1998-2008: la fine della legge?
1. Le ragioni di un bilancio
Nel maggio di quest’anno si è concluso il primo anno di attività della XVI Legislatura e del Governo Berlusconi IV. Questa scadenza consente di effettuare un primo bilancio con riguardo all’attività legislativa del Parlamento; qual è l’andamento, in termini sia quantitativi che qualitativi, della produzione delle leggi nel nostro paese?
Nella rubrica Fonti statali di questa rivista è possibile trovare Tabelle e Grafici riassuntivi.
Il dato che emerge nel suo complesso appare – sinteticamente – molto significativo e meritevole di un’attenta valutazione.
Se consideriamo, infatti, i dati su base annua è possibile rilevare in questa fase d’avvio della nuova Legislatura (e del relativo Esecutivo) alcuni trends ormai consolidati quantomeno nell’ultimo decennio.
Abbiamo scelto il decennio (1998-2008) come periodo di riferimento dal momento che l’anno 1997 rappresenta in Italia un vero e proprio spartiacque nella prassi parlamentare legislativa. Alla fine del 1996, infatti, la Corte Costituzionale deposita la ben nota sentenza n. 360 con la quale dichiara incostituzionale la reiterazione dei decreti-legge; prima di questa data il panorama della produzione legislativa italiana era del tutto “deformato” da tale fenomeno (basti pensare che eravamo arrivati alla media di oltre un decreto-legge al giorno con la relativa crescita logaritmica delle leggi di conversione); questa pronuncia, dunque, costituisce un vero e proprio turning point, quantomeno sul piano quantitativo. Il successivo 1997 rappresenta un anno di assestamento – di “uscita” dalla reiterazione, come l’abbiamo definito -, un periodo molto particolare (A. SIMONCINI, La “fine” della reiterazione dei decreti legge, in Osservatorio sulle fonti 1997, consultabile anche in questa Rivista, rubrica "Archivio Osservatorio") in cui il sistema parlamentare, nonostante il fortissimo impatto della pronuncia della corte su una prassi che pareva ormai invincibile, riesce ad assorbire il colpo e ad eliminare la reiterazione, tornando a quella media stabile dei “circa” tre decreti legge al mese che costituisce, con qualche sporadica variazione, il “tasso strutturale” di decretazione d’urgenza del nostro sistema (SIMONCINI A., Dieci anni di decretazione d’urgenza, in Osservatorio sulle fonti 2006-2007, p. 132 e ss. si può consultare l’Indice in questa Rivista, rubrica Archivio Osservatorio).
E’ per questa ragione che, in realtà, è il 1998 ad inaugurare il decennio “post-reiterazione” che si conclude con il primo anno di vita della XVI legislatura.
2. I dati
Il primo e più rilevante fenomeno che caratterizza questo decennio è la progressiva e costante riduzione quantitativa della produzione legislativa totale del Parlamento italiano.
Come mostra la Tabella A, dalle circa duecento leggi annue del biennio 1998-1999, la produzione legislativa totale del Parlamento inizia a scendere attorno alle circa 130 di media nel quinquennio successivo, per poi avviare dal 2004 una discesa costante che toccherà il suo minimo storico nel 2007 (59 leggi), durante la particolarissima XV legislatura (caratterizzata dal Governo Prodi II e dalla sua esilissima maggioranza parlamentare) e nel 2008 vede una parziale, ma contenuta ripresa (72 leggi).
Questo dato diviene molto più espressivo se lo disaggreghiamo provando a scoprire cosa si celi, in realtà, dietro l’etichetta generica “legge parlamentare”.
Quattro fattori, tra gli altri, sono maggiormente evidenti.
In primo luogo, come evidenziano la Tabella B1, B2 e la Tabella C, nella composizione delle leggi parlamentari - soprattutto nell’ultimo triennio, ma il fenomeno è costante nei dieci anni precedenti - è cresciuta in maniera fortissima la componente dovuta alla conversione dei decreti-legge (23% nel 2006, 27% nel 2007, 36% nel 2008); oggi, per l’effetto combinato del calo costante della legislazione totale e della persistenza del tasso strutturale di decretazione d’urgenza, più di un terzo delle leggi prodotte dal parlamento non nasce da un ordinario disegno di legge del governo o da una proposta parlamentare, ma da un decreto-legge e dal relativo disegno di conversione (percentuale che oltrepassa il 50 percento nel primo anno delle nuove legislature, come di recente è stato osservato. Cfr. R. ZACCARIA, E. ALBANESI, Il decreto-legge tra teoria e prassi, in www.forumcostituzionale.it, Tabelle A e B.).
In secondo luogo, resta altissima la componente delle leggi che nascono dalla ratifica di trattati internazionali (nell’ultimo triennio: 37% nel 2006, 30% nel 2007, 50% nel 2008); nel 2008 la metà delle leggi parlamentari sono, in realtà, atti in cui il Parlamento si limita ad approvare in blocco – senza potere di emendamento e quasi sempre senza un reale dibattito - i trattati internazionali firmati dal Governo, dotandoli del necessario ordine di esecuzione.
Se, dunque, dal numero totale delle leggi approvate sottraiamo la quota delle leggi di conversione, quelle di ratifica e le altre 5 leggi annuali, per dir così, “obbligate” (leggi di bilancio e comunitarie), emerge un dato ancor più impressionante: il numero delle leggi parlamentari per dir così “classiche”, quelle, cioè, che nascono o dalla ordinaria iniziativa legislativa del governo o dei parlamentari – che nella Tabella C sono definite “altre leggi ordinarie” - è sceso in maniera costante nel decennio, crollando negli ultimi anni dalle 30 del 2006 (34% del totale), alle 18 del 2007 (30%) ed alle 5 (sic!) del 2008 (6%).
Infine, per completare questo quadro, al dato sulla decretazione d’urgenza va affiancato quello complessivo sui decreti legislativi, atti con forza di legge del Governo che dal 2001 su base annuale (se si eccettua il 2002) sono sempre stati in numero maggiore dei decreti-legge (Tabella D). Basti pensare che nell’ultimo triennio i decreti legislativi hanno rappresentato, se paragonati al dato complessivo delle leggi parlamentari, rispettivamente il 58% nel 2006 (63 D.lgs. contro 107 leggi), il 125 % nel 2007 (74 D.lgs. contro 59 leggi) e 57% nel 2008 (41 D.Lgs. contro 72 leggi).
Il Grafico E rende proprio l’idea del dato costante della decretazione d’urgenza e degli andamenti speculari e compensativi di legislazione e decretazione legislativa.
Ma l’aspetto che rende tutti questi dati particolarmente significativi, è che essi, quantomeno come orientamenti tendenziali, sono in linea con gli andamenti quantitativi dell’ultimo decennio (Tabella A).
3. Alcune tendenze
Siamo ben consapevoli che le analisi quantitative presentano sempre rischi altissimi dovuti all’incompletezza dei dati, alla loro difficile comparabilità, all’inevitabile parzialità di chi li sceglie e li analizza.
Pur adottando, quindi, tutte le cautele opportune, ci pare però che alcune tendenze ormai non possano più considerarsi solo ipotesi scientifiche, ma costituiscano fenomeni e prassi consolidate nel nostro sistema delle fonti.
Proviamo a sintetizzarne alcune.
a) Il carattere progressivamente recessivo e residuale della legislazione parlamentare ordinaria (intendendo con questo termine la legislazione prodotta da disegni di legge ordinari del Governo o da proposte dei parlamentari).
Nel momento in cui scriviamo, le leggi che nascono a seguito di quello che ancora viene definito dai manuali di diritto e dai regolamenti parlamentari, il procedimento legislativo “ordinario”, rappresentano sempre più, in realtà, una limitatissima eccezione.
b) Il carattere progressivamente espansivo e “despecializzato” della legislazione di conversione dei decreti-legge.
La prassi attuale ha del tutto confermato la lucida prognosi di Alberto Predieri che già nel 1975 (A. PREDIERI, Il Governo colegislatore, in Cazzola, Predieri, Priulla (a cura di), Il decreto legge tra Governo e Parlamento, Milano, 1975) aveva definito il decreto-legge non come l'eccezionale e straordinaria autoassunzione di potere legislativo prevista dall’art. 77 della Costituzione, ma come un ordinario potere di iniziativa legislativa del governo, rafforzato dal fatto che l’atto governativo entra immediatamente in vigore con forza di legge e ad esso è garantito un tempo di percorrenza parlamentare ridotto e certo.
c) Il carattere progressivamente espansivo e “despecializzato” della decretazione legislativa.
Esplosa alla fine della XIII legislatura, principalmente a causa delle leggi (delega) Bassanini, come lo strumento tipico della legislazione di riforma, anche la decretazione legislativa ha assunto un carattere ordinario o strutturale e, perlomeno su base quantitativa, sembrerebbe rappresentare una forma ulteriore di compensazione del calo della legislazione ordinaria.
d) Il numero crescente delle leggi parlamentari “cadenzate” o “annuali” , a “contenuto” ovvero “procedimento specializzato”.
Un fenomeno che appare solo indirettamente dai dati quantitativi illustrati, è la crescita relativa di leggi “annuali”, a contenuto “tipico” e/o spesso a “procedura” riservata. Ovviamente, appartengono a questa categoria le leggi approvate nell’ambito della procedura di bilancio e nella manovra finanziaria, ma a queste possono certamente affiancarsi nuove leggi “cadenzate”, quali la legge comunitaria, le leggi annuali di semplificazione, la legge annuale per la concorrenza, etc; per ciascuna delle quali spesso si auspica una relativa “sessione” parlamentare.
4. Come valutare queste tendenze?
Queste sono solo alcune delle moltissime e ben più analitiche valutazioni che si potrebbero effettuare leggendo i dati che illustriamo in questo numero della Rivista.
Esse, però, appaiono già sufficienti a rappresentare un quadro complessivo che impone un ripensamento di alcuni diffusi giudizi dottrinali sulla “evoluzione” o “mutazione” del sistema delle fonti.
Il “paesaggio” che emerge, infatti, soprattutto per la stabilizzazione di certe tendenze, sembra costituire più uno scenario del tutto nuovo che la trasformazione di uno vecchio, con il rischio conseguente per gli studiosi di continuare a considerare eccezioni o “abusi” quelle che invece oggi sembrano atteggiarsi come nuove “regole”. Il caso della decretazione d’urgenza e della delega sono emblematiche a riguardo.
Dinanzi a fenomeni così massicci e dotati di una così potente efficacia pratica (effettività, verrebbe da dire, evocando i maestri), la prima e fondamentale decisione da prendere riguarda proprio il parametro della nostra valutazione.
E’ evidente, infatti, che in un sistema costituzionale come il nostro la valutazione ed il giudizio sul piano giuridico dei sistemi di produzione delle norme primarie non possono che avere come parametro i principi e le regole prescritte nella Costituzione; ed è altrettanto evidente che questo stesso sistema di produzione oggi, complessivamente considerato, sia ben al di fuori del “modello” costituzionale.
Le questioni che si aprono dinanzi a questa constatazione ci paiono, però, quantomeno due.
Da un lato, occorre distinguere tra quelle deviazioni rispetto al modello che rappresentano vere e proprie “violazioni” (pensiamo alla prassi attuale in materia di decretazione d’urgenza) e prassi che possono essere meglio qualificate come evoluzioni correttive o ampiamente integrative del modello (pensiamo alla delega o alle leggi “cadenzate”).
Dall’altro, rispetto a queste deviazioni, ci si può chiedere se esse esprimano sempre un’esplicita volontà di eludere il modello costituzionale per sottrarsi ai controlli o alle garanzie che la Costituzione stessa vuole imporre, oppure se, in certi casi, esse esprimano semplicemente la necessità di utilizzare strumenti normativi più adeguati alle nuove esigenze che la produzione legislativa oggi deve fronteggiare.
Ma, a ben vedere, queste diverse considerazioni a loro volta dipendono dal modo con il quale noi leggiamo la Costituzione.
5. Le coordinate costituzionali della forma di governo e forma di stato
“E’ opinione largamente condivisa che l’assetto delle fonti normative sia uno dei principali elementi che caratterizzano la forma di governo nel sistema costituzionale”, così, solennemente, dichiara la sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 2007. Il legame tra le fonti e la forma di governo è “biunivoco”, nel senso che, da un lato, il sistema di produzione normativa è un ottimo indicatore della forma di governo “vivente” - al di là della sua qualificazione formale -; ma è altrettanto vero che l’evoluzione della forma di governo – e massimamente i cambiamenti del sistema politico – influenzano in modo determinante la “vita pratica” di un sistema delle fonti.
L’Italia oggi presenta un sistema politico del tutto diverso da quello esistente nella fase costituente e nel primo quarantennio di esperienza repubblicana. Le valutazioni sull’evoluzione del sistema delle fonti non possono, dunque, non risentire e partecipare del giudizio che si ha della condizione attuale della forma di governo parlamentare in Italia.
Ma, in secondo luogo, anche se meno consapevolmente evidenziato, esiste un legame altrettanto radicale tra sistema delle fonti e forma di stato, intendendo con questo termine il sistema di garanzia delle libertà e il conseguente fondamento e limite dei poteri pubblici.
In questa prospettiva, le fonti costituzionali sulla produzione normativa esprimono scelte e valori fondamentali per il nostro assetto democratico predisponendo strumenti quali le riserve di legge, il principio di legalità, la stessa disciplina delle procedure deliberative. Non possiamo ignorare che prevedere che solo la legge del parlamento possa apportare limiti alle libertà costituzionali, imporre un parametro legale all’azione dell’Amministrazione, delimitare in Costituzione il procedimento legislativo, il potere di autoregolamentazione del Parlamento ed il potere legislativo del Governo, proteggere, infine, con maggioranze speciali la modifica delle norme costituzionali, son tutti principi certamente di natura organizzativa, ma posti dalla Costituzione a tutela dei diritti fondamentali e a garanzia di un certo livello essenziale di partecipazione delle minoranze alle procedure decisionali.
E’, quindi, altrettanto evidente che la valutazione dell’assetto odierno del sistema delle fonti non potrà che risentire ed influenzare il giudizio più generale che oggi è possibile esprimere sulla effettività della tutela costituzionale dei diritti e sulla qualità della democrazia in Italia.
6. Alcune questioni per un dibattito
In una situazione del genere, dinanzi a dati, per un verso, così provocatori e problematici e, per altro, suscettibili di percorsi valutativi così diversi, ci pare utile non tanto cercare di proporre una valutazione univoca, quanto aprire una discussione a più voci.
Ci sembra, cioè, che soprattutto la dottrina pubblicistica e costituzionalistica debba avviare una riflessione comune sulle questioni principali che oggi presenta il sistema di produzione delle leggi – e non solo delle leggi – in Italia.
Senza alcuna pretesa di esaurire i temi di un tale dibattito, ma solo al fine di stimolarne l’avvio, ci sembra che quantomeno alcune questioni siano ineludibili:
a) Il ruolo del parlamento. E’ chiaramente la questione decisiva e più complessa. In diverse fasi nella nostra storia repubblicana si è posto il problema di ridefinire il ruolo dell’istituzione parlamentare a fronte delle modifiche tacite della forma di governo. Decisione, informazione, controllo, indirizzo? A queste domande si è prevalentemente cercato di rispondere con gli strumenti del diritto parlamentare e le diverse stagioni dei regolamenti parlamentari sono ottime cartine di tornasole per leggere l’evoluzione del ruolo del Parlamento nella forma di governo.
Oggi però i dati indicano un calo vertiginoso della capacità di decisione legislativa autonoma del Parlamento; le Camere sembrano essere diventate sempre più un’istituzione essenzialmente incaricata sul piano pratico di fornire gli atti legislativi previsti nel programma del governo ovvero successivamente ritenuti necessari dall’esecutivo. Viene, dunque, da chiedersi: è solo una questione di procedure legislative, oppure occorrerà iniziare a mettere in discussione anche il prodotto finale di tali procedure: la legge?
Non dimentichiamo che il modello base della legge, quello stesso modello che i costituenti presupponevano, (un atto redatto in articoli, contenente disposizioni, possibilmente, generali ed astratte e destinato a provvedere tendenzialmente per un tempo indeterminato), nella sua struttura di fondo è ancora oggi quello elaborato dai parlamenti liberali. Forse a funzioni diverse non basta più far corrispondere diverse procedure, ma occorre iniziare ad immaginare anche nuove categorie di atti legislativi. Alcune limitate ma interessanti innovazioni introdotte dai nuovi statuti regionali (si pensi all’obbligo di motivazione delle leggi) ovvero uno sguardo all’esperienza giuridica comunitaria o a quelle comparate potrebbero suggerire qualche spunto a riguardo.
La stessa recente riforma costituzionale francese dimostra che il tema è tutt’altro che assestato anche in sistemi dove il ruolo del governo ha una differente base costituzionale. La definizione dei poteri normativi del governo contenuta nella nostra Costituzione è ampiamente superata dalla realtà; si tratta di capire quando questo è avvenuto per un’illegittima “forzatura” politica o istituzionale da parte del governo medesimo (si pensi all’abbinamento “decretazione d’urgenza” e “questione di fiducia”) e quando questo ha risposto ad esigenze di natura tecnico-decisionale che non trovano soluzioni adeguate nello strumentario normativo esistente.
c) Il fattore “tempo” nella decisione legislativa. E’ evidente che il “tempo” necessario per prendere una decisione (e dunque per progettare, discutere e deliberare) oggi è divenuto una qualità imprescindibile della decisione medesima, a volte, verrebbe da dire, più importante della sua stessa legittimazione democratica (basti pensare ai poteri regolativi delle amministrazioni indipendenti). Spesso, anche se non sempre, la decretazione d’urgenza è stata la risposta - scorretta sul piano costituzionale ma efficace - ad una domanda di rapidità e certezza nella decisione parlamentare.
d) Il fattore “qualità” della decisione legislativa. E’ un altro tema molto avvertito e studiato (si veda l’ultimo numero dell’Osservatorio sulle fonti cartaceo). Su questo tema spesso l’attenzione si è rivolta alle fasi preliminari della decisione legislativa (si pensi al ruolo del Comitato per la legislazione ed alla previsione delle Analisi o Valutazioni d’impatto della regolazione); dai dati emerge, però, che è altrettanto forte il bisogno di una valutazione successiva rispetto all’impatto delle leggi, una sorta di “collaudo” legislativo. Sempre più spesso, infatti, occorre applicare una legge per poi decidere quali aggiustamenti o integrazioni sono necessarie; a ben riflettere, prassi quali quella delle “deleghe correttive” oppure dei decreti-legge “milleproroghe” o destinati a provvedere le norme transitorie a leggi che ne sono sprovviste, non sono altro che un modo per effettuare queste operazioni di "manutenzione legislativa" che dopo un certo periodo di tempo l'applicazione di una legge richiede.