Con delibera del Consiglio dei Ministri del 4 ottobre 2013, il Governo ha provveduto ad impugnare la legge della Regione Sardegna n. 19 del 2 agosto 2013, rubricata “Norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici”.
Oggetto di censura è stato l’articolo 1 della legge in esame.
L’articolo 1, comma 1 della legge impugnata dispone che la Giunta regionale provveda alla ricognizione generale degli usi civici esistenti sul territorio regionale e alla individuazione su cartografia aggiornata di dati e accertamenti già esistenti riportati su cartografie antiche, mediante un Piano straordinario di accertamento demaniale. A tal fine, il secondo comma delega i Comuni ad effettuare, entro il 31 dicembre 2013, la ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio territorio. Oltre a documentare il reale sussistere dell'uso civico, i Comuni sono autorizzati – dal terzo comma – a “proporre permute, alienazioni, sclassificazioni e trasferimenti dei diritti di uso civico secondo il principio di tutela dell'interesse pubblico prevalente”. In particolare, in riferimento alla “sclassificazione del regime demaniale civico”, la disposizione precisa che costituiscono oggetto della stessa “anche i casi in cui i terreni sottoposti ad uso civico abbiano perso la destinazione funzionale originaria di terreni pascolativi o boschivi ovvero non sia riscontrabile né documentabile l'originaria sussistenza del vincolo demaniale civico”.
Ad avviso del ricorrente, la norma in esame contrasterebbe con gli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., con alcune norme interposte attuative degli stessi contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004), nonché con l’art. 3 dello Statuto di autonomia (L. cost. n. 3 del 1948 ) e con le disposizioni attuative del medesimo contenute all’articolo 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna).
In via preliminare, il ricorrente osserva che lo Statuto attribuisce alla Regione Sardegna la potestà legislativa in materia di usi civici [art. 3, lettera s) della L. cost. n. 3 del 1948] e che le norme di attuazione dello Statuto attribuiscono alla stessa funzioni relative ai beni culturali e ai beni ambientali, nonché quelle relative alla redazione e all’approvazione dei piani paesistici (art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975).
Tuttavia, anche le norme di attuazione dello Statuto devono essere esercitate nel rispetto dei limiti previsti dallo Statuto stesso e, in particolare, dall’articolo 3, il quale prevede che la potestà legislativa venga esercitata “in armonia con la Costituzione e con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché nel rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”.
Ad avviso del ricorrente, le disposizioni del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio in materia di beni di interesse paesaggistico e di pianificazione paesaggistica adottate nell’ambito di competenza legislativa statale “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” [art. 117, comma 2, lettera s) Cost] andrebbero ricomprese tra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali: come tali, dovrebbero intendersi vincolanti anche nei confronti di una Regione a Statuto speciale.
Sul punto occorre evidenziare che la giurisprudenza costituzionale ha già esaminato la problematica dei rapporti tra lo Stato e le Regioni a Statuto speciale relativamente al riparto di competenze in materia di tutela paesaggistica, dichiarando costituzionalmente illegittime norme regionali che si ponevano in contrasto con disposizioni previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, qualificate norme di grande riforma economico-sociale (sentt. n.328 del 2013, n. 101 del 2010 e n.164 del 2009).
Nel merito, l’articolo 1 della legge della Regione Sardegna n. 19 del 2013, delegando ai Comuni la ricognizione degli usi civici esistenti sul proprio territorio (comma 2), nonché prevedendo una procedura di sdemanializzazione (comma 3), contrasterebbe con gli articoli 135, 143 e 142, comma1, lettera h) del d.lgs. 42 del 2006, da intendersi quali norme fondamentali di riforma economico-sociale.
L’articolo 142, comma 1, lettera h), cod. BB. CC. sottopone a vincolo paesaggistico le zone gravate da usi civici per le caratteristiche tipiche che esse presentano (tutela già apprestata dal d.l. n. 312 del 1985, convertito in L. n. 431 del 1985, cd. Legge Galasso). D’altronde, la Corte costituzionale ha già evidenziato il sussistere di un “interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici, nella misura in cui essa contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio” (sent. n. 133 del 1993; si vedano anche, sent. n. 46 del 1995 e ord. n. 316/1998). Il ricorrente osserva, inoltre, che la Corte ha precisato che le norme statali contenute nella legge n. 1766 del 1927 (Sul riordinamento degli usi civici) e nel relativo regolamento (r.d. n. 332 del 1928), richiedono che la limitazione o la liquidazione dei diritti di uso civico non possano prescindere dalle valutazioni del Ministero per i beni e le attività culturali (sentt. n. 345 del 1997 e n. 310 del 2006).
Viceversa, la norma impugnata, incidendo sulla classificazione delle aree gravate da usi civici, sottrae vaste porzioni territoriali alla tutela paesaggistica prevista dalla legge nazionale.
L’articolo 135, cod. BB. CC. prevede che l’elaborazione dei piani paesaggistici venga svolta congiuntamente da Ministero e Regioni. L’elaborazione del piano paesaggistico comprende, tra le altre, anche l’attività di ricognizione delle aree di interesse paesaggistico (di cui al comma 1 dell'articolo 142), la loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché la determinazione delle prescrizioni d’uso atte ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione [art. 143, comma1, lettera c), cod. BB. CC.].
Di converso, la norma impugnata prevedendo un’ulteriore cartografia per l’individuazione delle aree sottoposte a uso civico, incide unilateralmente sull’attività congiunta di pianificazione paesaggistica, mettendo oltretutto in discussione l’attività sinora svolta.