Sentenza n. 30/2014 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 25/02/2014 Pubblicazione in G. U. 05/03/2014
Motivi della segnalazione:
In questa sentenza la Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55, comma 1, lettera d ), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134), impugnato, in riferimento agli artt. 3, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost. (quest'ultimo in relazione all'art. 6, par. 1, CEDU), nella parte in cui - sostituendo l'art. 4 della legge n. 89 del 2001 - preclude la proposizione della domanda di equa riparazione durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume verificata.
La Corte ritiene che l'intervento additivo invocato dal rimettente – consistente sostanzialmente in un'estensione della fattispecie relativa all'indennizzo conseguente al processo tardivamente concluso a quella caratterizzata dalla pendenza del giudizio – non sia possibile, sia per l'inidoneità dell'eventuale estensione a garantire l'indennizzo della violazione verificatasi in assenza della pronuncia irrevocabile, sia perché la modalità dell'indennizzo non potrebbe essere definita "a rime obbligate" a causa della pluralità di soluzioni normative in astratto ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata del processo.
Con specifico riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 1, Cost,, la Corte costituzionale rammenta come «a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, questa Corte ha costantemente ritenuto che "le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali"» (sentenza n. 264 del 2012).
Secondo quanto chiarito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Scordino contro Italia (Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006), «l'articolo 6 § 1 impone agli Stati contraenti l'obbligo di organizzare i propri sistemi giudiziari in modo tale che i loro giudici possano soddisfare ciascuno dei suoi requisiti, compreso l'obbligo di trattare i casi in un tempo ragionevole [...]. Laddove il sistema giudiziario è carente in questo senso, la soluzione più efficace è quella di un mezzo di ricorso inteso a snellire il procedimento per evitare che questo diventi eccessivamente lungo. [...]. Tuttavia, gli Stati possono anche scegliere di introdurre solo dei mezzi di ricorso risarcitori, così come ha fatto l'Italia, senza che tale mezzo di ricorso non sia considerato effettivo» [...] Sta ad ogni Stato decidere, sulla base delle norme applicabili nel proprio sistema giudiziario, quale sia la procedura che rispetti al meglio il carattere obbligatorio di "effettività" [...]» (Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia).
Sotto tale ultimo profilo – a parere della Corte costituzionale – il rimedio interno, come attualmente disciplinato dalla legge Pinto, risulta carente. Tuttavia, il vulnus riscontrato e la necessità che l'ordinamento si doti di un rimedio effettivo a fronte della violazione della ragionevole durata del processo non pregiudicano la «priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario», a causa della pluralità di soluzioni normative ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata del processo. Alla luce di tale conclusione, la Corte evidenzia comunque che «non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella presente pronuncia».