Nel periodo di riferimento considerato (Luglio 2014-Ottobre 2014), si segnalano in particolare due provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali prescrittivi rivolti «a tutti i titolari del trattamento in ambito giornalistico» [1] su questioni inerenti la diffusione di informazioni tratte da trascrizioni di intercettazioni telefoniche o da interrogatori.
Il riferimento è al «Provvedimento di blocco e prescrizione nei confronti di organi di informazione per la diffusione di dati personali eccedenti tratti da un interrogatorio» del 22 settembre 2014[2] e al «Provvedimento di blocco e prescrittivo nei confronti degli organi di informazione a tutela dei minori» del 9 luglio 2014[3].
Si tratta di interventi in episodi che hanno avuto molto risalto nelle cronache cittadine come nel caso Yara e in quello delle ragazze minorenni romane che erano state raggirate da un fotografo di moda.
Con il primo provvedimento il Garante ha censurato la pubblicazione di un articolo su una testata giornalistica che riportava il testo di una parte dell’interrogatorio dell’imputato avvenuto in carcere. Tale documento conteneva informazioni sui «rapporti anche intimi» avvenuti tra lo stesso e la moglie, nonché ulteriori riferimenti a dati di altri parenti quali madre, padre, fratello e figlio minorenne.
Analogamente, con il secondo provvedimento è stata biasimata la diffusione da parte dei giornali delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, riportate nell’ordinanza di custodia cautelare dell’indagato, contenenti, fra l’altro, le conversazioni tra lo stesso e le vittime minorenni che potevano rendere identificabili le ragazze.
In entrambi i casi è stato ordinato il blocco in via d’urgenza dei predetti articoli giornalistici, ricordando in generale come l’art. 137 del d. lgs. 30 giugno 2003, n.196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), richiama, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, l’obbligo del giornalista di rispettare il limite dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, da esercitarsi sempre nel rispetto della dignità, riservatezza, identità personale e protezione dei dati personali[4].
Il Garante, inoltre, ha ricordato che il predetto «limite opera in termini più incisivi se le informazioni riguardano aspetti delicati quali quelli attinenti alla sfera sessuale» (cfr. art. 11, comma 2, del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica»[5]) e che le disposizioni contenute nell’art. 114, comma 6, c.p.p. e nell’art. 734 bis c.p. inibiscono, rispettivamente, «la divulgazione di elementi che anche indirettamente possono portare alla identificazione di minori danneggiati da un reato (cfr. anche art. 13 del D.P.R n. 448/1988)» nonché «la divulgazione delle generalità o dell’immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale».
Inoltre, è stato evidenziato come, in materia, l’art. 7 del «Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica»[6], richiamando la Carta di Treviso, «considera sempre prevalente il diritto del minore alla riservatezza rispetto al diritto di cronaca precludendo al giornalista la diffusione di dati idonei ad identificare, anche indirettamente, minori comunque coinvolti in fatti di cronaca».
In tale quadro, è stato, dunque, prescritto «a tutti i titolari del trattamento in ambito giornalistico», che hanno pubblicato notizie relative ai fatti di cronaca descritti, «di conformare l’utilizzo delle informazioni riguardanti le [predette] vicende» alle disposizioni normative vigenti in materia e citate nei singoli provvedimenti «a garanzia della riservatezza» dei soggetti coinvolti e, in particolare della dignità delle ragazze minorenni o delle persone terze indirettamente coinvolte nei fatti. In tal senso, i giornalisti devono procedere «ad una valutazione più attenta ed approfondita circa l’oggettiva essenzialità di dettagli e informazioni attinenti ad aspetti intimi, omettendone la pubblicazione quando non rispondono ad un’esigenza di giustificata informazione su vicende di interesse pubblico»[7].
[1] Sulla portata giuridica di provvedimenti prescrittivi di carattere generale si rinvia alle considerazioni già svolte, e alla bibliografia ivi citata, nel precedente Osservatorio M. Viggiano, Osservatorio Garante per la protezione dei dati personali (fasc. 1/2014), in https://www.osservatoriosullefonti.it/archivio-rubriche-2014/agcm-agcom-avcp-garante-privacy/976-garante-per-la-protezione-dei-dati-personali-12014.
[5] Provvedimento del Garante del 29 luglio 1998, in G.U. 3 agosto 1998, n. 179 e in http://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1556386. Vd. anche art. 139 del d. lgs. n. 196/2003 che dispone: «Il Garante promuove ai sensi dell’articolo 12 l’adozione da parte del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti di un codice di deontologia relativo al trattamento dei dati di cui all’articolo 136, che prevede misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale». Il medesimo articolo sancisce, inoltre, che «In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, il Garante può vietare il trattamento ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c)» (in part. comma 5).
[6] Provvedimento del Garante del 29 luglio 1998, in G.U. 3 agosto 1998, n. 179 e in www.gpdp.it, doc. web http://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1556386. Cfr. anche art. 139 del d. lgs. n. 196/2003 che prevede come «Il Garante promuove ai sensi dell’articolo 12 l’adozione da parte del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti di un codice di deontologia relativo al trattamento dei dati di cui all’articolo 136, che prevede misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale». Il medesimo articolo sancisce, inoltre, che «In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, il Garante può vietare il trattamento ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c)» (comma 5).