Nel periodo di riferimento considerato, l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (d’ora in poi, A.G.Com.,) ha adottato due rilevanti provvedimenti di natura regolamentare, vale a dire:
1.La Delibera n. 494/14/CONS del 30 settembre 2014, recante “Criteri per la fissazione da parte del Ministero dello sviluppo economico dei contributi annuali per l’utilizzo delle frequenze nelle bande televisive”.
2.La Delibera n. 413/14/CONS, recante “Direttiva generale per l’adozione da parte dei fornitori di servizi postali delle carte dei servizi”.
Si illustreranno i contenuti delle due delibere nei successivi paragrafi.
I
L’Autorità, a conclusione di una lunga e complessa fase istruttoria che ha determinato, altresì, l’indizione di una consultazione pubblica[1], ha approvato i criteri per la fissazione da parte del Ministero dello sviluppo economico dei nuovi contributi annuali per l’utilizzo delle frequenze televisive digitali terrestri, in conformità all’art. 3-quinquies, comma 4, del decreto-legge n. 16/2012, convertito dalla legge n. 44/2012[2]. Le citate disposizioni normative delimitano il potere di intervento dell’Autorità, circoscrivendolo alla sola adozione dei criteri per la determinazione del contributo per i diritti d’uso delle frequenze radio, mentre la fissazione in concreto della misura del contributo è rimessa ai competenti organi di Governo.
Si rileva che la nuova Delibera dell’Autorità ha introdotto rilevanti modifiche in ordine alle modalità del calcolo del canone delle frequenze. Difatti, a sistema analogico vigente, il canone per l’utilizzo delle frequenze era pagato dalle società televisive (elemento soggettivo) sulla base dell’1% del fatturato editoriale (elemento oggettivo).
Il nuovo modello di contribuzione ha dunque cambiato i suddetti parametri: dal punto di vista soggettivo, l’Autorità ha tenuto conto del c.d. horizontal entry model, in base al quale, in luogo dell’unico operatore presente nel precedente sistema analogico, occorre individuare tre nuove figure, ognuna delle quali soggette a regimi distinti regimi autorizzativi: l’operatore di rete, il fornitore dei servizi media e il fornitore di servizi di accesso condizionato. Pertanto, in base al citato quadro normativo, l’obbligo di corrispondere i contributi per l’utilizzo delle frequenze va ricondotto all’operatore di rete, titolare del diritto d’uso delle frequenze stesse, sulla base dell’autorizzazione appositamente rilasciata dal Ministero.
Inoltre, dal punto di vista oggettivo, il computo avviene non più sulla base del fatturato, bensì in ragione del valore base (minimo) dello spettro radio rilevato nell’ambito della procedura competitiva (asta delle frequenze).
L’Autorità ha pertanto ritenuto di adempiere a quanto richiesto dalla Commissione europea[3], valorizzando i principi di promozione del pluralismo, proporzionalità e non discriminazione, introducendo nel modello di determinazione del canone alcuni elementi di differenziazione – validi per un periodo transitorio – tra Rai ed Elettronica Industriale e, rispettivamente, gli altri operatori di rete.
In sostanza, l’Autorità ha inteso introdurre norme asimmetriche a salvaguardia dei principi di accesso e non discriminazione al mercato, in favore degli operatori diversi dal duopolio Rai - Mediaset. In particolare, tali elementi di differenziazione si sostanziano in: un meccanismo di tipo anti-hoarding, che implica aumenti percentuali da applicare al contributo annuale di riferimento, in corrispondenza di ciascun multiplex posseduto da parte del medesimo soggetto; un periodo di applicazione progressiva dei contributi (c.d glidepath) di durata dimezzata per Rai e Mediaset rispetto agli altri operatori; nell’eliminazione, per questi ultimi, del criterio di anti-hoarding, per tutto il periodo di durata del glidepath, nonché di un “premio” assegnato in favore delle misure intraprese per l’innovazione tecnologica (-30% del contributo annuo per ogni rete di nuova generazione di altri operatori nazionali e per gli operatori locali rispetto ad un premio del -20% del contributo annuo per rete innovativa di Rai o di Mediaset). Relativamente agli operatori locali, il computo si basa sulla titolarità del diritto d’uso delle frequenze (numero di reti) e sul livello di copertura della popolazione di ogni singola rete.
II
La Delibera n. 413/14/CONS, rubricata “Direttiva generale per l’adozione da parte dei fornitori di servizi postali delle carte dei servizi” rinviene il suo fondamento normativo nella legge n. 481 del 1995. Le carte dei servizi sono finalizzate alla fornitura al pubblico di informazioni trasparenti che garantiscano la comprensibilità dell’informazione e della comunicazione pubblicitaria, atte a facilitare i processi di comparabilità dei prezzi in relazione alla qualità dei servizi offerti, tra singoli prodotti postali del medesimo operatore ovvero da operatori diversi.
In altri termini, le Carte dei servizi rappresentano uno strumento per la realizzazione del diritto fondamentale alla “qualità del servizio”, svolgendo una duplice funzione: esplicativa in ordine all’oggetto e ai livelli minimi di prestazione e, d’altro canto, di tipo garantista, poiché l’utente vanterà una legittima pretesa all’osservanza delle obbligazioni assunte dal prestatore e specificate nella Carta stessa.
In tal guisa, secondo le ricostruzioni della prevalente dottrina, la Carta dei servizi assume diversa natura in ragione dell’ente regolatore del servizio: atto amministrativo generale o atto regolamentare nel caso di ente pubblico, atto pubblicistico di integrazione del rapporto negoziale sottostante nel caso di ente erogatore privato[4].
In particolare, la Direttiva de qua assume tra i principi fondamentali ispiratori “l’eguaglianza di trattamento degli utenti”. Pertanto, fatti salvi gli obblighi di servizio universale, i fornitori di servizi postali sono tenuti ad adottare le idonee misure asimmetriche verso gli utenti, e precisamente quelle atte a favorire ogni forma di fruizione differenziata, finalizzata alla parità di accesso e di fruizione dei servizi postali da parte delle categorie deboli (disabili, anziani e donne in stato di gravidanza), nonché a favorire l’eliminazione delle eventuali barriere alla ricezione dei servizi.
Inoltre, i comportamenti dei fornitori dei servizi postali nei confronti degli utenti debbono ispirarsi a criteri di trasparenza, obiettività, equità e imparzialità. A tal fine, gli operatori sono tenuti alla fornitura delle informazione agli utenti circa le modalità giuridiche, economiche e tecniche di prestazione dei servizi, e assicurano agli utenti il diritto di presentare per via telefonica, telematica (posta elettronica o formulario online) o per iscritto, senza oneri aggiuntivi, reclami, segnalazioni e istanze per le procedure di conciliazione, al fine di evidenziare inefficienze del servizio, inosservanza delle clausole contrattuali o delle carte dei servizi nonché dei livelli di qualità in esse stabiliti.
Infine, i fornitori di servizi postali sono tenuti, nel rispetto della normativa vigente, a esplicitare, sulla base delle norme tecniche internazionali specifiche, gli indicatori di qualità dei servizi, le relative definizioni e i metodi di misurazione, i relativi standard generali e specifici per ciascun anno solare di riferimento, nonché il sistema di rimborsi e/o indennizzi previsti per ciascun prodotto postale.
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A conclusione di questa breve rassegna si segnala l’ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)[5], con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale delle norme (in particolare, art. 5, co. 1 e art. 14.3, 15.2 e 16.3 del decreto legislativo n. 70/2003, nonché art. dell’art. 32 bis, comma 3 del Testo Unico Servizi Media e Audiovisivi come introdotto dal decreto legislativo n. 44/2010) su cui si fonda la delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, recante “Regolamento in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”.
L’ordinanza nasce da un gravame sollevato da Altroconsumo e altre Associazioni ricorrenti, con il quale è stato impugnato il regolamento AGCom in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica (la rete internet e quella radiotelevisiva). Come è noto, il regolamento in oggetto prevede una procedura intesa a offrire strumenti di protezione del predetto diritto mediante procedure di intervento adottate dall’Autorità a seguito di apposita istruttoria. Tali procedure, a giudizio dei ricorrenti, non garantirebbero adeguatamente né il diritto di accesso dei cittadini alla rete, né il diritto di libera manifestazione del pensiero sancito dalla nostra Costituzione e, ancora, risulterebbero disattese la riserva di legge e quella di giurisdizione quanto ai limiti all’esercizio delle libertà fondamentali in rete.
Il Tar Lazio, pur manifestando il proprio convincimento circa la legittimità del regolamento nella ordinanza interlocutoria, decide di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle norme primarie attributive di potere regolamentare. Pertanto, il conflitto fra norma di livello superiore e norma di grado inferiore, a giudizio del Tar Lazio, si sposta più in alto, riguardando la conformità della legge alla Costituzione, in linea con l’art. 134 Cost., che individua nella legge e negli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale.
Secondo il Tar Lazio, il regolamento Agcom trova fondamento in norme di legge che, da un lato determinano gli obblighi che gravano sui prestatori di servizio e, dall’altro, individuano l’Agcom quale autorità amministrativa indipendente avente funzioni di vigilanza. In altri termini, le norme primarie suddette radicano la competenza Agcom in materia di diritto d’autore, per cui ne deriva la non fondatezza delle dedotte censure di illegittimità per violazione di legge e incompetenza dell’Autorità.
Inoltre, il procedimento Agcom non mira a definire controversie tra operatori o tra operatori e utenti, pertanto lo stesso non può farsi rientrare nei procedimenti para-giurisdizionali. Viene esclusa altresì, ad avviso del Tar, la fondatezza delle censure riferite alla violazione della riserva di giurisdizione e del giudice naturale in materia di tutela del diritto d’autore. Il regolamento, difatti, disciplina l’adozione di provvedimenti inibitori adottati all’esito di un ordinario procedimento amministrativo, ancorché caratterizzato da ragioni d’urgenza e dall’ordinario regime di partecipazione procedimentale. Tali provvedimenti, a efficacia interdittiva, non mirano a sanzionare la condotta che viola il diritto di copyright, ma a inibire la continuazione della condotta stessa. L’eventuale sanzione dell’Autorità, difatti, deriva non dall’illecito commesso, ma dall’inottemperanza dell’ordine di rimozione del contenuto lesivo. A ciò si aggiunga che il regolamento fa salvo il doppio binario, per cui è sempre possibile rimettere la questione, incardinata in origine dinanzi all’Autorità, al giudice naturale definito per legge.
Ciò premesso[6] il Tar Lazio, sulla scorta della presenza dei requisiti di rilevanza e di non manifesta infondatezza, rimette la questione di legittimità delle norme primarie attributive del potere regolamentare dell’Autorità dinanzi al giudice delle leggi.
In particolare, secondo il giudice amministrativo, la rilevanza della questione si rinviene nel fatto che le leggi attributive del potere dell’Autorità debbono essere interpretate ai fini della decisone: ne deriva che l’eventuale pronuncia d’incostituzionalità della Corte priverebbe la Delibera in oggetto del suo necessario fondamento legislativo, con conseguente declaratoria di invalidità derivata del regolamento.
La non manifesta infondatezza della questione viene rilevata dal giudice a quo in considerazione del fatto che i diritti fondamentali costituzionalmente tutelati sono presidiati dalla garanzia della riserva di legge (artt. 21 e 41 Cost.), la quale impone un inderogabile ordine di intervento tra legge e regolamento, e dalla riserva di tutela giurisdizionale (artt. 24 e 25 Cost.): le disposizioni di legge sopra illustrate, a un giudizio sommario, sembrano determinare la violazione di entrambe le predette garanzie, consegnando al regolatore le funzioni normative e di vigilanza su valori fondamentali presidiati dalla Costituzione. Pertanto, a giudizio del Tar, occorre “…valutare se l’originario testo della nostra Costituzione, che nella sua assoluta e straordinaria modernità ha garantito fra i principi fondamentali i diritti inviolabili dei singoli (art. 2), tutelando in tale ambito ogni forma di manifestazione del pensiero (articolo 21, comma 1), non ponga un limite “intrinseco” alla discrezionalità del legislatore chiamato a riempire di contenuti la prevista riserva di legge, e se, quindi, il legislatore ordinario, alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità, non possa assicurare garanzie minori, rispetto a quelle già previste per la stampa dai commi 2 ss. dell’art.21 Cost. per le nuove forme di manifestazione del pensiero che, come internet, nel tempo vi si sono affiancate quanto al rilievo per l’esercizio delle libertà civili e della partecipazione politica e sociale, e se lo stesso legislatore debba quindi porre discipline ragionevolmente efficaci e bilanciate, secondo le previsioni costituzionali, di tutela del diritto inviolabile di manifestazione del pensiero (ovvero di informare e di essere informati) rispetto agli altri diritti fondamentali potenzialmente configgenti (privacy, proprietà intellettuale…).
[1] Delibera n. 210/14/CONS del 13 maggio 2014, recante “Consultazione pubblica sullo schema di provvedimento recante Criteri per la fissazione da parte del Ministero dello sviluppo economico dei contributi annuali per l’utilizzo delle frequenze nelle bande televisive”.
[2] Sul punto, cfr. AUDIZIONE DEL PRESIDENTE DELL’AUTORITA’PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI ANGELO MARCELLO CARDANI presso la COMMISSIONE PER L’INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI, Roma, 8 ottobre 2014 , reperibile al seguente link: http://www.agcom.it/documents/10179/2174762/Audizione+al+Parlamento+08-10-2014/31788b3f-45d3-4021-918e-caf11719e40c?version=1.0.
[4] G. MASTRANDREA, Le carte dei servizi ferroviari e la qualità della prestazione, in http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/Mastrandrea.htm#_Toc104611887.
[6] Per una opposta posizione a quella espressa dal Tar Lazio, favorevole a una lettura costituzionalmente orientata delle norme attributive del potere regolamentare Agcom, si rinvia a G. De Minico, Libertà e copyright nella costituzione e nel diritto dell’Unione, in www.rivistaaic.it/download/.../1-2014-de-minico.pdf.
Sulla ricostruzione in base alla quale il Tar Lazio non avrebbe in alcun modo dichiarato la legittimità del Regolamento, “…perché per farlo avrebbe dovuto emettere una sentenza, cioè un provvedimento decisorio idoneo a passare in giudicato, non una semplice ordinanza interlocutoria”, cfr. F. Sarzana, Diritto d’autore. TAR e legittimità del Regolamento Agcom: il parere di Fulvio Sarzana, in http://www.key4biz.it/diritto-dautore-tar-e-legittimita-del-regolamento-agcom-il-parere-di-fulvio-sarzana/.