Sentenza n. 308/2013 – Giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 17/12/2013 - Pubblicazione in G.U. 27/12/2013
Motivi della segnalazione:
La decisione, in applicazione dei principi affermati nella precedente giurisprudenza costituzionale in materia di leggi di interpretazione autentica (indicati nelle sentt. nn. 41/2011 e 78/2012, esplicitamente richiamate), dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1 della legge della Regione Sardegna n. 20 del 2012 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici). La Corte giunge a tale esito in quanto esclude che la norma regionale impugnata, “che si autoqualifica di interpretazione autentica” abbia lo scopo di rimediare ad un’imperfezione tecnica della legge interpretata e ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore. Di conseguenza la norma interpretativa, “dal contenuto sostanzialmente provvedimentale” e adottata in seguito al deposito di una sentenza del Consiglio di Stato nella quale era stata affermata un’interpretazione diversa, deve ritenersi posta “in violazione di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario”.
Di seguito si riportano i passaggi salienti dell’argomentazione svolta dalla Corte (cfr. considerato 4.3.2.):
“Con riferimento alle leggi di interpretazione autentica, la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che, posto che «il legislatore può […] approvare sia disposizioni di interpretazione autentica, che chiariscono la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva» (sentenza n. 41 del 2011), «quello che rileva è, in entrambi i casi, che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, in una prospettiva di stretto controllo, da parte della Corte, di tale requisito, e non contrasti con valori ed interessi costituzionalmente protetti» (sentenza n. 41 del 2011)”.
[…]
“Questa Corte ha escluso che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica possa dirsi costituzionalmente illegittima, qualora la legge interpretativa abbia lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto», o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore […] a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale» (sentenza n. 78 del 2012). Essa deve, tuttavia, anche rispettare una serie di limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, anche di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza […]; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010)» (sentenza n. 78 del 2012).
Nel caso in esame, con la norma impugnata, che si autoqualifica di interpretazione autentica, il legislatore regionale è intervenuto, a distanza di sei anni dall’entrata in vigore del Piano paesaggistico regionale (PPR), adottato con deliberazione n. 36/7 del 5 settembre 2006, per imporre alla Giunta regionale di assumere una deliberazione di interpretazione autentica con la quale stabilire, con effetto ricondotto all’entrata in vigore del predetto PPR, che l’art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del PPR, adottate congiuntamente al PPR, deve essere inteso nel senso che la fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia non si applica alle zone umide, ma solo ai laghi naturali ed agli invasi artificiali, con conseguente esclusione della predetta fascia dal regime di autorizzazione paesaggistica imposto dall’art. 18.
L’efficacia retroattiva della norma è, poi, ulteriormente precisata al comma 2, nel quale si impone ai Comuni ed agli altri enti competenti di «adottare i necessari atti conseguenti con riferimento ai titoli abilitativi rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di entrata in vigore del Piano paesaggistico regionale», in conformità alla delibera di interpretazione autentica.
Tale norma, dal contenuto sostanzialmente provvedimentale, è stata adottata pochi mesi dopo il deposito della sentenza con la quale il Consiglio di Stato (sentenza 16 aprile 2012, n. 2188) aveva applicato il predetto art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale, nel senso che anche alle zone umide si applica la cosiddetta fascia di rispetto di 300 metri dalla battigia, ed aveva su questa base annullato una concessione edilizia rilasciata in assenza della previa autorizzazione paesaggistica proprio in prossimità di una zona umida”.
[…]
“La norma interpretativa, come riconosciuto dalla medesima Regione Sardegna, ha imposto alla Giunta di escludere il riferimento alla fascia di rispetto dei 300 metri dalla battigia con esclusivo riguardo alle zone umide, ai fini della determinazione del loro concreto ambito di tutela, separandole quindi dai laghi naturali e dagli invasi artificiali, facendo retroagire tale ridotta tutela al momento dell’entrata in vigore del PPR, e cioè al 2006, al preteso scopo di rimediare ad una imperfezione tecnica della norma impugnata[…].
Tuttavia, l’ipotesi della norma regionale impugnata non è riconducibile a quella delle norme retroattive volte a rimediare ad «una imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore» (sentenza n. 78 del 2012):
nella specie, la volontà del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, nella volontà di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1 della legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). L’effetto prodotto dalla norma regionale impugnata, all’opposto, risulta essere quello di una riduzione dell’ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che ciò sia imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali.
E ciò, peraltro, in violazione di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario”.