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La sentenza della Corte di giustizia nella causa c-282/10, Maribel Dominguez v. Centre informatique du Centre ouest atlantique (1/2012)

Il diritto del lavoratore alle ferie retribuite di cui all'art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE: inderogabile, ma non direttamente efficace nell'ambito di controversie tra privati[1]

Norme o prassi nazionali che subordinano il diritto alle ferie annuali retribuite ad un periodo di lavoro effettivo minimo di dieci giorni o di un mese durante il periodo di riferimento sono incompatibili con l’art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE. Tale disposizione non osta, invece, ad una disposizione nazionale che prevede una durata diversa delle ferie annuali retribuite a seconda della causa dell’assenza del lavoratore in congedo di malattia, purché in ogni caso detta durata non sia inferiore al periodo minimo di quattro settimane garantito dalla direttiva. 

Se l’incompatibilità della disposizione nazionale con la direttiva è fatta valere nell’ambito di un procedimento tra privati e non è possibile pervenire ad un’interpretazione conforme del diritto nazionale, la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione non può avvalersi dell’effetto diretto della direttiva. Tuttavia, può agire per ottenere il risarcimento del danno subito, secondo quanto previsto nella sentenza Francovich. 

La Sig.ra Dominguez, impiegata presso il Centre informatique du Centre Ouest Atlantique, un ente che opera nel settore della previdenza sociale, incorreva in un incidente nel tragitto tra la sua abitazione ed il luogo di lavoro (incidente in itinere), a seguito del quale le veniva prescritto di astenersi dal lavoro dal 3 novembre 2005 al 7 gennaio 2007. Ritornata al lavoro, il datore le comunicava il numero di ferie spettanti per il periodo di sospensione del suo contratto. In particolare, il datore aveva proceduto al calcolo tenendo conto dell’articolo XIV del regolamento tipo allegato al contratto di lavoro collettivo nazionale del personale degli istituti di previdenza sociale, il cui quarto comma prevede che

«Il diritto alle ferie annuali non matura in un determinato anno in caso di assenze per malattia o malattia prolungata che abbiano motivato un’interruzione del lavoro pari o superiore a dodici mesi consecutivi (...); il diritto alle ferie ricomincia a maturare alla data della ripresa del lavoro, nel qual caso la durata delle ferie è stabilita in misura proporzionale al tempo di lavoro effettivo che non abbia ancora dato luogo all’attribuzione di ferie annuali».

Ad avviso della Sig.ra Dominguez, il datore avrebbe invece dovuto considerare l’incidente in itinere ad essa occorso alla stregua di un infortunio sul lavoro o una malattia professionale, e applicare di conseguenza l’art. L. 223-4 del codice francese del lavoro, in base al quale

 

«Sono assimilati a un mese di lavoro effettivo per la determinazione della durata delle ferie i periodi equivalenti a quattro settimane o ventiquattro giorni lavorativi. I periodi di ferie retribuite, i riposi compensativi (...), i periodi di congedo per maternità (...), i giorni di riposo acquisiti a titolo della riduzione dell’orario di lavoro e i periodi limitati a una durata ininterrotta di un anno durante i quali l’esecuzione del contratto di lavoro è sospesa a causa di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, sono considerati periodi di lavoro effettivo (...)».

 

Sia il Conseil de prud’hommes che la Cour d’appel de Limoges rigettavano la domanda della Sig.ra Dominguez. Al contrario, la Cour de Cassation decideva di chiedere alla Corte di giustizia se l’art. 7 della direttiva 2003/88/CE[2] debba essere interpretato nel senso che osta ad una disposizione nazionale che prevede una diversa durata delle ferie annuali retribuite, a seconda della causa dell’assenza del lavoratore in congedo di malattia. Inoltre, la Cour de Cassation chiedeva se la stessa disposizione della direttiva ostava ad una disposizione quale l’articolo L. 223-2, primo comma, del codice francese del lavoro, in base alle quale il diritto alle ferie annuali retribuite era subordinato ad un lavoro effettivo minimo di dieci giorni (o un mese) durante il periodo di riferimento. Il giudice rimettente chiedeva anche, per il caso in cui detta disposizione risultasse in contrasto con la direttiva, se il diritto dell’Unione gli imponesse di disapplicare la disposizione nazionale contraria anche nell’ambito di una controversia tra privati.

 

Richiamandosi ad una giurisprudenza costante sul punto, la Corte di giustizia ha innanzitutto ribadito che «il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati  (..) dalla direttiva 2003/88» (par. 16; si vedano anche sentenze del 26 giugno 2001, BECTU, C-173/99, in Raccolta, p. I-4881, par. 43; 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e a., C‑350/06 e C-520/06, in Raccolta, p. I-179, par. 22, e 22 novembre 2011, KHS, C-214/10, non ancora pubblicata in Raccolta, par. 23). Ciò implica che gli Stati membri possono definire, nella loro normativa interna, le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, ma non possono subordinare la costituzione del diritto ad alcuna condizione (par. 43). La direttiva non pone, a tal riguardo, alcuna distinzione tra i lavoratori assenti dal lavoro a titolo di congedo per malattia, durante il periodo di riferimento, e quelli che hanno effettivamente lavorato nel corso di tale periodo. Di conseguenza,  per i lavoratori in congedo per malattia debitamente prescritto, il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere subordinato da uno Stato membro all’obbligo di avere effettivamente lavorato durante il periodo di riferimento stabilito da detto Stato (par. 20).

 

A questo punto, la Corte ha ribadito la consolidata giurisprudenza secondo cui l’effetto diretto delle disposizioni di direttive non può essere fatto valere quando l’incompatibilità di una disposizione nazionale con la direttiva è fatta valere nell’ambito di una controversia tra privati (par. 37; si vedano anche , ex multiis, anche le sentenze 14 luglio 1994, Faccini Dori, C-91/92, in Raccolta, p. I-3325, par. 20; 7 marzo 1996, El Corte Inglés, C-192/94, in Raccolta, p. I-1281, par. 15; 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., da C-397/01 a C-403/01, in Raccolta, p. I-8835, par. 108). Si può osservare che la Corte di giustizia non ha seguito la stessa linea argomentativa sviluppata nelle sentenze Mangold e Kücükdeveci (rispettivamente, sentenze 22 novembre 2005, C-144/04, in Raccolta, p. I-9981, e 19 gennaio 2010, C-555/07, in Raccolta, p. I-365), in cui la Corte aveva valorizzato il fatto che il divieto di discriminazione in base all’età, prima che essere posto dal diritto derivato, costituisce un principio generale (e diritto fondamentale) dell’Unione, giungendo a riconoscere allo stesso efficacia diretta anche orizzontale (sia permesso rinviare a N. Lazzerini, “Effetti diretti orizzontali dei principi generali...ma non delle direttive che li esprimono? La sentenza della Corte di giustizia nel caso Kücükdeveci”, in Rivista di diritto internazionale, 2010, p. 443-449). In Dominguez, invece, la Corte sembra aver accuratamente evitato di osservare che il diritto alle ferie annuali retribuite è ora sancito anche dall’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ne consegue che, ove una interpretazione del diritto nazionale in conformità con la direttiva non sia possibile, l’unico rimedio che rimane aperto alla parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione è quello di invocare la giurisprudenza scaturita dalla sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C-6/90 e C-9/90, in Raccolta, p. I-5357) per ottenere eventualmente il risarcimento del danno subito.

Allo stesso tempo, la Corte di giustizia ha ‘oltrepassato’, e per ben due volte, i limiti relativi al riparto delle competenze tra giudice UE e giudice nazionale nell’ambito del rinvio pregiudiziale. Dapprima, la Corte ha ‘suggerito’ al giudice nazionale come giungere ad una interpretazione conforme del diritto nazionale al diritto dell’Unione (paragrafi 28-30), e ciò nonostante l’ordinanza di rinvio indicasse, sebbene non esplicitamente, che non era possibile pervenire ad una tale interpretazione. In secondo luogo, la Corte ha invitato il giudice nazionale a tenere conto della costante giurisprudenza secondo cui la nozione di ‘Stato membro’ ai fini della produzione di effetti diretti verticali è particolarmente ampia, ossia tale da ricomprendere qualsiasi organismo che, «indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio d’interesse pubblico e che disponga a tal fine di poteri che oltrepassano quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli» (par. 39; si vedano anche le sentenze 12 luglio 1990, Foster e a., C-188/89, in Raccolta, p. I-3313, par. 20, 14 settembre 2000, Collino e Chiappero, C-343/98, in Raccolta, p. I-6659, par. 23, e 9 aprile 2007, Farrell, C-356/05, Raccolta, p. I-3067, par. 40). In questo caso, il giudice del rinvio aveva espressamente fatto riferimento alla natura privata del datore di lavoro della Sig.ra Dominguez e, d’altrocanto, la Corte non ha espressamente messo in dubbio il dato fornito dal giudice nazionale (facoltà prevista da una giurisprudenza costante della Corte, secondo cui «[in via eccezionale la Corte può però esaminare i motivi che hanno indotto il giudice nazionale a sottoporre una determinata questione. In base alla giurisprudenza, ciò accade quando è evidente che la Corte è stata in realtà chiamata a decidere di una controversia precostituita o a rendere un parere a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, se l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte», par. 59 delle Conclusioni dell’AG Trstenjak in Dominguez e, inter alia, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia v. Novello, in Raccolta, p. 3045, par. 18, 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, in Raccolta, p. I-2099, par. 39, 1° aprile 2008, causa C-212/06, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon, in Raccolta, p. I-1683, par. 29).

 

Da ultimo, la Corte ha affermato che l’art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88 non osta ad una disposizione nazionale che prevede una diversa durata delle ferie annuali retribuite a seconda della causa dell’assenza del lavoratore in congedo di malattia, purché tale durata sia sempre superiore o uguale al periodo minimo di quattro settimane previsto dallo stesso articolo 7 della direttiva (par. 49).

 



[1] Sentenza del 24 gennaio 2012, Grande Sezione.

[2] Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in G.U.U.E L 299, p. 9 ss.

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