La sentenza della Corte di giustizia del 26 settembre 2013 nella causa C-476/11, HK Danmark v. Esperian, presenta almeno due aspetti di interesse. In primo luogo, si tratta della prima causa in cui viene sollevata la questione dell’interpretazione dell’art. 6, par. 2, della Direttiva 2000/78/CE (che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro G.U.U.E. 2013 L 303, p. 16). Tale disposizione stabilisce che in alcune circostanze gli Stati membri possono prevedere che una disparità di trattamento non costituisce una discriminazione in ragione dell’età: testualmente, «gli Stati membri possono prevedere che la fissazione per i regimi professionali di sicurezza sociale di un’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche o all’invalidità, compresa la fissazione per tali regimi di età diverse per lavoratori o gruppi o categorie di lavoratori e l’utilizzazione, nell’ambito di detti regimi, di criteri di età nei calcoli attuariali non costituisca una discriminazione fondata sull’età purché ciò non dia luogo a discriminazioni fondate sul sesso».
Nel caso di specie, la ricorrente, ex-dipendente della società privata Esperian, lamentava l’incompatibilità con la Direttiva di un regime pensionistico professionale - al quale tutti i dipendenti della Esperian avevano, per contratto, l’obbligo di aderire - in forza del quale la percentuale di contribuzione del datore di lavoro variava a seconda dell’età del dipendente al momento dell’adesione al regime. Il giudice a quo si interrogava dunque circa la possibilità di ricondurre il regime all’ipotesi di cui all’art. 6, par. 2, della Direttiva. In particolare, il dubbio del giudice nazionale riguardava il carattere tassativo o meno delle ipotesi previste da questa disposizione, ed era alimentato dal fatto che nella versione svedese della Direttiva è stato omesso il riferimento specifico alle prestazioni pensionistiche o di invalidità. Si poteva pertanto pensare che l’art. 6, par. 2, trovasse applicazione rispetto a qualsiasi tipo di regime professionale di sicurezza sociale, anziché esclusivamente a quelli che assicurano i rischi di invalidità e di vecchiaia. Dopo aver verificato che quel riferimento è invece presente in altre versioni linguistiche, la Corte ha affermato la necessità di una interpretazione restrittiva, a motivo del carattere di eccezione dell’art. 6, par. 2, della Direttiva, nonché del fatto che quest’ultima costituisce una espressione del principio generale di non discriminazione in base all’età, ora tutelato dall’art. 21, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (paragrafi 45 e 46).
La Corte ha dunque accolto la tesi del carattere tassativo delle ipotesi previste dall’art. 6, par. 2, precisando anche, in disaccordo con l’AG Kokott, la Commissione europea ed i governi danese, belga e tedesco - che proponevano di includere nell’eccezione, a fortiori, anche le forme di discriminazione in base all’età ‘di minore gravità’ rispetto a quelle esplicitamente previste (par. 51) - che l’eccezione non copre tutti gli elementi caratterizzanti un regime professionale di previdenza sociale che assicura il rischio di vecchiaia e invalidità, ma esclusivamente quelli che vi sono espressamente menzionati (dunque, la fissazione di un’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche o all’invalidità, la fissazione di età diverse per lavoratori o gruppi o categorie di lavoratori e l’utilizzazione di criteri di età nei calcoli attuariali; cfr. par. 52). Tanto premesso, la Corte ha concluso che il regime controverso non ricade nell’ambito dell’eccezione, poiché non stabilisce alcuna età per poter accedere alle prestazioni pensionistiche (i dipendenti della Experian partecipano automaticamente al regime dopo aver maturato 9 mesi di anzianità nell’impresa), inoltre i contributi pensionistici rientrano nella retribuzione dei dipendenti e pertanto «la [loro] progressività (...) in funzione dell’età è idonea a produrre effetti che oltrepassano la mera fissazione di un’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche» (ibid.). Tuttavia, la Corte ha rimesso al giudice nazionale la verifica della applicabilità della causa generale di giustificazione - incentrata sul principio di proporzionalità - di cui all’art. 6, par. 1, della Direttiva, fornendo, anzi, varie indicazioni in senso affermativo (paragrafi 57-69).
Il secondo aspetto di interesse riguarda il modo in cui la Corte di giustizia ha impostato il proprio ragionamento. Il procedimento principale vedeva opposti due privati e, come è noto, una giurisprudenza costante della Corte di giustizia nega l’effetto diretto orizzontale delle direttive (cfr., ex multiis, sent. 24 gennaio 2012, causa C-282/10, Dominguez, non ancora pubblicata nella Raccolta, par. 37). Nel caso in cui la Corte avesse concluso nel senso che il regime controverso era incompatibile con la Direttiva, poiché nessuna delle ipotesi previste dai paragrafi 1 e 2 dell’art. 6 vi si applicava, si sarebbe posto il problema di come assicurare la tutela della ricorrente: escluso l’effetto diretto (orizzontale), sarebbero residuate l’interpretazione conforme e, in ultima istanza, l’azione risarcitoria nei confronti dello Stato membro (cfr. sent. Dominguez, cit.).[1] Mentre l’AG Kokott ha utilizzato lo schema di ragionamento ‘classico’, incentrato sull’interpretazione della Direttiva tout court, la Corte di giustizia sembra avere invece - per così dire - ‘anticipato’ il problema della tutela effettiva della ricorrente. Dunque, anziché affrontare l’interpretazione della Direttiva, per poi individuare, in caso di ritenuta incompatibilità della norma nazionale, i rimedi esperibili, la Corte ha esordito sottolineando il carattere orizzontale del procedimento principale («la controversia di cui al procedimento principale vede opposti due privati in merito ad un’asserita discriminazione fondata sull’età, derivante non da un obbligo posto dalla legge o da un contratto collettivo, ma esclusivamente dal contratto di lavoro stipulato tra la sig.ra Kristensen e la Experian», par. 17). Dopo aver ricordato la propria giurisprudenza che esclude l’effetto orizzontale delle direttive (par. 18), la Corte ha poi ripetuto lo stesso schema di ragionamento utilizzato in Kücükdeveci (sent. 19 gennaio 2010, causa C-555/07, Raccolta I-365), e implicitamente rigettato in Dominguez: la Direttiva 2000/78/CE costituisce solo l’espressione del principio generale di non discriminazione in base all’età - ora tutelato dall’art. 21, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali UE -, il quale si applica ad ogni situazione che ricade nell’ambito di applicazione del diritto UE; condizione che, ad avviso della Corte, è soddisfatta nel caso del regime controverso, poiché è coperto ratione materiae dalla Direttiva ed il contratto che lo prevede è stato stipulato dopo la scadenza del termine per la trasposizione della Direttiva.
Il parametro a cui la Corte ha fatto riferimento non è stato, quindi, l’art. 6, par. 2, della Direttiva tout court, ma il principio generale di non discriminazione in base all’età, come garantito dall’art. 21, par. 1, della Carta ed espresso dalla Direttiva 2000/78/CE, in particolare dal suo art. 6, paragrafi 1 e 2. Tenuto conto della conclusione ultima raggiunta dalla Corte (nel senso, sostanzialmente, della compatibilità del regime controverso con la Direttiva), l’opzione per lo schema di ragionamento ora descritto non è certo privo di ogni interesse.
[1] Come si evince dalle conclusioni dell’AG Kokott, la Danimarca aveva invero provveduto tempestivamente alla trasposizione della Direttiva ed anche del suo art. 6, par. 2, ma il Ministero danese del lavoro interpretava la disposizione nazionale che dava attuazione a quest’ultimo nel senso che l’eccezione era invocabile rispetto ad un regime quale quello controverso (par. 19 delle conclusioni)