Qualità della normazione

Qualità della normazione (3/2024)

1. Nell’ultimo anno sono stati pubblicati due volumi che, da differenti prospettive, consentono di svolgere in questa sede alcune riflessioni sui più recenti sviluppi della qualità della normazione in Italia.

Il primo Volume è della Prof.ssa Helen Xanthaki che, da una prospettiva giuridica, affronta il tema della scrittura degli atti normativi dell’Unione europea e di quelli nazionali di attuazione dei primi (H. Xanthaki, Legislative Drafting for the EU. Transposition Techniques as a Roadmap for Better Legislation and a Sustainable EU, Edward Elgar Publishing, 2024, pp. 368).

Il secondo, curato da una linguista (Emanuela Maria Piemontese), raccoglie una serie di saggi a trent’anni dall’uscita del Codice di stile promosso dall’allora Ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese (M.E. Piemontese (a cura di), Il dovere costituzionale di farsi capire. A trent’anni dal Codice di stile, Carocci editore, 2023, pp. 307).

2. Il Volume di Xanthaki prende le mosse ipotizzandosi la necessità di un ripensamento del modo in cui si progettano e scrivono gli atti normativi dell’Unione europea e li si attua a livello nazionale (cap. 1). Da un lato, gli atti dell’Unione europea tendono infatti oggi ad essere percepiti come volti a raggiungere, allo stesso tempo, obiettivi di regolazione europea e nazionale: fattore, questo, “schizofrenico” a detta dell’Autrice, poiché lo stesso atto non può perseguire obiettivi propri di due distinti legislatori. Dall’altro, l’operazione di attuazione a livello nazionale è in genere svolta dal legislatore interno attraverso il semplice “copia e incolla” (c.d. copy out approach) della terminologia europea negli atti di attuazione interni, senza porsi particolari domande sulla preferibilità nel caso concreto di seguire in alternativa il c.d. interpretative approach (su tali approcci, cfr. infra). In altre parole, le modalità correnti di redazione degli atti normativi dell’Unione europea (peraltro, a dire di Xanthaki, già di per sé non adeguate) e quelle di attuazione interna, tendono ad “appiattire” sul livello europeo l’intera operazione di scrittura e progettazione, senza lasciare alcuno spazio di effettiva autonomia (in termini di progettazione/scrittura) per il legislatore nazionale.

Il Volume è idealmente diviso in due parti, tra loro però strettamente interconnesse. Nella prima parte (capp. 2-8), l’Autrice suggerisce di dare effettiva autonomia alla progettazione ed alla scrittura degli atti interni di attuazione del diritto dell’Unione europea, accogliendosi le cinque fasi del drafting elaborate da Grant Thorton (sulle quali, cfr. infra). Nella seconda parte (capp. 9-12), l’Autrice propone un radicale ripensamento della metodologia di progettazione e scrittura degli atti normativi dell’Unione europea che, a cascata, potrebbe generare un utilizzo virtuoso delle cinque fasi sopra menzionate nella scrittura e progettazione degli atti interni di attuazione.

3. Il Volume di Piemontese raccoglie invece una serie di saggi di linguisti (come Michele Cortelazzo) e giuristi (come Laura Tafani e Valerio Di Porto) che analizzano lo stato della qualità della legislazione italiana e ragionano intorno alle cause di quello che Cortelazzo definisce un preoccupante «decadimento» della stessa (p. 110).

Nel suo articolo, Cortelazzo svolge un’analisi empirica delle tre leggi che nel corso degli anni hanno normato l’ordinamento universitario nel suo complesso: la c.d. riforma Gentile del 1923, la riforma del 1980 e la c.d. legge Gelmini del 2010. L’analisi è svolta alla luce di una serie di parametri quantitativi (quali l’indice globale di leggibilità, la lunghezza media degli articoli, la lunghezza media delle frasi, la lunghezza media delle parole, il rapporto tra nomi e verbi, la frequenza di alcuni tecnicismi collaterali, la lunghezza media della proposizioni, il tasso di subordinate, il tasso di lemmi diversi appartenenti al vocabolario di base) e qualitativi (la presenza di forme indirette, astratte e stereotipate, la nitidezza sul piano testuale). Il giudizio complessivo è abbastanza impietoso e giustifica il ricorso, appunto, a quel termine («decadimento») sopra menzionato.

Di Porto compie un altro tipo di confronto diacronico nel suo articolo: quello tra i dati tratti dal Rapporto sulla legislazione del 1991 e quelli contenuti nel Rapporto sulla legislazione del 2021. Idealmente, si tratta dell’anno del Trattato di Maastricht, il primo, e l’anno di elaborazione e prima attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il secondo. Anche qui, l’andamento dei dati sulla produzione normativa sembra preoccupante: Di Porto registra un raddoppio della produzione normativa dal 1991 al 2021 (calcolata in termini di caratteri della stessa); l’aumento del numero di leggi di grandi dimensioni, che si pongono come meri contenitori dei più disparati interventi normativi; l’aumento del numero di atti normativi volti a dare risposta a situazioni di crisi.

Tafani individua nel suo articolo una serie di patologie proprie della produzione normativa: l’inflazione legislativa, la frammentazione del contenuto normativo ed il mancato coordinamento tra atti normativi, la frettolosa redazione delle leggi, il ricorso a rinvii “pedanti”.

I giuristi, a partire da Cassese che firma la Prefazione del Volume, individuano le cause di tale stato di cose, ad esempio, nel ruolo svolto dal Parlamento in sede di conversione dei decreti-legge (p. 9). Analogamente, Tafani sottolinea la fuoriuscita del decreto-legge dai confini costituzionali, a scapito degli strumenti ordinari di esercizio dell’attività normativa del Governo: con le inevitabili conseguenze in termini di asistematicità degli interventi normativi e quindi di cattiva qualità della legislazione (p. 84 s.). Occorre ricordare come, ancora di recente, la Corte costituzionale (riferendosi ad un articolo di un decreto-legge, riprodotto in un altro decreto-legge, la cui legge di conversione ha abrogato il primo articolo) ha parlato di «tortuosa tecnica di produzione normativa – frutto di un anomalo uso del peculiare procedimento di conversione del decreto-legge […], che reca pregiudizio alla chiarezza delle leggi e all’intelligibilità dell’ordinamento […], princìpi questi funzionali a garantire certezza nell’applicazione concreta della legge» (ord. Corte cost. 27 febbraio 2024, n. 30).

Va ben oltre la prospettiva del decreto-legge Di Porto, il quale cerca le cause più profonde di questa torsione dei procedimenti legislativi nel funzionamento della forma di governo, parlando di «difficoltà nel legiferare in un sistema partitico molto indebolito e ormai quasi liquido, ispirato a una logica maggioritaria che rende meno facile la condivisione delle decisioni e sposta l’asse della legislazione sul Governo» (p. 156).

Appare peraltro significativo come, nella ricerca delle cause della cattiva qualità della legislazione, compaia un rilievo critico (da parte di Cassese, ancora una volta nella Prefazione) verso chi è chiamato a scrivere le leggi: spesso, nota Cassese, «magistrati amministrativi non esperti di legistica, ma molto pratici nello scrivere sentenze», la cui scrittura però «risponde a una logica interamente diversa dalla scrittura delle norme». Queste ultime, infatti, «comandano o indirizzano la società civile»; le sentenze «rispondono agli argomenti presentati dalle parti» (p. 8 s.). Non distanti le critiche di Tafani sul punto, la quale sottolinea come le leggi sono «confezionate in luoghi in cui mancano spesso gli esperti di tecnica legislativa». Dal canto loro, gli uffici ministeriali sono occupati soprattutto «nella definizione del merito del provvedimento, per cui la cura della qualità linguistica viene in secondo piano» (p. 82).

Non mancano peraltro nel Volume riferimenti alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 2023, dove la Corte, come è noto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di «disposizioni irrimediabilmente oscure, e pertanto foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concerta», violando dunque ciò il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.. Disposizioni, queste, che si pongono in contrasto, scrive la Corte, con quella «ovvia aspettativa [di ciascun consociato] a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela, sì da poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d’azioni» (cfr. Considerato in diritto 4.3.3).

In altre parole, si tratta dunque di disposizioni in contrasto con quell’etica della comunicazione di cui parlava Tullio De Mauro, come ricorda Piemontese nell’Introduzione al Volume (p. 12), che genera quindi, in termini etici e giuridici, quel dovere costituzionale di farsi capire che costituisce, riprendendosi ancora una volta parole di De Mauro (p. 253), il titolo del Volume. La definizione di «comunicare», come ricorda Piemontese, è d’altronde «mettere in comune», «far partecipi di qualcosa».

4. Quali insegnamenti possono trarsi dai due Volumi per il nostro Paese?

4.1. Le proposte di Xanthaki sembrano costituire un’occasione di ripensare in generale l’intero modello di drafting accolto in Italia.

(i) Il drafter italiano segue infatti solo parzialmente (e comunque in modo non rigoroso) le cinque fasi di Thorton nella progettazione e redazione degli atti normativi, richiamate da Xanthaki. Tali fasi (elaborate anni fa da Thorton ed ora aggiornate in H. Xanthaki, Thorton’s Legislative Drafting, Bloombsbury, 2013, 5th edition) sono le seguenti: la comprensione, da parte del drafter, delle istruzioni di drafting elaborate dai funzionari giuridici dell’Esecutivo, che contengono la “richiesta” al drafter circa gli obiettivi giuridici e politici che l’atto normativo deve raggiungere; l’analisi della proposta (cioè, l’analisi della legislazione esistente, della necessità di un intervento legislativo, delle alternative possibili e delle conseguenze giuridiche ed extra-giuridiche dell’intervento stesso); la strutturazione del testo normativo; la scrittura in senso stretto; la sottoposizione a verifica interna ed esterna della prima bozza, se si esclude il ruolo svolto dal Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi (DAGL).

Nel nostro Paese non vengono fornite al drafter le drafting instructions che sono invece proprie del sistema di drafting accolto nel Regno Unito. L’analisi della proposta si risolve generalmente in un’analisi strettamente giuridica (si pensi all’analisi tecnico-normativa) e le esperienze di analisi extra-giuridiche (è il caso dell’analisi di impatto della regolamentazione) sono spesso condotte in modo burocratico-formale. Mancano momenti di raccordo per lo svolgimento di verifiche interne ed esterne della prima bozza.

Certo, le cinque fasi sembrano presupporre l’accoglimento di quel modello che nel Regno Unito vede la scrittura delle norme compiuta da parte di drafter professionisti: figura, cioè, distinta da quella del giurista esperto della singola materia di volta in volta regolamentata dall’atto normativo (sul punto si tornerà infra). Ad esempio, sembra impossibile concepire drafting instructions in assenza di una distinzione tra funzionari giuridici (che elaborano tali istruzioni) e drafter (cui le istruzioni sono indirizzate in vista della scrittura dell’atto normativo).

Tuttavia l’adozione di una scansione maggiormente rigorosa di fasi analoghe nel processo di scrittura di un atto normativo sembra poter comportare benefici per il nostro Paese, perché, in particolare, renderebbe tali operazioni maggiormente funzionali agli specifici obiettivi che ciascuna di esse persegue (ad esempio, la progettazione dell’atto normativo, la sua scrittura formale, l’analisi dei suoi effetti giuridici nonché quello delle sue implicazioni extra-giuridiche).

(ii) Più in particolare, le indicazioni di Xanthaki potrebbero aiutare il drafter italiano a districarsi efficacemente a fronte della scelta tra c.d. copy out approach e c.d. interpretative approach.

Uno dei problemi che si presenta al momento dell’attuazione interna di atti normativi dell’Unione europea è quello costituito dall’utilizzo, in questi ultimi (nella versione della lingua ufficiale di un dato Stato membro), di termini che nel diritto interno di quello Stato siano privi di un significato (o comunque dotati di un significato non sufficientemente preciso).

A fronte di tale situazione, a livello nazionale si sono sviluppati due diversi approcci: quello che predilige l’utilizzo immutato nell’atto interno del termine usato dal legislatore dell’Unione europea (c.d. copy-out approach) e quello che al contrario ricorre all’utilizzo di un termine differente che risulti però preciso nel contesto interno (c.d. interpretative approach). I sostenitori di quest’ultimo approccio fanno notare come in questo modo si assicurerebbe al lettore un linguaggio preciso, senza imporgli l’onere di dover andare alla ricerca dell’intenzione del legislatore europeo sottesa a quel termine. Ribattono tuttavia i sostenitori del primo approccio che, poiché è comunque l’intenzione del legislatore europeo quella che deve seguirsi poi in sede interpretativa, l’utilizzo di un termine diverso sarebbe comunque fuorviante per il lettore (su tali differenti approcci, cfr. D. Greenberg (ed.), Craies on Legislation: A Practitioners’ Guide to the Nature, Process, Effect and Interpretation of Legislation, Sweet & Maxwell, 2012, p. 211 ss.).

Nel contesto italiano è stato sottolineato come «solo quando sia la corrispondenza semantica che quella concettuale sono sicure la direttiva può essere recepita copiando la versione italiana; negli altri casi si dovrà procedere a una rielaborazione, che tenga conto del contesto normativo in cui la nuova disciplina si inserisce» (L. Tafani, Il fattore linguistico nel recepimento delle direttive europee, in Aa.Vv., Il linguaggio giuridico nell’Europa delle pluralità. Lingua italiana e percorsi di produzione e circolazione del diritto dell’Unione europea, Senato della Repubblica, 2017, p. 206 nonché Id., Enhancing the quality of legislation: the Italian experience, in The Theory and Practice of Legislation, 2022, No. 1, p. 5 ss.). Dal canto suo, il Consiglio di Stato nel 2002 ha sottolineato come il legislatore interno debba procedere al recepimento delle direttive non limitandosi a copiare le parole della versione italiana, analizzandosi piuttosto il contenuto delle stesse e avvalendosi di definizioni che non costituiscano la traduzione letterale e pedissequa del testo in lingua originale (Consiglio di Stato, sezione atti normativi, 26 agosto 2002, n. 2636).

Si è già auspicato in altra sede che un qualche criterio di scelta per il caso concreto possa venire accolto in sede di riforma delle Circolari di drafting (cfr., volendo, E. Albanesi, A mo’ di appunti in vista di un auspicabile aggiornamento, vent’anni dopo, delle Circolari di drafting del 2001: alcune regole ad oggi “mancanti”, in Osservatorio sulle fonti, 2022, n. 1, p. 515 s.). Da questo punto di vista, Xanthaki non opta in modo automatico per l’uno o per l’altro approccio. Tuttavia, ricordando l’Autrice l’importanza di lasciare spazio di effettiva autonomia (in termini di progettazione/scrittura) al legislatore nazionale, ella sembra quantomeno ricordare che il compito del legislatore sia quello di creare coraggiosamente un testo di attuazione interna che sia autonomo (p. 118). Escludendosi dunque con ciò ogni tipo di automatico accoglimento del c.d. copy out approach.

4.2. Ci sono almeno due spunti, contenuti nel Volume di Piemontese, che andrebbero valorizzati.

(i) Il primo è l’auspicio di Tafani ad un «ritorno alla Costituzione» (p. 84 s.), magari attraverso la costituzionalizzazione del principio dell’omogeneità dei decreti-legge nell’art. 77 Cost. (una misura, lo si ricorda, contenuta nel testo di revisione costituzionale volto, tra l’altro, al superamento del c.d. bicameralismo paritario, su cui il corpo elettorale si espresse negativamente nel referendum del 2016) e dandosi copertura costituzionale alle operazioni di codificazione (p. 89).

Misure, queste, pienamente condivisibili (cfr., volendo, E. Albanesi, Teoria e tecnica legislativa nel sistema costituzionale. Seconda edizione interamente rivista e aggiornata. Prefazione di Paolo Carnevale, Editoriale scientifica, 2019, p. 275 s.), sebbene si sia consapevoli della loro difficile realizzazione, in quanto dovrebbero implicare una modifica del testo costituzionale.

È questo il motivo per cui analoghi risultati potrebbero essere raggiunti, ad esempio, incidendo sulle procedure legislative ordinarie o di conversione dei decreti-legge, attraverso riforme dei regolamenti parlamentari (si vedano le proposte che stanno emergendo dall’Indagine conoscitiva sui profili critici della produzione normativa e proposte per il miglioramento della qualità della legislazione, reperibile sul sito della Camera dei deputati, XIX legislatura, Comitato per la legislazione, Indagini conoscitive).

(ii) Il secondo è il rilievo critico di Cassese, sopra menzionato, su chi, nel nostro Paese, è chiamato a redigere gli atti normativi. Anche Tafani, come si è sopra detto, sottolinea come ci sia in Italia un problema di carenza di personale qualificato, auspicandosi peraltro una maggiore formazione di chi è chiamato a redigere le leggi (p. 85 s.).

Come si è accennato sopra, nel nostro ordinamento manca una vera e propria figura professionale di drafter, come quella (il Parliamentary Counsel) su cui si impernia l’intero sistema di drafting nel Regno Unito (su cui D. Greenberg, Laying Down the Law. A discussion of the people, processes and problems that shape acts of Parliament, Sweet & Maxwell, 2011, p. 23). E questo, come nota Cassese, costituisce un problema dal punto di vista della qualità del prodotto normativo, redatto da parte di drafter che non sono esperti di legistica.

In altra sede si è auspicato che il sistema della scrittura delle norme da parte di drafter professionisti venga accolto nel nostro Paese (sia consentito il rinvio a E. Albanesi, Memoria, depositata a margine dell’audizione del 6 maggio 2024 presso il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati e Comitato per la legislazione del Senato della Repubblica riuniti, nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sui profili critici della produzione normativa e proposte per il miglioramento della qualità della legislazione, reperibile sul sito della Camera dei deputati, XIX legislatura, Comitato per la legislazione, Indagini conoscitive).

Il fatto che sia Cassese a sottolineare questo profilo critico nella produzione normativa, getta quantomeno un fascio di luce su questo problema.

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