Reati di abuso e sfruttamento sessuale di minori e allontanamento del cittadino dell'unione
«Libera circolazione delle persone – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 28, paragrafo 3, lettera a) – Decisione di allontanamento – Condanna penale – Motivi imperativi di pubblica sicurezza»
Con la sentenza del 22 maggio 2012 nella causa C-348/09, nel procedimento P.I. contro Oberbürgermeisterin der Stadt Remscheid, la Grande Sezione della Corte di giustizia ha ritenuto che reati quali quelli di cui all’articolo 83, paragrafo 1, secondo comma, TFUE[1] costituiscono un attentato particolarmente grave a un interesse fondamentale della società, tale da rappresentare una minaccia diretta per la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione. Pertanto, possono rientrare nella nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» di cui all’art. 28, par. 3, della direttiva 2004/38/CE[2] e, quindi, giustificare un provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione dal territorio di uno Stato membro diverso da quello di origine, a condizione che le modalità con le quali tali reati sono stati commessi presentino caratteristiche particolarmente gravi, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare sulla base di un esame individuale della fattispecie su cui esso è chiamato a pronunciarsi.
Il ricorrente nel procedimento principale - un cittadino italiano residente in Germania dal 1987 - nel 2006 veniva condannato (con sentenza successivamente passata in giudicato) a una pena detentiva per abuso sessuale, atti di violenza sessuale e stupro ai danno di una minore, che terminerà di scontare nel 2013. Nel 2008, l’Oberbürgermeisterin der Stadt Remscheid decretava la perdita del diritto di ingresso e di soggiorno del sig. P. I. nel territorio tedesco, e ordinava l’esecuzione immediata del provvedimento, intimandogli di lasciare tale territorio a pena di espulsione verso l’Italia. Oltre alla gravità del reato e alla possibilità di una sua reiterazione, l’Oberbürgermeisterin evidenziava che il sig. P.I. non si era particolarmente integrato nella società tedesca da un punto di vista economico e sociale. Un primo ricorso presentato da quest’ultimo veniva respinto dal tribunale amministrativo di Düsseldorf. Al contrario, il giudice dell’appello decideva di chiedere alla Corte di giustizia «se nella nozione di “motivi imperativi di pubblica sicurezza” di cui all’art. 28, par. 3, della direttiva [2004/38] rientrino solo le minacce per la pubblica sicurezza interna ed esterna dello Stato, intesa come sussistenza dello Stato stesso con le sue istituzioni ed i suoi servizi pubblici essenziali, la sopravvivenza della popolazione e le relazioni esterne, nonché la convivenza pacifica dei popoli.
La direttiva 2004/38/CE consente ad uno Stato membro di limitare il diritto di circolazione e di soggiorno del cittadino di un altro Stato membro, ma solo quando ricorrono le condizioni previste dalla direttiva stessa. Tali condizioni sono tanto più stringenti quanto maggiore è la durata del soggiorno del cittadino di un altro Stato Membro. In particolare, l’art. 27, paragrafi 1 e 2, della direttiva prevede che
«1. (..) gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione [e di soggiorno] di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.
2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».
L’art. 28 aggiunge che
«1. Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e [l’] importanza dei suoi legami con il paese d’origine.
2. Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
3. Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:
a) abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni, o
b) sia minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989» (corsivo sottolineato aggiunto)».
Nella sentenza Tsakouridis la Corte aveva già precisato che l’art. 28, par. 3 della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale può rientrare nella nozione di “motivi imperativi di pubblica sicurezza”.[3] Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, sussistevano dubbi circa la questione se, ed eventualmente a quali condizioni, la lotta contro tipi di criminalità diversi dall’associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti - e, in particolare, reati estremamente gravi che minacciano interessi giuridicamente protetti quali l’autonomia sessuale, al vita, la libertà o l’integrità fisica, in presenza di un rischio elevato di reiterazione degli stessi - può costituire un “motivo imperativi di pubblica sicurezza”.
Riaffermando quanto già osservato nella citata sentenza Tsakouridis, la Corte ha ricordato che la nozione di “pubblica sicurezza” comprende la sicurezza sia interna che esterna di uno Stato membro, e che , in particolare, i “motivi imperativi di pubblica sicurezza” di cui all’art. 28, par. 3, della direttiva costituiscono una nozione «notevolmente più restrittiva di quella di “motivi gravi” ai sensi del paragrafo 2 [del medesimo] articolo», che ricorre solo in presenza di «circostanze eccezionali», in cui sussiste un pregiudizio alla pubblica sicurezza il cui livello di gravità è particolarmente elevato (paragrafi 19 e 20). La Corte ha poi precisato che «il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri una scala uniforme di valori per quanto riguarda la valutazione dei comportamenti che possono essere considerati contrari alla pubblica sicurezza» (par. 21; cf. anche, per analogia, la sentenza 20 novembre 2001, C‑268/99, Jany e a. [2001], Racc., p. I‑8615, par. 60), e pertanto l’individuazione dei “motivi imperativi di pubblica sicurezza” che possono giustificare l’allontanamento di un cittadino di un altro Stato membro spetta in primo luogo agli Stati membri (par. 22). Tuttavia, questi ultimi non godono di una discrezionalità illimitata in materia, poiché «le regole di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, specie qualora autorizzino una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone, tali regole devono tuttavia essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione europea» (par. 23; cf. anche le sentenze 10 luglio 2008, C‑33/07, Jipa [2008], Racc., p. I‑5157, par. 23; 17 novembre 2011, C‑430/10, Gaydarov, non ancora pubblicata nella Raccolta, par. 32, e C‑434/10, Aladzhov, non ancora pubblicata nella Raccolta, par. 34).
La Corte ha poi ritenuto che gli Stati membri possono considerare che «reati che costituiscono un attentato particolarmente grave a un interesse fondamentale della società, tale da rappresentare una minaccia diretta per la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione e, pertanto, possono rientrare nella nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» atti a giustificare un provvedimento di allontanamento in forza dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, a condizione che le modalità con le quali tali reati sono stati commessi presentino caratteristiche particolarmente gravi», che spetterà al giudice nazionale accertare (par. 28). In particolare, la Corte ha ritenuto che i reati che venivano in rilievo nel caso di specie possono rientrare in questa categoria: l’art. 83, par. 1, TFUE indica espressamente che lo sfruttamento sessuale dei minori appartiene alle sfere di criminalità di particolare gravità, motivo per il quale, in presenza di una dimensione transnazionale, è prevista la possibilità di un intervento da parte del legislatore nazionale; inoltre, la direttiva 2011/93, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile[4] evidenzia la particolare gravitò di questi reati, per i quali richiede la previsione di pene privative della libertà privata particolarmente severe (paragrafi 25-27).
Tuttavia, la Corte ha anche precisato che «l’eventuale accertamento, da parte del giudice del rinvio, secondo i valori propri dell’ordinamento giuridico dello Stato membro cui esso appartiene, che [determinati] reati (..) rappresentano una minaccia diretta per la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione, non deve necessariamente comportare l’allontanamento della persona di cui trattasi» (par. 29). Devono, infatti, ricorrere ulteriori circostanze, previste dalla direttiva, il cui accertamento spetta in ogni caso al giudice nazionale: in particolare, quest’ultimo deve verificare la sussistenza di «una tendenza a ripetere in futuro [il] comportamento», e deve anche tenere conto di elementi quali «la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale in tale Stato e l’importanza dei suoi legami con il paese d’origine» (paragrafi 30 and 32). Inoltre, nel caso in cui il provvedimento di allontanamento costituisce una pena o misura accessoria a pena detentiva e la sua esecuzione avviene a distanza di oltre due anni dalla sua adozione «l’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 impone agli Stati membri di verificare che la minaccia che l’interessato costituisce per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza sia attuale e reale, e di valutare l’eventuale mutamento obiettivo delle circostanze intervenuto successivamente all’adozione della decisione di allontanamento.»(par. 31).