Sentenza n. 275/2013 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 20/11/2013 – Pubblicazione in G.U. del 27/11/2013
Motivi della segnalazione:
Con la sentenza n. 275/2013 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, limitatamente alle parole «non superiore al 5 per cento».
Nel Punto 6 della decisione il giudice delle leggi ha modo di confermare i propri orientamenti in materi di leggi-provvedimento: innanzitutto si richiamano i precedenti attraverso i quali si sono definite leggi-provvedimento quelle che «contengono disposizioni dirette a destinatari determinati» (sentenze n. 154 del 2013, n. 137 del 2009 e n. 2 del 1997), ovvero «incidono su un numero determinato e limitato di destinatari» (sentenza n. 94 del 2009), che hanno «contenuto particolare e concreto» (sentenze n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n. 137 del 2009, n. 241 del 2008, n. 267 del 2007 e n. 2 del 1997), «anche in quanto ispirate da particolari esigenze» (sentenze n. 270 del 2010 e n. 429 del 2009), e che comportano l’attrazione alla sfera legislativa «della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa» (sentenze n. 94 del 2009 e n. 241 del 2008). Precisando come, sempre in ossequio ai precedenti tale categoria di leggi sia compatibile con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione, poiché nessuna disposizione costituzionale comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto particolare e concreto (sentenze n. 85 del 2013 e n. 143 del 1989).
Dopo questi chiarimenti preliminari la Corte passa ad esaminare la questione, partendo dall’ascrivibilità alla categoria della disposizione oggetto di sindacato: secondo la Consulta, l’ascrivibilità della disposizione oggetto di scrutinio alla categoria delle leggi-provvedimento è dimostrata dalla sua ratio, che è quella di superare in via legislativa l’inerzia dell’amministrazione nella individuazione delle modalità di salvaguardia. Il contenuto oggettivo della disposizione risponde, dunque, ai requisiti richiesti per ricomprenderla fra le leggi-provvedimento.
Dal punto di visto soggettivo, infine, la platea dei destinatari è determinata e limitata, considerato che la disposizione si rivolge esclusivamente a quei concessionari “storici” che, al momento della sua entrata in vigore, avessero rapporti controversi con l’amministrazione.
A questo punto la Corte si occupa della valutazione della costituzionalità di tale disposizione, sulla base del parametro consolidato per lo scrutinio in tema di leggi-provvedimento: quello della ragionevolezza e non arbitrarietà (sentenze n. 85 del 2013, n. 143 del 1989, n. 346 del 1991 e n. 429 del 1995). Tali leggi, infatti, devono soggiacere ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio (sentenze n. 85 del 2013; in senso conforme sentenze n. 20 del 2012 e n. 2 del 1997), con l’ulteriore precisazione che «tale sindacato deve essere tanto più rigoroso quanto più marcata sia […] la natura provvedimentale dell’atto legislativo sottoposto a controllo (sentenza n. 153 del 1997)» (sentenza n. 137 del 2009; in senso conforme sentenze n. 241 del 2008 e n. 267 del 2007).
Da questo punto di vista, vengono rigettate le censure riguardanti l’intervento normativo nel suo insieme: la ratio della disposizione, esplicita, («al dichiarato fine di perseguire maggiore efficienza ed economicità dell’azione» (amministrativa), si propone di ricondurre ad equità i rapporti economici con i concessionari. Inoltre, di «una risoluzione equitativa» della controversia parlano anche i lavori preparatori e, in particolare, la «nota di lettura» del 20 marzo 2012 citata dalle parti private) è di per sé non incongrua, ed anzi condivisibile, dal punto di vista sia dell’interesse pubblico alla riscossione delle entrate in questione, sia di quello privato dei concessionari, indubbiamente danneggiati dal prolungato stato di paralisi dell’azione amministrativa; l’intervento sostitutivo della norma che in precedenza definiva la materia appare del tutto coerente con tali finalità. Esso non solo non può considerarsi irragionevole, ma, al contrario, è stato reso necessitato dall’inadempimento dell’amministrazione e dal suo espresso riconoscimento dell’impossibilità di individuare misure di salvaguardia diverse dal riequilibrio “interno” del rapporto concessorio, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 16 febbraio 2012, resa in cause riunite C-72/10 e C-77/10, Costa-Cifone; nello stesso senso, sentenza 11 marzo 2010, C-384/08, Attanasio Group), che ha escluso interventi sul mercato delle scommesse in una logica anticoncorrenziale.
Diversa valutazione dà invece il giudice delle leggi sullo sbarramento del cinque per cento alla riduzione delle somme dovute dai concessionari, vista la irragionevolezza di questa parte della disposizione. Per la Corte esiste, infatti, una evidente rottura della consequenzialità logica fra la pretesa di pervenire ad un equilibrato riassetto delle prestazioni economiche dei concessionari e la fissazione del tetto in modo apodittico, prescindendo cioè da quell’attenta e ponderata valutazione delle mutate circostanze di fatto (i pacifici minori introiti conseguenti all’evoluzione in senso concorrenziale del mercato delle scommesse ippiche), che costituiva la premessa indispensabile della determinazione delle modalità di salvaguardia e che rimane non meno indispensabile per l’applicazione del nuovo meccanismo di riequilibrio.
Richiamando la propria dottrina in materia, la Consulta ricorda come la legittimità costituzionale delle leggi-provvedimento vada valutata in relazione al loro specifico contenuto e che devono emergere i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione (sentenze n. 85 del 2013, n. 137 del 2009, n. 267 del 2007 e n. 492 del 1995), criteri e modalità che è sufficiente siano comunque desumibili dalla norma stessa in base agli ordinari strumenti ermeneutici (sentenze n. 85 del 2013 e n. 270 del 2010).
Non emergendo dalla norma impugnata (e anche dagli atti parlamentari) le ragioni che inducono a ritenere il tetto congruente con l’obiettivo prefissato dallo stesso legislatore, la riconduzione ad equità dei rapporti concessori nel rispetto dei principi di efficienza ed economicità, questa parte della disposizione viene dunque giudicata incostituzionale per irragionevolezza.