, il senatore Lanzi ha sottoposto alla propria Camera di appartenenza una richiesta di applicare l’art. 68, comma 1, Cost. a fronte della citazione innanzi al Tribunale di Roma effettuata dal collega Dall’Osso.

Il nodo della questione, dunque, verteva intorno alla ricostruibilità di un nesso tra espressioni indubbiamente extra moenia e opinioni formulate all’interno delle Camere in un contesto differente dall’Assemblea, dalle Commissioni e dalle Giunte quale la riunione del Consiglio direttivo di un gruppo parlamentare. La costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, riconosce l’insindacabilità qualora vi sia un’adeguata corrispondenza a livello di contenuto, non necessariamente una sovrapponibilità, tra le dichiarazioni pronunciate o scritte extra moenia ed intra moenia, nonché un adeguato collegamento a livello temporale tra opinioni espresse dal parlamentare e atti parlamentari da questi promossi (si vedano ex multis le sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, che hanno dato avvio a tale orientamento, poi consolidatosi con le pronunce n. 298/2004 e n. 144/2015, più recentemente anche con la n. 241/2022). Tuttavia, la presentazione di atti parlamentari non vale da sola a garantire l’applicabilità dell’art. 68, comma 1, Cost.: a partire dalla sentenza n. 379 del 2003, infatti, si è affermato un orientamento giurisprudenziale volto a escludere che qualunque testo scritto presentato da un membro delle Camere sia di per sé riconducibile all’esercizio delle proprie funzioni e dunque automaticamente coperto da insindacabilità, anche in presenza di un vaglio di ammissibilità, volto alla tutela della dignità di terzi da parte del Presidente di Assemblea, come nel caso delle interrogazioni, dovendosi comunque accertare in concreto se esista un nesso con lo svolgimento di attività parlamentare[2].

Già nel corso della XVIII Legislatura la Giunta del Senato aveva avuto modo di occuparsi del caso, sottoposto direttamente dall’on. Lanzi ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 140 del 2003 (dunque investendo direttamente la Camera di appartenenza senza preliminarmente aver sollevato l’eccezione in giudizio, essendo sussistente la condizione della pendenza di un procedimento giurisdizionale di responsabilità a suo carico), con l’audizione dell’interessato e la presentazione di memorie scritte. La relazione dell’on. Adriano Paroli (Forza Italia) era caratterizzata da un favor nei confronti del riconoscimento dell’insindacabilità, riconoscendosi la collocazione “in un più ampio contesto di divulgazione esterna dell'attività connessa con la sua funzione di parlamentare e svolta all'interno della propria Camera di appartenenza, in particolare in quanto membro del Direttivo del Gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle” e la sussistenza di un nesso temporale non solo, come appare ovvio, rispetto all’intervento alla riunione del 7 ottobre, ma anche a quella del 10 dicembre, facendo leva sulla sentenza n. 335 del 2006 della Consulta, che riconosce la contestualità anche qualora “l'atto di funzione sia già preannunciato nelle prime o prevedibile sulla base della specifica situazione", dal momento che, con specifico riferimento al secondo requisito, sarebbe risultato prevedibile un intervento del senatore Lanzi sulla questione, anche in considerazione del suo ruolo interno al gruppo.

Tuttavia, la Giunta ha respinto la proposta del relatore originario, attestandosi dunque su una tesi contraria all’insindacabilità: una dinamica sorprendente sotto un profilo strettamente politico, considerando che l’on. Paroli apparteneva ad un gruppo di opposizione al tempo in cui si erano verificati i fatti e che la gran parte delle forze politiche, MoVimento 5 Stelle e Forza Italia incluse, si trovavano unite nel sostegno al governo Draghi al momento della votazione. Dalla nuova relazione del sen. Emanuele Pellegrini (Lega Salvini Premier – Partito Sardo d’Azione) emergeva una posizione critica nei confronti della richiesta del convenuto, fondata sull’impossibilità di ricondurre alla natura di atti intra moenia le dichiarazioni effettuate all’interno di riunioni di un gruppo parlamentare, trattandosi di attività prive di alcuna forma di documentazione, né sommaria né stenografica, e caratterizzate da un’alterità rispetto ai lavori parlamentari. Tale posizione sarebbe stata corroborata dall’ordinanza n. 3335 del 2004 delle SS.UU. della Cassazione, che nell’individuare due “piani di attività” dei gruppi avrebbe distinto l’aspetto politico da quello strettamente parlamentare, riservando solo a quest’ultimo le garanzie dell’art. 68, comma 1, Cost. e relegando il primo a una posizione di assimilazione all’attività dei partiti, da ritenere soggetti privati. Tuttavia, sul punto, bisogna ricordare che nell’ordinanza in oggetto la Cassazione stessa, nell’enumerare le fonti che regolano il ruolo dei gruppi nello svolgimento delle funzioni proprie del Parlamento, cita anche i “regolamenti interni dei gruppi medesimi”, della cui applicazione si stava trattando nelle riunioni nelle quali erano state pronunciate le affermazioni in esame. Inoltre, il relatore citava la giurisprudenza costituzionale che evidenziava la necessità di una “connotazione parlamentare” delle attività nel contesto delle quali sono pronunciate le dichiarazioni considerate lesive e non solo un mero “collegamento con le attività politiche”, nonché le pregresse pronunce della Giunta, favorevoli a ricondurre controversie di questo tipo nell’ambito della scriminante del diritto di critica politica ex art. 51 c.p., da accertare a opera dell’autorità giudiziaria e non della Camera di appartenenza.

La relazione è stata portata all’attenzione dell’Assemblea nella seduta del 16 febbraio 2022, quando, tuttavia, si è dato atto dell’apertura di trattative per la composizione bonaria della questione, con la presentazione di una richiesta di rinvio della trattazione delle more della definizione, poi approvata ad ampia maggioranza nell’ottica del favor per la risoluzione extragiudiziaria delle controversie. Ne seguì nell’aprile dello stesso anno la rinuncia alla deliberazione da parte del Senato presentata dall’on. Lanzi. Tuttavia, il tentativo conciliativo non ha avuto esito positivo, il procedimento civile è dunque proseguito presso la XVIII Sezione civile del Tribunale di Roma, che, a fronte di una nuova eccezione di insindacabilità da parte del convenuto, condividendo il contenuto della relazione della Giunta ha provveduto a trasmettere copia degli atti al Senato nell’ottobre del 2023, riavviando così l’esame della sussistenza o meno dei presupposti necessari per fondare l’insindacabilità. La nuova relatrice, la sen. Nicoletta Spelgatti (Lega Salvini Premier – Partito Sardo d’Azione), ha ritenuto di condividere il contenuto della precedente relazione, ma in Giunta sono emerse numerose le voci favorevoli al riconoscimento dell’insindacabilità, nella prospettiva di un superamento dell’applicazione “meccanica” dell’art. 68 Cost. ai soli casi nei quali le dichiarazioni intra moenia siano rese in Aula o comunque nel corso dei lavori parlamentari dei quali esiste un resoconto ufficiale, lasciando fuori le situazioni liminali quali, appunto, le riunioni dei gruppi, che attengono comunque all’esercizio del mandato e si svolgono sovente negli edifici delle Camere, dunque nelle moenia in senso letterale del termine.

A seguito di tale discussione, la relatrice ha ritenuto opportuno rinunciare al mandato, rendendosi dunque necessario un nuovo incarico, affidato al senatore Salvatore Sallemi (FDI), che nella sua relazione ha invece richiamato le conclusioni presentate dall’on. Paroli nella precedente legislatura. A sostegno di tale tesi, si adduceva una lettura della giurisprudenza costituzionale sui gruppi maggiormente favorevole al loro ruolo nel contesto parlamentare, facendo leva su sentenze del giudice delle leggi quali la n. 49 del 1998 e la n. 298 del 2004, che ne valorizzano il ruolo costituzionalmente necessario ai fini del buon funzionamento delle Camere e dell’efficace rappresentazione istituzionale del pluralismo politico. Sempre sotto il profilo delle pronunce della Consulta, vi era un ulteriore riferimento alla sentenza n. 298 del 2004 sotto il profilo della tipologia degli atti che possono essere considerati intra moenia, ricordando come nel caso in specie si fosse riconosciuta tale natura alle note scritte da un parlamentare al presidente del proprio gruppo e in un secondo momento diffuse alla stampa, considerando che, seppur non ufficiali, esistevano verbali di ambedue le riunioni in oggetto. Si riprendeva altresì la summenzionata sentenza n. 335 del 2006, riconoscendo la sussistenza del requisito del vincolo temporale come configurato dalla relazione dell’on. Paroli. Inoltre, si riteneva opportuno considerare l’ulteriore rilievo da attribuire a seguito della riforma regolamentare del 2022 agli statuti dei gruppi, che devono essere trasmessi al presidente della Camera di riferimento e pubblicati sugli appositi siti.

Il 23 gennaio 2024 la Giunta si è dunque pronunciata ad ampia maggioranza in favore dell’accoglimento della proposta di relazione, incaricando il senatore Sallemi di riferire in Assemblea. Il 27 marzo si è svolta la discussione in Aula, con l’approvazione definitiva della relazione. Appare evidente il consolidamento della tesi volta a ricomprendere nel perimetro dell’insindacabilità parlamentare anche i casi di espressioni proferite in circostanze non strettamente collegate con le attività ordinarie delle Camere; le riunioni interne ai gruppi nel caso in specie, in relazione alle quali potrebbe essere opportuno introdurre forme standardizzate di verbalizzazione. Si tratta di un tema indubbiamente assai controverso, in relazione al quale risulta complesso contemperare la necessaria libertà dei parlamentari nello svolgimento del proprio mandato elettivo e l’esigenza di garantire una comunicazione corretta e rispettosa della dignità di ciascuno. Tale bilanciamento risulta ulteriormente arduo alla luce della pluralità di sedi e mezzi di comunicazione mediante i quali per i membri delle Camere è possibile esprimere le proprie opinioni: se, come si è detto, non v’è dubbio che le affermazioni effettuate a mezzo social network risultino indefettibilmente espresse extra moenia (si veda in merito per la prima volta la sent. n. 241 del 2022), tentare di ricostruire un nesso funzionale e temporale con l’attività parlamentare non è agevole.

Sul punto è necessario ricordare la sentenza n. 37 del 2024, con la quale la Corte, giudicando in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ha censurato la delibera di insindacabilità adottata dal Senato il 16 febbraio 2022 con riferimento alle condotte dell’on. Mario Michele Giarrusso, querelato dinnanzi al Tribunale di Catania per il reato di diffamazione aggravata dall’impiego di mezzo di pubblicità ex art. 595, commi 1 e 3, c.p. Nel caso in specie, l’allora membro del Senato aveva pubblicato alcuni post sulla propria pagina Facebook contenenti espressioni ingiuriose nei confronti di una giornalista, ritenute dalla Camera di appartenenza dotate di un collegamento con atti tipici parlamentari del 2014 e del 2016 e in generale con la sua attività anche in Commissione parlamentare in relazione all’incandidabilità dei c.d. “impresentabili”. Tuttavia, la Consulta ha accolto le eccezioni del Tribunale, reputando radicalmente insussistente il nesso funzionale tra le dichiarazioni de quibus e le opinioni espresse dall’on. Giarrusso negli atti parlamentari citati, in quanto questi ultimi non si riferivano in alcun modo alla giornalista oggetto delle espressioni asseritamente diffamatorie, mancando altresì un qualsiasi collegamento tra esse e la tematica del contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso.

In linea generale, la tesi estensiva risulta maggiormente rispettosa delle prerogative dei componenti delle Camere, in quanto volta ad assicurare la massima libertà nell’espressione di opinioni anche potenzialmente offensive in sede parlamentare, pur richiedendosi un certo self-restraint da parte di deputati e senatori e sussistendo una serie di norme regolamentari volte a disciplinare controversie insorte all’interno dell’organo rappresentativo. Tuttavia, il dettato attuale dell’art. 68, comma 1, Cost. e dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003 riflette uno stato di cose inevitabilmente superato dal progresso tecnologico, richiedendo dunque un aggiornamento in modo tale da chiarificare definitivamente il perimetro applicativo dell’insindacabilità delle opinioni, così da indirizzare in modo univoco la giurisprudenza delle Giunte competenti. Il diritto di critica e denuncia politica dei parlamentari si estrinseca oggi eminentemente attraverso i social network, esigendosi sovente risposte immediate da parte dei propri rappresentanti in una società sempre più iper-connessa e costantemente aggiornata. Non v’è chi non veda poi come i nuovi mezzi di comunicazione permettano un’interazione sempre più rapida e disintermediata tra rappresentanti e rappresentati, che porta con sé il rischio di formulare espressioni mal ponderate o comunque idonee a essere considerate lesive da parte dei destinatari e la difficoltà nel presentare entro un lasso di tempo assai ridotto un atto parlamentare per ogni opinione espressa potenzialmente reputabile lesiva (si veda in merito la posizione della Corte Costituzionale nella sentenza n. 241/2022, secondo la quale un atto presentato dopo più di un mese non è idoneo a integrare il requisito del nesso temporale). Un intervento in materia da parte del legislatore costituzionale richiederebbe a sua volta una rilettura in senso meno stringente del requisito del doppio nesso funzionale e temporale da parte della Corte: certo è che a normativa e contesto storico invariati appare assai probabile che il contenzioso di fronte alla Consulta aumenti sensibilmente. In ogni caso, seppur rimarcando l’importanza dell’art. 68, comma 1, ai fini di una piena e autentica libertà di espressione dei parlamentari nel corso del loro mandato, non ci si può esimere dall’evidenziare la necessità di una comunicazione corretta e rispettosa da parte dei rappresentanti degli elettori. Ciò non vale certo a escludere la possibilità di formulare critiche e denunce decise e circostanziate, ma è volto a evidenziare l’esigenza di tenere un contegno online adeguato al prestigio della funzione svolta e di evitare, date le specifiche modalità di funzionamento dei social media, di alimentare campagne di discredito o diffamatorie nei confronti degli avversari politici.

 

[1] Sul punto si veda A. Morelli, Mandato parlamentare alla portoghese? Il “contratto di governo” non è chiaro, in laCostituzione.info, 17 maggio 2018. Cfr. anche M. Carducci, Le dimensioni di interferenza del “contratto” di Governo e l’art. 67 Cost., in Federalismi.it, 13, 2018; L. Mariantoni, Contratto di governo e accordo di coalizione. Natura giuridica e vincolatività, in Osservatorio Costituzionale AIC, 3, 2018, pp. 320-325; L. Pedullà, “Contratto per il governo del cambiamento” e modifica dell’art. 67 Cost., in Forum di Quaderni Costituzionali, 10 maggio 2019. Più in generale sul tema degli accordi di governo P.A. Capotosti, Accordi di governo e presidente del consiglio dei ministri, Giuffrè, Milano, 1974; M. Carducci, L’accordo di coalizione, CEDAM, Padova, 1989.

[2] Sul punto O. Caramaschi, Dal nesso funzionale esterno alla continenza interna? Recenti tendenze in tema di insindacabilità parlamentare (nota a Corte cost., sent. n. 59/2018), in Consulta Online, II, 2018, pp. 265-266; G. Scaccia, Spunti per una ridefinizione del “nesso funzionale” in tema di insindacabilità parlamentare, in Rivista AIC, 4, 2014, p. 15.

[3] Funditus, S. Bargiacchi, In materia di insindacabilità la Corte consolida la giurisprudenza del nesso funzionale, in NOMOS Le attualità nel diritto, 1, 2023, pp. 1-11.

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