Sent. n. 229/2014 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 06/10/2014 – Pubblicazione in G.U. dell'08/10/2014
Motivo della segnalazione
In questa sentenza la Corte si esprime in ordine ad una questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di cassazione in riferimento all'art. 146, primo e secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall'art. 29 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell'art. 7, comma 1, lettera e, della legge 28 novembre 2005, n. 246), per violazione dell'art. 76 della Costituzione.
La prima previsione impugnata stabilisce che «l'illecito disciplinare del notaio si prescrive in cinque anni decorrenti dal giorno in cui l'infrazione è stata commessa ovvero, per le infrazioni di cui all'articolo 128, comma 3, commesse nel biennio, dal primo giorno dell'anno successivo»; la seconda che: «la prescrizione è interrotta dalla richiesta di apertura del procedimento disciplinare e dalle decisioni che applicano una sanzione disciplinare. La prescrizione, se interrotta, ricomincia a decorrere dal giorno dell'interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre nuovamente dall'ultimo di essi. In nessun caso di interruzione può essere superato il termine di dieci anni».
Come ricordato dal giudice rimettente, con l'art. 7 della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005), al Governo era stata conferita la delega ad adottare appositi decreti legislativi per il «riassetto normativo in materia di ordinamento del notariato e degli archivi notarili», stabilendosi che si sarebbe dovuto legiferare anche in ordine alla «previsione della sospensione della prescrizione in caso di procedimento penale e revisione dell'istituto della recidiva».
Lo stesso giudice rimettente aveva rilevato che il Governo, in sede di attuazione della delega, «a fronte di una cornice di principi e criteri direttivi riferita ad un oggetto definito e ben delimitato, emergente dall'art. 7 delle legge n. 246 del 2005, ha stabilito, nei primi due commi dell'art. 146 della cosiddetta legge notarile riformata, una nuova disciplina che, pur attenendo all'istituto della prescrizione, "ha involto la regolamentazione dell'aspetto della sua interruzione (al comma 2), prima del tutto assente nella predetta legge (e ritenuto assolutamente inoperativo in tale materia dalla consolidata giurisprudenza), con l'ulteriore previsione dell'allungamento a cinque anni del relativo termine prescrizionale (al comma 1)"».
Se ne poteva dedurre, secondo la Corte di cassazione che con le previsioni impugnate «il legislatore delegato avrebbe violato i principi e criteri direttivi e superato il limite oggettivo presenti nella delega, "coinvolgendo altre situazioni che, sia pur connesse, hanno determinato un illegittimo esercizio del potere legislativo discrezionale, siccome svincolato, appunto, dai rigidi criteri direttivi predeterminati dalla legge delega, essendo indubbia la diversa natura e la differente efficacia tra gli istituti della sospensione e della interruzione della prescrizione, i quali non presentano alcun rapporto di progressività"». Ne a valutazione diversa si sarebbe potuti pervenire leggendo le previsioni in questione alla luce delle finalità ispiratrici della legge stessa, non potendosi, a parere del giudice rimettente, affermare che, nel caso di specie, il legislatore delegato si sia mosso nel solco di tali scopi, essendo stato il suo campo di azione «limitato ad armonizzare il solo istituto della sospensione con l'eventualità della contemporanea pendenza del procedimento penale relativo allo stesso fatto rilevante anche come illecito disciplinare».
Il giudice delle leggi comincia l'iter argomentativo che l'ha condotto a rigettare la questione soppostale ricordando che, secondo la sua costante giurisprudenza, «il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno relativo alla disposizione che determina l'oggetto, i princìpi e i criteri direttivi della delega; l'altro concernente la norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi (ex plurimis, sentenze n. 230/2010, n. 112 e n. 98 del 2008, n. 140 del 2007)».
Alla luce di ciò, la Corte pone a confronto il contenuto della delega e quello delle disposizioni impugnate, rilevando come le scelte compiute da queste ultime siano «coerenti con gli indirizzi generali della delega e compatibili con la ratio di questa». Ciò – afferma il giudice delle leggi – in considerazione del fatto che «i principi posti dal legislatore delegante costituiscono [...] non soltanto base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l'interpretazione della loro portata», dovendo tali disposizioni essere lette «finché sia possibile, nel significato compatibile con tali principi, i quali a loro volta vanno interpretati alla luce della ratio della legge delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2013, n. 119 del 2013, n. 272 del 2012 e n. 98 del 2008)». Tale coerenza, sempre a parere della Corte, che richiama anche in questo caso sua precedente giurisprudenza, sussiste anche quando il legislatore delegato adotti «norme che rappresentino un coerente sviluppo e [...] un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante», dovendo infatti «escludersi che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite dal primo», ma potendosi, invece, nell'attuazione della delega, «valutare le situazioni giuridiche da regolamentare ed effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenze n. 98 del 2008 e n. 163 del 2000)».