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Non sussiste delegificazione in mancanza di perfetta coincidenza tra entrata in vigore del pur previsto regolamento e decorrenza dell’effetto abrogativo a carico delle disposizioni legislative (posposta, nella specie); ... (1/2013)

... non sussiste onere di rendere espliciti il "ripristino normativo" e il suo carattere retroattivo. 

Sentenza n. 297/2012 - Giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 19/12/2012 - Pubblicazione in G.U. 27/12/2012

Motivi della segnalazione

La sentenza fornisce risposta a tre questioni di legittimità costituzionale sollevate in via principale dalla Regione Veneto nei riguardi dell'unico comma dell'art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 (c.d. Decreto salva-Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, con cui si è avviata una riforma dell'ISEE (indicatore della situazione economica equivalente), demandata ad apposito atto sub-legislativo (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri).

La seconda questione (sollevata sul testo originario del terzo periodo) desta interesse sul piano delle fonti del diritto sotto più aspetti: accanto alla determinazione di livelli essenziali mediante atti sub-primari e l'individuazione della natura, regolamentare o meno, agli atti sub-legislativi, si distinguono l'abrogazione implicita e retroattiva ed i caratteri indefettibili dell'istituto della delegificazione.

Nonostante la declaratoria di cessazione della materia del contendere per ius superveniens, la Corte fornisce infatti tre indicazioni significative:

1) "Va preliminarmente osservato che il citato decreto del Presidente del Consiglio ha natura evidentemente regolamentare; né la norma impugnata esclude che abbia tale natura";

2) "[il citato decreto del Presidente del Consiglio] Deve ritenersi, dunque, strumento adatto per determinare i LIVEAS, per le sue caratteristiche, tipiche di tutti i regolamenti, di flessibilità e snellezza nell'acquisizione di informazioni e di collaborazioni con gli enti territoriali ed eventualmente con le associazioni degli utenti";

3) "si ha regolamento di delegificazione solo quando (in materia non coperta da riserva assoluta di legge) un atto legislativo preveda che l'effetto abrogativo di disposizioni di legge sia collegato temporalmente alla successiva emanazione di un regolamento".

La prima indicazione opera sulle tecniche di individuazione della natura degli atti sub-legislativi (che, peraltro, nel testo originario del decreto-legge era indicato come "decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri" – tipologia di atti che la Corte stessa, con sent. 116/2006, aveva significativamente ritenuto "dall'indefinibile natura giuridica" –, e solo con la conversione diveniva "decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri"): l'adozione di un criterio marcatamente sostanzialistico induce qui la Corte a preferire la natura regolamentare a quella amministrativa, e da una parte appare frutto di un'implicita interpretazione costituzionalmente orientata (giacché se la previsione legislativa fosse di un atto amministrativo, ad essa correrebbe l'onere di apporre ben più precisi indirizzi e vincoli, in ossequio al principio di legalità dell'azione amministrativa); dall'altra, però, ignora completamente il criterio interpretativo desumibile dall'art. 17, comma 3, della legge 400/1988 (per cui i decreti governativi "decentrati", ossia ministeriali ma anche presidenziali, possono veicolare atti di natura regolamentare soltanto se esplicitamente autorizzati dalla norma che li fonda).

La seconda indicazione consiste nell'esplicitazione della possibilità di utilizzare atti sub-legislativi per dettare livelli essenziali anche in materia sociale, di competenza regionale "residuale", rimasta parzialmente inespressa nell'immediatamente precedente sentenza n. 296/2012, sempre in materia di ISEE (e citata esplicitamente dalla Corte: essa negava la qualificazione di livello essenziale, e dunque l'attitudine a limitare l'autonomia legislativa delle Regioni, nella specie della Toscana, al contenuto di una disposizione primaria presente nel riformando d.lgs. 109/1998, che demandava parte della disciplina ad un mai adottato atto sub-legislativo, del tutto analogamente all'art. 5 del decreto-legge "salva-Italia" sub iudice). La soluzione è sicuramente corrispondente a quanto già acquisito da tempo in materia di livelli essenziali del settore sanitario (v. spec. le sentt. n. 88 del 2003, 134 del 2006 e 98 del 2007). Del resto, una lettura combinata delle due citate sentenze del 2012 con tale giurisprudenza pregressa fa emergere l'idoneità di atti sub-legislativi statali a veicolare livelli essenziali quale soluzione pressoché forzata, a dispetto tanto di una forte incidenza sui diritti fondamentali, che li pone al centro di complesse intersezioni con ambiti coperti da riserve di legge, quanto della natura legislativa della competenza statale esclusiva che risulta così esercitata (art. 117, 2° c., lett. m), Cost.): proprio alla luce dell'ibidem confermata spettanza alle Regioni (e alle autonomie territoriali in genere) di idonei coinvolgimenti collaborativi infraprocedimentali da esperirsi nell'ambito del sistema delle Conferenze, parrebbe che il solo schema legale capace di soddisfare anche l'esigenza della natura legislativa dell'atto ex lettera m) citata sia la delegazione legislativa. Ne deriverebbe, però, un implicito vincolo del Parlamento all'adozione non di una mera ennesima legge periodica (come quelle ex art. 81 Cost., che ne è però esplicito fondamento costituzionale), ma a delegare periodicamente il potere legislativo al Governo (sull'exemplum della legge comunitaria/europea, forte però di fondamento costituzionale ben meno indiretto).

La terza indicazione, cui si giunge anche grazie al riscontro di una ben poco perspicua sequenza abrogazione implicita – ripristino normativo implicito con effetto retroattivo, contribuisce alla precisazione dei caratteri, presupposti e contorni dell'istituto della delegificazione, che presuppone che l'effetto abrogativo sul livello primario coincida perfettamente con l'entrata in vigore delle nuove disposizioni di rango secondario. Per la Corte, la "surrettizia" delegificazione denunciata dalla ricorrente ai danni del d.lgs. 109/1998, infatti, non sussiste né nel testo impugnato dell'art. 5, in cui "l'effetto abrogativo – contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente – è conseguenza diretta ed immediata (anche in mancanza di una statuizione espressa in tal senso) del decreto-legge" (solo dopo la conversione) per "nuova disciplina della materia"; né nel testo vigente al momento della decisione del giudizio, risultato di una modificazione integrativa (art. 23, c. 12-bis, d.-l.6 95/2012, c.d. spending review bis, ius superveniens capace di comportare cessazione della materia del contendere) con cui, re melius perpensa, il legislatore ripristina retroattivamente l'efficacia del d.lgs. 109/1998 e differisce l'effetto abrogativo a suo carico al trentesimo giorno successivo all'«entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva dell'ISEE, attuative» del decreto del Presidente del Consiglio, che dunque non è ritenuto autenticamente delegificante.

Il punctum iuris desta talune perplessità, tanto sulla definizione dell'istituto della delegificazione, quanto su quello dell'abrogazione: la Corte, in sostanza, riqualifica come elemento strutturale e indefettibile della delegificazione la previsione che l'effetto abrogativo a carico delle disposizioni delegificate, per quanto impartito dalla disposizione primaria di autorizzazione alla delegificazione (elemento, questo sì, strutturale), decorra esattamente dall'entrata in vigore del regolamento delegificante; meccanismo che, invero, nell'economia dell'art. 17, c. 2, legge 400/1988, parrebbe piuttosto un mero accorgimento volto ad evitare vuoti normativi. Vuoti che la Corte preferisce ravvisare nella specie, statuendo che nella parentesi intercorrente tra le date di entrata in vigore della legge 214/2011 e del d.-l. 95/2012 il corpus normativo sull'ISEE è rimasto abrogato, con interpretazione che non appare immediata e che non meno sorprendentemente non stimola alcuna seppur velata "reprimenda". Ne deriva che la Corte si limita a confrontare la fattispecie concreta ex art. 5 impugnato con la specifica fattispecie astratta di cui alla legge n. 400, ma dopo aver concluso che la prima è "estranea a quella, presupposta dalla censura formulata dalla ricorrente, del regolamento di delegificazione", non si preoccupa dei vincoli costituzionali comunque desumibili in ordine alle altre (potenzialmente innumerevoli) figure della ben più ampia categoria concettuale e fenomenologica della delegificazione (in ciò, peraltro, neanche potendo invocare, quale ostacolo, l'eventuale carenza, da parte ricorrente, nell'esatta individuazione del parametro: cfr. il Punto 3, laddove, pur sancendosi che il richiamo al parametro del principio di leale collaborazione è viziato da "palesemente erroneo riferimento anche all'art. 120 Cost.", nessun pregiudizio corre ad esame e accoglimento della questione). L'effetto, del tutto incongruo, è che, discostandosi più o meno abbondantemente dallo schema "dogmatizzato" nel 1988, il legislatore potrebbe agevolmente conseguire l'insindacabilità costituzionale di qualsiasi delegificazione "spuria", proprio in quanto tale.

 

Osservatorio sulle fonti

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