Sentenza n. 1/2014 – giudizio di costituzionalità in via incidentale
Deposito del 13 gennaio 2014 – Pubblicazione in G. U. del 15 gennaio 2014
Motivi della segnalazione:
Con la sentenza n. 1 del 2014 la Corte ha dichiarato l’illegittimità del premio di maggioranza e del meccanismo del voto bloccato di lista previsti dalla legge 270 del 2005.
La sentenza muove dai dubbi di legittimità che la Corte di cassazione nutre nei confronti di alcune disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), relative all’attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato, nonché di quelle disposizioni che, disciplinando le modalità di espressione del voto come voto di lista, non consentono all’elettore di esprimere alcuna preferenza.
I motivi d’interesse della decisione risiedono nel fatto che il principio affermato dalla Corte oltrepassa la legge in questione, segnando un arretramento delle zone franche dal giudizio di costituzionalità.
Di più: “l’esigenza di garantire il principio di costituzionalità rende quindi imprescindibile affermare il sindacato di questa Corte – che «deve coprire nella misura più ampia possibile l’ordinamento giuridico» (sentenza n. 387 del 1996) – anche sulle leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e del Senato, «che più difficilmente verrebbero in altra via ad essa sottoposte». Se così non fosse “si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico, in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per ciò stesso, si determinerebbe un vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato”.
Una delle parti più significative della sentenza è quella in cui la Corte afferma che la normativa elettorale sottoposta a giudizio nella parte della premialità, non ha superato i test di ragionevolezza e di proporzionalità.
Soprattutto l’utilizzo di tale ultimo test suscita interesse, laddove esso ha consentito di affermare l’incostituzionalità della legge non solo per puntuali contrasti con norme costituzionali, ma soprattutto perché la norma oggetto di giudizio è stata vagliata, come ha sottolineato la Corte in quanto “sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi”.
Il giudizio di proporzionalità di conseguenza è stato “strutturato” su tali parametri ed ha condotto la Corte ad escludere l’esistenza di una proporzione ragionevole tra obiettivi della legge e mezzi impiegati per il raggiungimento degli stessi. La legge elettorale, infatti, avrebbe dovuto tenere in equilibrio ragionevole le esigenze della proporzionalità con l’obiettivo della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare perseguito attraverso la premialità. Nel senso che il raggiungimento di tale ultimo obiettivo avrebbe dovuto imporre il minor sacrificio possibile alla funzione rappresentativa dell’assemblea ed all’eguale diritto al voto. Invece “il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto”.
La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione è «complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo», così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2012). Le leggi elettorali sono, infatti, “costituzionalmente necessarie”, in quanto «indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali» (sentenza n. 13 del 2012; analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del 2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29 del 1987), dovendosi inoltre scongiurare l’eventualità di «paralizzare il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall’art. 88 Cost.» (sentenza n. 13 del 2012).
In merito alla normativa che rimane in vigore la Corte precisa che rientra tra i suoi compiti valutare l’opportunità e/o l’efficacia di tale meccanismo, spettando ad essa solo di verificare la conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, condizione, quest’ultima, connessa alla natura della legge elettorale di «legge costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 32 del 1993).
D’altra parte, la rimettente Corte di cassazione aveva significativamente puntualizzato che «la proposta questione di legittimità costituzionale non mira a far caducare l’intera legge n. 270/2005 né a sostituirla con un’altra eterogenea impingendo nella discrezionalità del legislatore, ma a ripristinare nella legge elettorale contenuti costituzionalmente obbligati (concernenti la disciplina del premio di maggioranza e delle preferenze), senza compromettere la permanente idoneità del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali», fatta salva «l’eventualità che si renda necessaria un’opera di mera cosmesi normativa e di ripulitura del testo per la presenza di frammenti normativi residui, che può essere realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha a disposizione».
La sentenza in oggetto segna un forte richiamo al legislatore nazionale sulla necessità di elaborare discipline elettorali dotate non solo di una coerenza interna ma anche della capacità di bilanciare in maniera ragionevole tutti i valori costituzionali in gioco.