Scheda n. 1
Statuti e rappresentanza processuale dell'ente.
CASS. CIV., Sez. I, 25 febbraio 2015, n. 3807
Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune - ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare - può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune, ma, ove, come nella specie, una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il Sindaco conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell'art. 50 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (cfr. Cass. S.U n. 12868 del 2005 e, tra le numerose altre, anche Cass. n. 4556 del 2012), nel caso pure evidenziata dall'art. 70 del depositato Statuto comunale.
Scheda n. 2
Statuti e rappresentanza processuale dell'ente.
CASS. CIV., Sez. trib., 4 marzo 2015, n. 4325
CASS. CIV., Sez. trib., 4 marzo 2015, n. 4326
CASS. CIV., Sez. trib., 4 marzo 2015, n. 4329
La Sezione tributaria della Cassazione ha già avuto modo di chiarire, oltreché di consolidare, il proprio orientamento per cui il D.Lgs. n. 546/1992, art. 11, comma 3 - quest'ultimo nel testo novellato dal D.L. n. 44/2005, art. 3 bis, comma 1, conv. in L. n. 88/2005, applicabile ai giudizi in corso, come il presente, ai sensi dello stesso D.L. n. 44/2005, art. 3 bis, comma 2, con valore quindi di interpretazione autentica - deve intendersi nel senso che le previsioni di Statuto dell'Ente Locale ben possono stabilire che davanti alle Commissioni Tributarie il Comune o la Provincia possano stare in giudizio a mezzo del Dirigente dell'Ufficio Tributi dell'imposta dedotta in lite e per la quale nei confronti del Comune o della Provincia è stato proposto ricorso davanti alla CTP. E, con ciò, derogando all'art. 50, comma 2, D.Lgs. n. 267/2000 che d'ordinario prevede che la rappresentanza sia in capo al Sindaco o al Presidente della Provincia. E, questo, anche in ragione dei più generali poteri riconosciuti agli enti territoriali dal "nuovo" Tit. V Cost. (Cass. S.U. n. 12868 del 2005; Cass. sez. trib. n. 1915 del 2007). E come nella concreta fattispecie è accaduto in ragione dell'art. 34, comma 4, Statuto del Comune di Roma, approvato con Delib. consiliare 17 luglio 2000, n. 122, mod. con Delib. 19 gennaio 2001, n. 22, oltrechè dall'art. 3 Regolamento approvato con Delib. di Giunta 25 febbraio 2000, n. 130.
Scheda n. 3
Statuti e rappresentanza processuale dell'ente.
CASS. CIV., Sez. trib., 2 marzo 2015, n. 4149
Il ricorso è considerato fondato, in quanto la tesi della sentenza gravata si discosta dai principi espressi - proprio con riferimento alla legittimazione a stare in giudizio del dirigente dell'Ufficio Affissioni e Pubblicità del Comune di Roma - dalla sentenza della stessa Corte di Cassazione n. 14637/07; tale sentenza infatti - sulla premessa che lo Statuto comunale (atto a contenuto normativo, direttamente conoscibile dal giudice) e i regolamenti municipali (nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso Statuto) possono affidare la rappresentanza in giudizio del Comune anche ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza - ha espressamente affermato la capacità processuale del dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma a proporre appello avverso la sentenza della commissione provinciale, precisando che tale legittimazione non presuppone, in difetto di disposizioni in tal senso nello Statuto comunale, alcuna autorizzazione di Giunta.
Infatti lo Statuto del Comune di Roma approvato con Delib. consiliare 17 luglio 2000, n. 122 (successivamente integrato con Delib. 19 gennaio 2001, n. 22), ratione temporis applicabile alla fattispecie, prevede, all'art. 24, comma 1, che "il Sindaco è l'organo responsabile dell'amministrazione del Comune e rappresenta l'Ente"; stabilisce poi, all'art. 34, comma 4, che "i Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere". Quindi il regolamento approvato con Delib. giunta 25 febbraio 2000, n. 130 (disciplina interna del contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie) dispone, all'art. 3, che "i dirigenti hanno il potere di decisione autonoma sulla scelta di resistere, intervenire e agire nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie, valutando tutti gli aspetti della controversia in fatto e in diritto, e il potere di rappresentanza diretta del Comune sottoscrivendo gli atti processuali".
In conclusione, secondo lo Statuto ed i regolamenti dell'amministrazione capitolina ratione temporis applicabili, i dirigenti comunali hanno, senza necessità di particolari autorizzazioni, il potere di rappresentanza diretta del Comune davanti alle commissioni tributarie.
Scheda n. 4
Statuti e rappresentanza processuale dell'ente.
TAR Lazio, Roma, 7 aprile 2015, n. 5032
L'art. 50 del t.u. enti locali prevede che il Sindaco è l'organo responsabile dell'amministrazione del Comune, di cui ha la rappresentanza legale. Parimenti, l'art. 4 del d.lgs. 17 settembre 2010, n. 156, recante disposizioni relative a Roma Capitale, individua il responsabile dell'amministrazione di Roma Capitale nel Sindaco.
Per l'effetto, in base al Testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali e all'ordinamento di Roma Capitale, il potere di rappresentare in giudizio il Comune compete al Sindaco, poiché, ai sensi del citato art. 50, comma 2, t.u., soltanto il Sindaco rappresenta il Comune ed è, pertanto, il soggetto legittimato ad agire o a resistere in giudizio, e, conseguentemente, a conferire la procura alle liti.
Non considerando i più recenti approdi giurispeudenziali della Suprema Corte (cfr. Cass. S.U n. 12868 del 2005) il Tar si richiama ad un più risalente orientamento per il quale "a seguito dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento delle autonomie locali, approvato con il d.lgs. n. 267 del 2000, la rappresentanza in giudizio del Comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco. Non può dunque essere esercitata dal titolare della direzione di un ufficio o di un servizio, neanche se così fosse previsto dallo Statuto comunale" (Cass. Civ., V, 7 giugno 2004, n. 10787), e "che il Sindaco, quale capo dell'amministrazione, è l'esclusivo rappresentante dell'ente locale dinanzi agli organi giudiziari" (Cass. Civ. V, 17 dicembre 2003, n. 19380).
Scheda n. 5
Statuti e rappresentanza processuale dell'ente.
TAR Sicilia, Palermo, 10 aprile 2015, n. 858.
Il Tar Sicilia, in senso opposto al più recente orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, ritiene che, per quanto attiene alla rappresentanza in giudizio delle amministrazioni comunali, la stessa compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante dell'ente, e non al Dirigente, in quanto, sebbene quest'ultimo sia competente ad emanare i provvedimenti attinenti alla specifica materia e settore, l'attività in tal senso svolta è sempre complessivamente riferibile all'amministrazione comunale, a capo della quale si colloca il Sindaco, nella sua qualità di legale rappresentante dell'ente munito di legittimazione passiva, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della l.r. n. 48/1991, di recepimento dell'art. 36, comma 1, della l. n.142/1990 (nella versione vigente nella Regione Siciliana), a mente del quale "il Sindaco e il Presidente della Provincia rappresentano l'ente..." (v., per le Regioni a Statuto ordinario, il corrispondente art. 50, comma 2, d.lg. n. 267/2000).
Scheda n. 6
Statuti e principio iura novit curia
CASS. CIV., Sez. III, 12 maggio 2015, n. 9567
Lo Statuto comunale, in quanto fonte di rango cd. subprimario, è direttamente conoscibile da questa Corte, in virtù del principio jura novit curia: così, ex multis, Sentenza S.U. n. 12868 del 16/06/2005, Rv. 581175, e Sez. 1, Sentenza n. 18661 del 29/08/2006, Rv. 592048.
Scheda n. 7
Legittimazione ad agire in giudizio dei consiglieri comunali nei confronti di una violazione dello Statuto.
TAR Sicilia, Catania, 9.04.2015, n. 1056
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, "I consiglieri comunali, in quanto tali, non sono legittimati ad agire contro l'Amministrazione di appartenenza dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi dello stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive. I singoli consiglieri comunali hanno legittimazione ad agire avverso atti del Consiglio comunale soltanto qualora vengono in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all'ufficio dei medesimi e, quindi, su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere e, in particolare quando i vizi dedotti attengano ai seguenti profili: a) erronee modalità di convocazione dell'organo consiliare; b) violazione dell'ordine del giorno; c) inosservanza del deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare; d) più in generale, preclusione in tutto o in parte dell?esercizio delle funzioni relative all'incarico rivestito" (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 7-02-2014, n. 593).
Nella fattispecie oggetto del giudizio, i ricorrenti, tutti consiglieri comunali del Comune di Vittoria, impugnano la deliberazione del Consiglio comunale di approvazione dell'emendamento Mustile alla variante al P.R.G., contestando non tanto il contenuto, ma le modalità di presentazione dell'emendamento, che - privo di trasposizione cartografica - ha impedito agli stessi di esercitare consapevolmente le prerogative connesse al proprio ufficio. Pertanto per il giudicante non sussiste alcun difetto di legittimazione.
Scheda n. 8
Norme statutarie e nomina dei componenti della Giunta
TAR Lombardia, Milano, 20.04.2015, n. 961.
I ricorrenti, consiglieri di minoranza del Consiglio comunale di Borghetto Lodigiano (comune di 4.400 abitanti), avevano impugnato il decreto con il quale il Sindaco (neoeletto a seguito delle elezioni tenutesi il 25 maggio 2014) aveva nominato il vicesindaco e i componenti della Giunta comunale.
Il Tar osserva come il Sindaco, nella relazione del 5 giugno 2014, trasmessa al Consiglio comunale, abbia specificato di aver "preventivamente verificato la possibilità di nominare all'interno della Giunta un assessore di sesso femminile al fine di garantire il rispetto della percentuale del 40%", evidenziando tuttavia che "la verifica è stata negativa per ragioni obiettive e non dipendenti dalla" sua "volontà in quanto lo Statuto comunale in vigore non prevede la facoltà di nominare l'assessore esterno e fra gli eletti della" sua "lista non vi sono consiglieri di sesso femminile"; il Sindaco ha anche sottolineato che "pur non rispettando la predetta percentuale il genere femminile è rappresentato con la carica di vertice dell'Amministrazione comunale".
Il Collegio, confermando il decisum cautelare, ritiene che le ragioni espresse dal Sindaco siano adeguate a giustificare, nella vicenda, il mancato rispetto della percentuale della rappresentanza del genere femminile all'interno della Giunta ai sensi dell'art. 1, comma 137, della L. n. 56 del 7.4.2014.
In particolare, va rilevato che nel caso, posto che si tratta di un comune con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, i margini di scelta in capo al Sindaco incontrano un limite non superabile nella mancata previsione, nello Statuto comunale, della facoltà di nomina ad assessori di cittadini non facenti parte del Consiglio ai sensi dell'art. 47, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000.
Risultano, pertanto, inconferenti, rispetto alla fattispecie, i precedenti giurisprudenziali richiamati dai ricorrenti, tutti relativi a comuni che, a differenza di quello odierno resistente, hanno previsto a livello statutario che il Sindaco possa nominare assessori cd. "esterni".
Il Sindaco di Borghetto Lodigiano, in definitiva, se, per un verso, era impossibilitato a individuare assessori di genere femminile tra i consiglieri eletti della sua lista (tutti di sesso maschile), per altro verso non poteva nemmeno svolgere – nel silenzio dello Statuto - alcuna indagine conoscitiva intesa ad individuare, all'interno della società civile, nell'ambito del bacino territoriale di riferimento del Comune, personalità femminili in possesso di quelle qualità – doti professionali, nonché condivisione dei valori etico - politici propri della maggioranza uscita vittoriosa alle elezioni - idonee a ricoprire l'incarico di componente la giunta municipale.
Scheda n. 9
Statuto comunale e disciplina della revoca del Presidente del Consiglio.
TAR SICILIA, Catania, 18.05.2015, n. 1326
La sentenza ha ad oggetto la delibera n. 9 del 30.01.15 con la quale il Consiglio comunale di Valdina ha approvato la mozione di revoca del Presidente del Consiglio comunale e la successiva delibera n. 12 del 1.3.15 con la quale lo stesso Consiglio ha eletto il sig. Carmelo Lo Surdo, quale Presidente dell'assemblea.
I ricorrenti ne denunciavano la violazione dell'art. 11-bis l.r. n. 35/1997, come introdotto dalla l.r. n. 6/2011, e l'eccesso di potere. Sotto il primo profilo lamentavano che la delibera di revoca fosse stata adottata con il voto della maggioranza semplice dei consiglieri, come previsto dallo Statuto comunale, e non con la maggioranza dei 2/3 dei consiglieri, come previsto dalla normativa regionale alla quale lo Statuto non era stato adeguato. Sotto il secondo profilo, lamentavano che la delibera fosse stata illegittimamente assunta per motivazioni "politiche", risultando inesistenti le pretese inadempienze ai doveri propri della carica formalmente addotte.
Quanto al primo profilo il Giudice richiama le motivazioni della sentenza n. 1039/2014 della Sezione terza del TAR Sicilia, Catania:
«la legge regionale sopra indicata (n. 6/2011), dopo aver previsto, al primo comma dell'art. 10, che "nei confronti del presidente del consiglio provinciale e del presidente del consiglio comunale può essere presentata, secondo le modalità previste nei rispettivi statuti, una mozione motivata di revoca. La mozione, votata per appello nominale ed approvata da almeno i due terzi dei componenti del consiglio, determina la cessazione dalla carica di presidente.", dispone al secondo comma che "entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni e le province regionali adeguano i propri statuti alle disposizioni di cui all'art. 11–bis della legge regionale 15 settembre 1997, n. 35, introdotto dal comma 1": così prefigurando un (mero) obbligo di adeguamento dei Comuni a quelle nuove regole, piuttosto che una loro sostituzione automatica, sia pur postergata nel tempo, a quelle preesistenti.
In proposito, occorre rammentare che il vigente ordinamento delle autonomie locali, così come risultante dalla modifica del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione, operata dalla legge costituzionale n. 3/2001, prevede, sì, un sistema di limiti alla possibilità di esercizio dell'autonomia normativa riconosciuta a Comuni e Province, ma non già un potere di sostituzione – escluse le ipotesi eccezionali contemplate dall'art. 120 Cost. – da parte dei superiori livelli di Governo nella concreta esplicazione delle potestà normative loro attribuite. Costituisce dunque una fedele rappresentazione dell'assetto normativo esistente la previsione del secondo comma dell'art. 4 della L. n. 131/2003, secondo cui "Lo Statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legislazione statale in attuazione dell'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell'ente".
Nell'ambito della Regione Siciliana, stante i più ampi margini che l'ordinamento riconosce alla stessa quanto all'esercizio di potestà normative, il compito di rilevare "i principi generali in materia di organizzazione pubblica" condizionanti l'esercizio della potestà statutaria da parte dei minori enti locali spetta innanzitutto alla legislazione regionale, in forza della riserva di competenza prevista dall'art. 14, lettera o) dello Statuto Regionale - e sempre che nell'esercizio dei relativi poteri sia stato rispettato il limite posto dal legislatore costituzionale con il primo comma del medesimo art. 14, ovvero i " limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano"».
Sulla base di tali premesse il TAR ritiene che l'obbligo di adeguamento degli statuti comunali entro il termine di 90 giorni dalla entrata in vigore della legge, previsto dal secondo comma dell'art. 10 della L. R. n. 6/2011, non autorizzi in alcun modo, a ritenere che la previsione del primo comma del medesimo art. 10 abbia automaticamente sostituito, a far data dal 01.04.2012 – data di entrata in vigore della legge regionale -, la previgente previsione dello Statuto del Comune di Valdina.
Né possono ritenersi decisive le considerazioni in ordine all'assetto discendente dallo Statuto regionale siciliano - relative al "parallelismo delle funzioni" ed alla "competenza amministrativa generale non attribuita ai comuni" - trattandosi di profili non direttamente riferibili alla riserva statutaria di (auto)disciplina del funzionamento dell'organo consiliare, mentre nella citata sentenza n. 1039/2014 le peculiarità siciliane risultano adeguatamente ed esaustivamente vagliate.
Con riferimento alla dedotta contraddittorietà rispetto alla modifica apportata al Regolamento consiliare, si richiama l'affermazione secondo la quale l'istituto della "revoca" del presidente del consiglio comunale rientra nel novero delle "norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente" e pertanto trattasi di istituto destinato ad essere regolato dallo Statuto comunale (TAR Catania Sez. 3^, sent. n. 1304/2011 che richiama C.g.a. 31.12.2007, n. 1175, secondo cui "l'istituto della revoca del presidente del consiglio comunale può essere legittimamente disciplinato solo dallo «statuto» dell'ente locale e solo in tale ambito eventuali norme regolamentari possono determinare, esclusivamente, le procedure relative all'applicazione dell'istituto").
In assenza, tra l'altro, di specifica impugnazione dello Statuto, il Collegio ritiene che non si possa automaticamente procedere alla disapplicazione dello stesso.
Di conseguenza, poiché la deliberazione impugnata è stata approvata con la maggioranza prevista dalla norma statutaria, non direttamente incisa dalla norma di legge regionale, essa deve ritenersi perfettamente valida.
Con riferimento al secondo profilo di censura, relativa alla asserita motivazione "politica" della revoca, osserva il Giudice che la delibera risulta motivata con riferimento a circostanze specifiche relative all'attività di Presidente del Consiglio, così che può escludersi la natura meramente politica dell'atto.
Scheda n. 10
Illegittimità dell'enunciazione meramente verbale di un emendamento al P.R.G.
TAR SICILIA, Catania, 9.04.2015, n. 1056
La mera enunciazione verbale di un emendamento al P.R.G. non conferiva ai consiglieri sufficienti elementi conoscitivi poiché non consentiva di mettere a raffronto tali emendamenti con lo schema di massima approvato dalla Giunta e proposto per l'approvazione consiliare, al fine di valutarne la portata e l'incidenza. L'omessa allegazione alla proposta di emendamento della documentazione cartografica necessaria a dare effettiva contezza delle modifiche apportate, rende illegittima la delibera impugnata con la quale tali modifiche sono state approvate a maggioranza senza l'apporto dialettico dei consiglieri ricorrenti che, seppure costituenti minoranza nell'ambito del Consiglio comunale, vantano diritto imprescindibile ad esercitare in toto il proprio mandato anche proponendo obiezioni e critiche concrete che possono fornire al Consiglio spunti di riflessione e incidere sulla delibera finale.
Diversamente opinando si finisce con lo snaturare la funzione del consigliere comunale relegandola a quella di acritico e ignaro ratificatore di decisioni assunte aliunde, così svuotando di contenuto il suo ruolo istituzionale e riducendolo ad un vuoto simulacro.
Scheda n. 11
Norme statutarie sulla pubblicazione dei bandi di concorso.
CONS. STATO, Sez. V, 8.06.2015, n. 2801
Secondo la tesi del ricorrente il bando di concorso oggetto di causa non avrebbe necessitato di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, in quanto il Comune avrebbe diversamente disposto nell'esercizio della propria potestà normativa tanto ai sensi dell'art. 70 del proprio Statuto e dell'art. 36 del proprio Regolamento sull'ordinamento generale degli uffici e dei servizi.
La Sezione in proposito si richiama alla contraria impostazione seguita, in una simile vicenda riguardante lo stesso Ente locale, in occasione della sentenza 16 febbraio 2010 n. 871, con la quale una prospettazione affine a quella proposta dall'odierno appellante è stata appunto disattesa.
In tale pronucnai la Sezione ha sviluppato le seguenti osservazioni:
«... ritiene il Collegio che la mancata pubblicazione, per estratto, del bando di concorso per la copertura di un posto di Comandante del Corpo dei Vigili Urbani, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, contrasti insanabilmente con l'art. 4 del D.P.R. n. 487/94, che prescrive la pubblicazione del bando di concorso per l'accesso all'impiego nella Gazzetta Ufficiale ed in particolare, per gli enti locali, prevede la possibilità di sostituire la pubblicazione del bando con l'avviso di concorso contenente gli estremi del bando e l'indicazione della scadenza del termine per la presentazione della domanda (comma 1 bis).
Né tale disposizione può considerarsi in contrasto con l'art. 35, comma 3 lett. a) del D.Lgs. n. 165/2001, recante principi in materia di procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, che si limita a prescrivere "adeguata pubblicità della selezione", senza nulla specificare in ordine alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Invero, le disposizioni di dettaglio contenute nella fonte regolamentare servono a completare la norma di rango legislativo, costituendone coerente e conforme specificazione. Esse non possono, pertanto, essere disapplicate, in quanto conformi alla norma di rango superiore ed allo stesso dettato degli articoli 51 e 97 della Costituzione, che garantiscono il diritto di accesso agli impieghi pubblici di tutti i cittadini su di un piano di parità, esercitabile solo attraverso un sistema di pubblicità che favorisca la massima partecipazione.
Non può poi essere accolto il motivo, secondo cui il Regolamento comunale sull'ordinamento generale degli uffici e dei servizi approvato con delibera n. 648 del 24.9.1997, ammette, all'art. 36, forme di pubblicità ridotta rispetto a quella imposta dalla normativa generale.
Invero, il Regolamento prevede la pubblicazione del bando o dell'avviso "nel rispetto delle procedure vigenti alla data di approvazione del bando". Dunque esso non esclude, ma anzi conferma l'applicazione dell'art. 4 del D.P.R. n. 487. La previsione circa la pubblicazione del bando all'Albo Pretorio comunale va in questo senso considerata come necessaria integrazione, attesa la facoltà del Comune di pubblicare in Gazzetta Ufficiale solo l'estratto con gli estremi del bando e la data di scadenza della domanda.
Non assume in merito rilievo la questione circa la possibilità riconosciuta ai Comuni di disciplinare, con proprio regolamento, ai sensi dell'art. 89 D.Lsl. n. 267/2000, l'ordinamento degli uffici e dei servizi, poiché il Regolamento comunale, per quanto detto, non autorizza affatto a ritenere superato il precetto regolamentare costituito dall'art. 4 del D.P.R. n. 487.» (Sez. V, n. 871/2010 cit.; un'impostazione simile è stata seguita dal C.G.A.R.S. con la sentenza 12 dicembre 2013 n. 934, che ha soggiunto che l'obbligatorietà della pubblicazione dei bandi nella Gazzetta Ufficiale è stata confermata anche dall'art. 32 della legge n. 69/2009).
La Sezione, quindi, ribadisce l'infondatezza dell'assunto che l'art. 36 del Regolamento comunale appena menzionato avesse esonerato il Comune di Sant'Agata de'Goti dalla pubblicazione del proprio bando concorsuale a norma di legge.
Questa conclusione a più forte ragione s'impone con riferimento alla previsione dell'art. 70 dello Statuto comunale, anch'esso invocato dall'odierno appellante. Tale articolo si limita invero a prevedere, in termini del tutto generici, che "Nella sede comunale, in luogo accessibile, è collocato l'Albo Pretorio per la pubblicazione delle deliberazioni, delle ordinanze, dei manifesti e di tutti gli atti che devono essere portati a conoscenza del pubblico." Nemmeno la norma statutaria dà pertanto mostra in alcun modo di voler innovare ai precetti, sopra menzionati, dell'art. 4 del d.P.R. n. 487/1994.
Scheda n. 12
Ambiti di normazione comunale relativi all'installazione di stazioni radio-base
CONS. STATO, sezione III, 26.06.2015, n. 3224
Quanto al potere pianificatorio di introdurre criteri localizzativi degli impianti di telecomunicazione (nel caso di telefonia mobile), la giurisprudenza ha affermato in generale che lo stesso non può tradursi in limiti di localizzazione per intere ed estese aree del territorio comunale (cfr., fra le altre, sezione III n. 1873/2013) per di più indirizzati a scopi di radioprotezione, che esulano dalla sfera dei poteri assegnati ai Comuni.
Rientra però nelle competenze comunali l'introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole anche a tutela di zone e beni di particolare pregio ambientale, paesaggistico o storico-artistico, e il Comune può adottare, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizio-urbanistica, misure che, escluso il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, misure tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc...), funzionali al governo del territorio.
Scheda n. 13
Ambiti di normazione comunale relativi all'installazione di stazioni radio-base
CONS. STATO, sezione III, 18.06.2015, n. 3085
La legge n. 36 del 22 febbraio 2001 (legge quadro sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), ha, fra l'altro, disciplinato l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per la telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ed ha assegnato ai Comuni il potere di adottare un regolamento «per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici» (art. 8, comma 6).
Tale potere è espressione dell'autonoma e fondamentale competenza che i Comuni hanno nella disciplina dell'uso del territorio e può tradursi nell'introduzione di regole poste a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico, o ambientale, o storico artistico, ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, nell'individuazione di siti che, per destinazione d'uso e qualità degli utenti, possano essere considerati "sensibili" alle immissioni radioelettriche, e quindi inidonei alle installazioni degli impianti (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 306 del 23 gennaio 2015, Sez. VI, n. 3282 del 25 maggio 2010).
Sebbene tale disposizione preceda l'entrata in vigore del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d.lgs. n. 259 del 1 agosto 2003, la giurisprudenza ha chiarito che la citata disposizione dettata dall'art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001 trova pacifica applicazione anche nei procedimenti, riguardanti le installazioni di infrastrutture di comunicazione elettronica, disciplinati ora dall'art. 87 del d.lgs. n. 259 del 1° agosto 2003 (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 898 del 17 febbraio 2010).
Sulla base di tale normativa e delle ulteriori disposizioni dettate, in materia di esposizione ai campi elettrici e magnetici, dalla legge della Regione Umbria n. 9 del 14 giugno 2002, il Comune di Umbertide ha, quindi, inteso disciplinare la futura collocazione degli impianti di comunicazione elettronica, attraverso un apposito regolamento che detta la disciplina generale per il rilascio delle autorizzazioni per l'installazione di impianti radio base di telefonia mobile, prevede regole generali (ed astratte) di regolamentazione dei procedimenti per la corretta installazione degli impianti, e costituisce il parametro per valutare la legittimità degli atti autorizzativi.
Quanto ai contenuti che, in generale, può avere il regolamento comunale previsto dall'art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, la giurisprudenza ha affermato che, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti, i comuni possono dettare regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali etc.). I comuni non possono però imporre limiti generalizzati all'installazione degli impianti se tali limiti sono incompatibili con l'interesse pubblico alla copertura di rete del territorio nazionale (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 723 del 14 febbraio 2014).
In conseguenza non sono stati ritenuti legittimi limiti alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile, eventualmente contenuti nella disciplina regolamentare comunale, di carattere generale, e riguardanti intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1955 del 16 aprile 2014, Sez. VI, n. 9414 del 27 dicembre 2010). Né si è ritenuto possibile imporre limiti di carattere generale giustificati da un'esigenza di tutela generalizzata della popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvede lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1955 del 16 aprile 2014), il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici.
Anche la Corte costituzionale, nell'esaminare la legittimità costituzionale di disposizioni dettate (con legge) dalla Regione Lombardia che prevedevano distanze minime da una serie di siti sensibili, ha affermato, con le sent. n. 331 e n. 307 del 2003, il principio che tali disposizioni sono illegittime se pongono limiti generali che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbero addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, con la conseguenza che i «criteri di localizzazione» si trasformerebbero in «limitazioni alla localizzazione». Mentre le disposizioni poste a tutela di siti sensibili sono legittime se comunque consentono «una sempre possibile localizzazione alternativa» e non «l'impossibilità della localizzazione».
In proposito, anche la Sezione III ha di recente affermato (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 306 del 23 gennaio 2015) che si deve ritenere consentito ai Comuni, nell'esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell'ultimo inciso del comma 6 dell'art. 8 della legge n. 36 del 2001.
Nel regolamento comunale possono, infatti, essere ammessi anche limiti di carattere generale all'installazione degli impianti purché sia comunque garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale.
In conseguenza possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono (in generale) la localizzazione degli impianti nell'area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole ed ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree.
Sulla base di tali considerazioni non possono ritenersi illegittime le disposizioni contenute nel regolamento del Comune di Umbertide che limitano (o impediscono) la collocazione di nuovi impianti in determinate aree del territorio comunale posto che comunque tali limitazioni non è stato dimostrato che impediscono la realizzazione della rete delle infrastrutture elettroniche.
Scheda n. 14
Potere di ordinanza e termine temporale di efficacia
TAR Lazio, Roma, 1.04.2015, n. 4947; TAR Lazio, Roma, 1.04.2015, n. 4950; TAR Lazio, Roma, 1.04.2015, n. 4951
Quanto alle ordinanze contingibili ed urgenti, è stato chiarito (Tar Palermo, sez. III, 3 marzo 2015, n. 593) che esse derogano al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, al fine di consentire alla P.A. di sopperire a situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l'uso dei poteri autoritativi ordinari. Elemento indefettibile di tali atti è, però, la precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge (Tar Salerno, sez. II 20 maggio 2014, n. 942). Giova aggiungere (Tar Lazio, sez. II ter, 18 febbraio 2015, n. 2773) che il carattere della contingibilità esprime l'urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale ed imminente e a ciò è correlato necessariamente il carattere della provvisorietà, che implica che le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata.
Tale conclusione si estende anche all'ipotesi in cui l'ordinanza impugnata noi sia ascrivibile al genus delle ordinanze contingibili ed urgenti, non potendo essere inibita l'agibilità di un immobile a tempo indefinito.
Scheda n. 15
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Campania, Napoli, 5.06.2015, n. 3064
La sentenza accoglie uno de motivi del ricorso (il quinto) fondato sul carattere definitivo e non interinale e provvisorio (essendosi disposta la demolizione e non la disattivazione temporanea dell'impianto) dell'ordinanza contingibile ed urgente di cui è causa, laddove, per costante giurisprudenza l'ordinanza contingibile ed urgente è destinata a far fronte ad esigenze di carattere eccezionale ed imprevedibile, non fronteggiabili con i rimedi ordinari previsti dall'ordinamento e quindi per sua natura non può che essere di carattere temporaneo (cfr. ex multis da ultimo T.A.R. Trento (Trentino-Alto Adige) sez. I , 29/01/2014, secondo cui "Il Sindaco può ricorrere motivatamente allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente unicamente al fine di fronteggiare con immediatezza sia una situazione di natura eccezionale ed imprevedibile (in attesa dell'adozione delle misure ordinarie), sia una condizione di pericolo imminente al momento dell'adozione dell'ordinanza, indipendentemente dalla circostanza che la situazione di emergenza fosse sorta in epoca antecedente. Indispensabile, comunque, è sempre la sussistenza, l'attualità e la gravità del pericolo, cioè il rischio concreto di un danno grave e imminente. Più precisamente: urgenza di provvedere significa indilazionabilità; la contingibilità presuppone una situazione di provvisorietà e di temporaneità che caratterizza anche l'intervento da porre in essere, il quale non può assolutamente tramutarsi in una misura ordinaria").
Scheda n. 16
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Campania, Napoli, 5.06.2015, n. 3064
L'ordinanza contingibile ed urgente costituisce una misura di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche (peraltro in assenza di pericolo accertato e senza un termine finale di efficacia) che l'art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell'Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2002, n. 3095, 20 dicembre 2002, n. 7274, 14 febbraio 2005, n. 450, 5 agosto 2005, n. 4159;sez. VI, 1° aprile 2003, n. 1226, 30 maggio 2003, n. 2997, 30 luglio 2003, n. 4391; 26 agosto 2003, n. 4841, 15 giugno 2006, n. 3534);
Inoltre, per costante giurisprudenza, l'esercizio del potere sindacale di emanare ordinanze contingibili ed urgenti non può prescindere dalla ricorrenza di un pericolo concreto ed attuale di danno grave ed imminente per la salute pubblica, che richieda interventi non dilazionabili, al quale non possa provvedersi con mezzi ordinari. Ne discende che dette ordinanze devono normalmente essere precedute da un'attività istruttoria finalizzata all'accertamento della situazione di grave pericolo, concreto ed attuale, per il bene protetto della salute pubblica o dell'incolumità dei cittadini (cfr. ex multis, T.A.R. Campania, sez. I, 13 giugno 2005, n. 7804).
Per contro, nell'ipotesi di specie il Comune ha omesso di procedere ai necessari accertamenti tecnici, sia prima dell'adozione dell'ordinanza di cui è causa (motivo questo in grado da solo di determinarne l'illegittimità), sia dopo il disposto remand, adottato dalla Sezione sulla base del solo rilievo del carattere provvisorio del parere reso dall'ARPAC.
Scheda n. 17
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Campania, Napoli, 1.06.2015, n. 3011
È inveterato insegnamento dottrinale l'assunto che le ordinanze – delle quali quelle contingibili ed urgenti ex art. 50, d.lgs. n. 267/2000 costituiscono una species – nella sistematica giuridica vengono annoverate tra gli ordini, che sono atti autoritativi espressione della potestà di imperio della pubblica amministrazione con i quali vengono imposte ai privati determinate prestazioni o attività finalizzate al perseguimento di specifici obiettivi di interesse pubblico nel caso concreto, per lo più afferenti alla pubblica incolumità, all'ordine pubblico e all'igiene e sanità pubblica, facendosi l'esempio degli ordini di abbattimento di animali affetti da malattie epidemiche e diffusive, degli ordini di requisizione della proprietà privata per soddisfare eccezionali e temporanee esigenze pubbliche, delle ordinanze di messa in sicurezza di edifici privati pericolanti etcetera.
Il tratto caratteristico che accomuna siffatti ordini è individuabile sotto il profilo oggettivo e contenutistico nell'imposizione di talune prestazioni o attività e, correlativamente, nella natura afflittiva del provvedimento, mentre sotto il profilo finalistico nella sua preordinazione a soddisfare esigenze di interesse pubblico, oltretutto cagionate da situazioni impreviste, imprevedibili ed eccezionali e come tali determinanti l'urgenza di provvedere.
Scheda n. 18
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Lazio, Roma,18.02.2015, n. 2773
Secondo la giurisprudenza, "la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto ed attuale, che impone di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem, per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi è, inoltre, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento. Il carattere della contingibilità esprime l'urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente e a ciò è correlato necessariamente il carattere della provvisorietà, che implica che le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata. Infine, il potere di ordinanza presuppone che la sussistenza di situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo sia suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione" (T.A.R. Catanzaro, Calabria, sez. I 25 giugno 2013 n. 709; ex plurimis, v. anche T.A.R. Cagliari, Sardegna, sez. I 01 agosto 2014 n. 681, Consiglio di Stato sez. V 25 maggio 2012 n. 3077 ).
Dunque, affinché il Sindaco possa esercitare il proprio potere di ordinanza a tutela della salute e della pubblica incolumità è necessario che sia accertato con ragionevole precisione e determinatezza, l'incombente pericolo di un danno grave alla pubblica incolumità, che non sia possibile prevenire o impedire con il ricorso ai normali mezzi apprestati dall'ordinamento.
Dall'esame degli atti versati in giudizio, per il Tar Lazione, non si evincono né i presupposti di gravità, né l'imprevedibilità e l'imminenza del pericolo, né l'esistenza di ragioni che impediscano il ricorso agli strumenti ordinari previsti dall'ordinamento (ad esempio, alla possibilità di esperire azioni di tipo civile a tutela della proprietà).
Il Rapporto 2396 del 10/05/2010, versato in copia in atti, riferisce che, al momento del sopralluogo effettuato dal personale ivi indicato "il disagio non si verificava, ma si evidenziavano le tracce delle infiltrazioni sul pavimento e sui muri adiacenti, lasciando intuire che il problema verificatosi in precedenza potrebbe ripetersi. Tutto quanto lamentato potrebbe costituire un serio disagio igienico-sanitario, limitando se non pregiudicando in maniera definitiva la funzione del magazzino, situato al piano interrato ed annesso all'attività commerciale tramite scala interna".
Pertanto, il principale presupposto motivo, determinante l'adozione del provvedimento impugnato, si fonda su una mera probabilità del verificarsi di un inconveniente igienico sanitario, senza nessun accertamento in concreto della sua entità, della ragionevolezza e verosimiglianza del pericolo.
Nel caso, dunque, nessuna certezza è dato di evincersi nell'atto di accertamento dell'inconveniente igienico sanitario, ed il presupposto di fatto dal quale scaturisce l'ordinanza impugnata è così generico da non consentire neppure di apprezzare l'esistenza di specifiche ragioni che, in concreto, legittimino l'autorità sanitaria locale ad intervenire nel contesto condominiale descritto, anche in relazione alle differenti e controverse responsabilità tra privati (e tutto ciò a tacere della rilevanza del mancato accertamento circa l'incidenza che possano avere avuto i lavori effettuati sulla pubblica via che, secondo i ricorrenti, avrebbero interferito con la rete di scolo esistente).
Scheda n. 19
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CONS. STATO, 29.05.2015, n. 2697
Il primo giudice ha inteso negare al provvedimento amministrativo, impugnato in primo grado, la natura di ordinanza contingibile ed urgente, affermando che «il provvedimento sindacale impugnato, l'ordine di adeguamento ai limiti di attenzione sulla base degli accertamenti dell'ARTA, è un provvedimento assunto dal Comune sulla base dei suoi poteri di vigilanza, come sopra enunciati, e non può essere qualificato come ordinanza contingibile ed urgente», posto che il Sindaco avrebbe appunto e invece inteso esercitare, come prevede l'art. 14, comma 1, della l. 36/2001, una doverosa vigilanza sugli impianti per assicurare il rispetto dei tetti di radiofrequenza.
Tale valutazione è erronea, poiché il provvedimento impugnato ha, al contrario, natura di ordinanza contingibile ed urgente non solo sul piano formale, per il richiamo espresso alla disposizione dell'art. 54, comma 4, del T.U.E.L., ma anche e soprattutto sul piano sostanziale, per la ritenuta urgenza di adottare, come si legge in esso, «un provvedimento idoneo alla eliminazione degli inconvenienti segnalati già da anni e non ulteriormente differibili nel preminente interesse della comunità, trattandosi di limiti imposti a tutela della salute pubblica».
Così correttamente inquadrata l'ordinanza, nel suo significato letterale e sostanziale, è allora assorbente e radicale il vizio di legittimità oltre che di difetto di motivazione denunciato, in quanto il Comune ha inteso, con l'ordinanza impugnata in primo grado, esercitare il potere di cui all'art. 54, comma 4, del T.U.E.L., senza che ne ricorressero i presupposti, giacché non è possibile ravvisare nel caso di specie l'urgenza qualificata prevista dalla disposizione, essendo la situazione evidenziata dal provvedimento – il preteso superamento dei c.d. valori di attenzione – tutelabile con gli strumenti ordinari e non integrando essa quel carattere di straordinarietà capace di giustificare l'emanazione dell'ordinanza contingibile ed urgente.
È la stessa ordinanza a chiarire anzi che essa è finalizzata ad eliminare «gli inconvenienti segnalati già da anni e non ulteriormente differibili nel preminente interesse della comunità», risultando ben chiaro, dalla sua lettura, la permanenza di una situazione che, laddove i valori di attenzione fossero stati effettivamente superati, si sarebbe potuta e dovuta fronteggiare con gli ordinari strumenti.
Scheda n. 20
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CONS. STATO, sez. V, 22.05.2015, n. 2583
Il Servizio antincendi e di protezione civile, dopo aver esercitato l'attività ispettiva sulla struttura ricettiva, ed ordinato gli interventi di messa in sicurezza, sollecitò formalmente il Comune, con nota in data 22.02.2008, all'adozione degli "opportuni e necessari provvedimenti di competenza considerate le gravi carenze rispetto a quanto previsto dalla norma tecnica di riferimento per l'attività alberghiera".
In successione cronologica dopo la ricezione della nota-diffida a provvedere, il Comune, senza soluzione di continuità, ha dato avvio ad una vera e propria indagine istruttoria – documentata seppure ex post dalla relazione del responsabile del procedimento depositata – per il tramite di riunioni e colloqui fra i funzionari comunali, il comandante dei vigili del fuoco del Comune e il responsabile del servizio antincendi della Provincia.
All'esito dell'attività istruttoria deformalizzata per l'urgenza di provvedere ma effettivamente eseguita, avuta conferma della situazione di pericolosità della struttura ricettiva priva degli standard minimi di sicurezza, altresì aggravata dall'ubicazione dell'albergo che non "consentiva l'arrivo dei mezzi di soccorso e quindi il tempestivo intervento in caso di emergenza", il Sindaco ha adottato l'ordinanza contingibile ed urgente impugnata.
Sicché, lungi dall'essersi immotivatamente sovrapposto all'autorità competente, il Sindaco ha adottato l'ordinanza contingibile ed urgente per fronteggiare una situazione di pericolosità per l'incolumità sia dei clienti dell'albergo che del personale in esso impiegato.
Scheda n. 21
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
Parere CONS. STATO, 16.06.2015, n. 1747
L'ordinanza contingibile ed urgente, prevista dagli art. 50 e 54 d.lgs. n. 267/2000, è espressione di un potere atipico e residuale (c.d. ordinanza extra ordinem). È presupposto indispensabile per la sua adozione l'esistenza di un pericolo per l'incolumità pubblica, che si presenti con carattere di eccezionalità tale da rendere indispensabili interventi immediati e indilazionabili, consistenti nell'imposizione di obblighi di fare o di non fare a carico del privato, autore della situazione di pericolo creatasi. Deve trattarsi di situazioni di carattere eccezionale e impreviste, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico: tali requisiti non ricorrono di conseguenza, quando le Pubbliche Amministrazioni possono adottare i rimedi di carattere ordinario.
Tale ordinanza deve avere, come requisito di legittimità formale, una motivazione che dia conto della sussistenza concreta dei presupposti previsti dalla legge (necessità d'immediata e tempestiva tutela d'interessi pubblici che, in ragione della situazione di emergenza, non potrebbero essere protetti in modo adeguato ricorrendo a vie ordinarie) e costituisce espressione di un'elevata discrezionalità diretta a soddisfare esigenze di pubblico interesse (onde porre rimedio a danni già verificatisi, ma anche e soprattutto per evitare che un danno si aggravi o si verifichi).
Pertanto, ai sensi degli art. 50 e 54 del T.U. delle disposizioni sugli enti locali (nella versione successiva alla sentenza della Corte costituzionale n. 115/2011), per giustificare il ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente il collegamento con le esigenze di protezione dell'incolumità pubblica costituisce presupposto necessario ma non sufficiente, qualora non sussistano gli ulteriori particolari requisiti di imprevedibilità (vedasi anche Cons. di Stato, Sez. I affare n. 762/2013 parere n. 3749/2013.
Nel caso di specie (ordinanza n. 6 del 29 aprile 2013 con cui il Sindaco di Biella ha ordinato al signor Roberto Landoni, ritenuto proprietario del muro sito su una via pubblica, di provvedere, entro 5 giorni dalla notifica, alla verifica statica ed alla messa in sicurezza del muro di cui trattasi e della relativa ripa) non si rivengono tali pericoli o necessità di tutela d'interessi pubblici ed il Comune di Biella non fornisce prova sufficiente che il ricorrente sia effettivamente proprietario del muro in questione.
Scheda n. 22
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
Parere CONS. STATO, 16.06.2015, n. 1733
L'impugnata ordinanza d'immediata cessazione dell'utilizzazione e di sgombero dell'immobile è stata espressamente emessa sulla base di un sopralluogo effettuato da un gruppo di vigilanza interforze composto da vigili del fuoco, Polizia municipale e carabinieri, il quale ha appurato tra l'altro - e segnalato all'azienda usl competente, che ha fatto proprie quelle segnalazioni - "l'assoluta antigienicità dei locali adibiti ad uso diverso da quello produttivo, oltre che per i valori dimensionali, anche per la scarsa aerazione e illuminazione, per un inadeguato sistema di smaltimento dei fumi e dei vapori di cucina e in generale per il degrado e la carente manutenzione sia delle suppellettili che, in generale dell'impianto di smaltimento delle acque".
L'ordinanza ha considerato, tra l'altro: a) la contestazione da parte dei vigili del fuoco di infrazioni riguardanti le uscite di sicurezza, la mancata informazione e formazione dei lavoratori alla gestione dell'emergenza e all'uso di mezzi di estinzione; l'omessa o carente installazione dei mezzi d'illuminazione; l'omessa installazione di apposita segnaletica di sicurezza antincendio sussidiaria da impiegare in caso di necessità; il rinvenimento e la rimozione di nove bombole di gas non utilizzate in modo giusto; b) i rapporti della locale Asl 4 e dei vigili del fuoco indicanti, tra l'altro: la abusiva adibizione di vani a dormitorio; la realizzazione di vani cucina in condizioni igieniche inaccettabili e con presenza di bombole di gas e apparecchi a fiamma libera senza nessuna sicurezza; servizi igienici assolutamente inadeguati ed insufficienti per il numero delle persone presenti; gravi carenze d'igiene nei luoghi di lavoro; generali condizioni di vita insostenibili per sovraffollamento e promiscuità tra attività di riposo, lavoro, soggiorno.
In considerazione di ciò, l'impugnata ordinanza 7 aprile 2009 prot. n. 46638 supera le censure dei ricorrenti.
Alla data d'adozione dell'ordinanza risultava esserci grave degrado e pericolosità dei locali, diffusamente esposti nell'atto impugnato e documentati da qualificati organismi pubblici. Sicché non era dovuta una comunicazione dell'avvio del procedimento, date le esigenze di celerità (v. art. 7, comma 1, della legge 7 agosto 1990 n. 241) e la circostanza che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (v. art. 21-octies della stessa legge n. 241/1990).
Date le circostanze, lo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente previsto dall'art. 54 d.lgs. n. 267/2000 è stato correttamente applicato al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, così come previsto dal comma 4 dell'art. 54 citato.
E ciò anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 115/2011, la quale nel dichiarare l'illegittimità costituzionale del citato comma 4, nella parte in cui comprendeva la parola «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti», ha ristretto l'ambito applicativo della disposizione, consentendo l'esercizio del potere eccezionale d'ordinanza del sindaco quale ufficiale del Governo a quelle sole circostanze contingibili e urgenti.
L'atto sindacale, altresì, espone diffusamente – come sopra rilevato - i presupposti e le circostanze su cui si fonda, sicché non sussite il vizio di motivazione denunciato dai ricorrenti.
Scheda n. 23
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CONS. STATO, Sez. III, 1.04.2015, n. 1727
L'esame dell'ordinanza impugnata va condotto alla luce dei presupposti individuati dalla giurisprudenza per l'adozione dei provvedimenti contingibili e urgenti - purché adeguatamente motivati e proporzionati rispetto alla situazione che si intende fronteggiare - da parte delle autorità amministrative a ciò preposte da rinvenirsi: a) da un lato, nell'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (urgenza); b) dall'altro lato, nell'impossibilità di provvedere con gli ordinari mezzi offerti dalla legislazione (contingibilità). Si tratta, a ben vedere, di atti connotati da un elevato grado di specificità e dal contenuto non predeterminabile proprio in quanto sintomatici di una realtà imprevedibile e verosimilmente temporanea. Pertanto ciascuna ordinanza è caratterizzata dagli specifici motivi che la sostengono e va interpretata nei limiti delle motivazioni espressamente addotte senza poter da essa desumere ulteriori e diverse implicazioni, in relazione alla specificità e alla straordinarietà dello strumento utilizzato, connotato dalla urgenza e quindi presumibilmente adottabile anche in mancanza di una adeguata istruttoria.
Analizzata in tale prospettiva, è del tutto evidente che la motivazione della ordinanza n. 42 del 24 marzo 2009 individua nel solo dato del superamento dei livelli di diossina in alcuni campioni di latte di carne bovina il presupposto che giustifica il provvedimento, affermando nel contempo che, secondo i diversi enti competenti, non è possibile identificare con certezza la fonte responsabile dell'emissione di quantità di diossina superiore ai limiti di legge. In attesa che i medesimi enti diano "espressa comunicazione dei soggetti ed attività inquinanti", il Sindaco adotta una serie di misure a salvaguardia della salute pubblica e della sicurezza pubblica a carico di numerosi soggetti tra le quali la sospensione dell'attività della Copersalento s.p.a, ai fini dello svolgimento di procedure di pulizia delle condotte e dei filtri nonché di adeguamento dell'impianto.
Data la natura eccezionale del provvedimento esso deve essere rigorosamente considerato nei limiti delle motivazioni e delle finalità di urgenza che ne giustificano l'adozione, non potendo dar luogo ad interpretazioni estensive o deduttive né tantomeno condurre a legittimare nessi di causalità o addebiti di responsabilità non espressamente contestati nella ordinanza stessa.
Scheda n. 24
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Puglia, Lecce, 21.05.2015, n. 1703
L'assenza di condizioni di urgenza e indefettibilità degli interventi nonché di pericolo per la salute dei cittadini, confermata anche dalla assenza di riferimenti puntuali nell'ordinanza impugnata, comporta l'insussistenza delle condizioni legittimanti l'emissione di un'ordinanza sindacale che ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 267/2000 disponga la messa in sicurezza d'emergenza; parimenti illegittimo è l'ordine di procedere alla bonifica, atteso che la competenza in via ordinaria ad adottare misure di ripristino e riparazione dei danni ambientali spetta alla Provincia ex art 244 del d.lgs. n. 152/2006 e la bonifica non è certamente una misura emergenziale.
Scheda n. 25
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Puglia, Lecce, 21.05.2015, n. 1702
Deve ritenersi legittimo il ricorso all'istituto dell'ordinanza contingibile e urgente per lo svolgimento del servizio in essere, in quanto la situazione di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente connessa alla gestione dei rifiuti, non fronteggiabile adeguatamente con le ordinarie misure, legittimava comunque il Sindaco all'esercizio dei poteri extra ordinem riconosciutigli dall'ordinamento giuridico (art. 50 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267).
Del resto, secondo un orientamento giurisprudenziale pienamente condiviso dalla sentenza, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti prescindono dall'imputabilità all'Amministrazione o a terzi ovvero a fatti naturali delle cause che hanno generato la situazione di pericolo: pertanto, di fronte all'urgenza di provvedere, non rileva affatto chi o cosa abbia determinato la situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere (Consiglio di Stato, Sez. V, del 9 novembre 1998 n. 1585; Tar Campania Napoli, Sez. I, 27 marzo 2000 n. 813).
Scheda n. 26
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Sicilia, Palermo, 3.07.2015, n. 1624
Il provvedimento impugnato è stato emanato, dal dirigente, in forza dei poteri attribuiti al sindaco dall'(ormai abrogato) art. 38 della l. n. 142 del 1990, così come trasposto nel testo unico per gli enti locali approvato con d. lgs. n. 267 del 2000. Quest'ultimo stabilisce che "il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana [...]" (comma 4) e che "se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui siano incorsi".
Sulla base di siffatta disposizione l'ordinanza di cui trattasi (ordinanza con cui il Comune di Bagheria ha intimato ai ricorrenti, nell'asserita qualità di proprietari di parte della stradella ricadente sulla particella n. 898, foglio 7 del medesimo Comune di Bagheria, l'esecuzione delle opere ivi specificate a salvaguardia della pubblica e privata incolumità), per la sua natura e contenuto, avrebbe dovuto essere emanata non già dal dirigente ma dal sindaco del Comune (anche, auspicabilmente, su proposta del primo).
Da ultimo, deve essere ricordato come l'art. 107, comma 5, del d. lgs. n. 267 del 2000 abbia, per un verso, stabilito che "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti" e che, per altro verso, ciò sia avvenuto "salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54". In sostanza, anche la previsione che ha attribuito ai dirigenti, in via generale, tutti gli atti "gestionali" già competenza del sindaco, ha fatto salva l'adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti che, quindi, continuano a rimanere oggetto di esclusiva attività dell'organo elettivo (Cass. pen. n. 15980 del 2014).
Scheda n. 27
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CONS. STATO, Sez. III, 20.03.2015, n. 1519
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, ed in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale (Cons. St., sez. V, 25.5.2012, n. 3077).
La costante giurisprudenza afferma che la contingibilità deve essere intesa come "impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi" e l'urgenza come "l'assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile" (Cons. St., sez. IV, 21.11.1994, n. 926).
L'ordinamento, in materia di emissioni dei campi elettromagnetici, già prevede strumenti tipici per fronteggiare il pericolo derivante dal superamento dei valori di attenzione – e tra questi, la delocalizzazione degli impianti e, in via di urgenza, la disattivazione degli impianti stessi da parte del competente Ministero – sicché l'adozione dell'ordinanza contingibile ed urgente, a fronte di una situazione fronteggiabile con gli ordinari strumenti previsti dalla disciplina in materia, non si giustifica e non appare debitamente motivata nel caso di specie.
Non si nega che, in situazioni eccezionali, il Sindaco – nell'esercizio del potere/dovere di controllo e di vigilanza sanitaria e ambientale riconosciutogli dall'art. 14, comma 1, della l. 36/2001 – possa esercitare i poteri di cui all'art. 54, comma 4, del T.U.E.L. anche in questa materia, come ha del resto chiarito anche la sentenza del CdS, sez. VI, 4.3.2013, n. 1260, essendo tale disposizione una norma di chiusura intesa ad ovviare a pericoli eccezionali e, cioè, a situazioni contingibili ed urgenti, nei termini sopra specificati, extra ordinem, ma appunto di pericoli eccezionali deve trattarsi, che non consentono il ricorso ad ordinari e tipici poteri amministrativi, e non di situazioni gravi, per quanto consolidatesi nel tempo, rimediabili con l'esercizio di poteri tipici.
L'art. 54, comma 4, del T.U.E.L., in altri termini, non consente al Comune di sostituirsi all'esercizio o al mancato esercizio di poteri spettanti ad altre autorità amministrative, che non risulta nel caso di specie – al di là di un generico e non chiaro riferimento ad "inconvenienti segnalati già da anni" – siano state tempestivamente interessate o sollecitate dal Comune, posto che è la stessa ordinanza sindacale ad avvertire, nella sua parte dispositiva, che "in caso di accertamento di situazioni di persistenza dei superamenti dei limiti fissati dalla legge per le emissioni di campi elettromagnetici" sarebbero stati "adottati dalle autorità competenti provvedimenti per la cessazione delle attività delle emittenti responsabili delle violazioni, in San Silvestro colle di Pescara".
Scheda n. 28
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CONS. STATO, Sez. V, 03.06.2015, n. 2713
L'ordinamento riconosce in generale al Sindaco un potere di ordinanza ai sensi dell'art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, espressione di un potere amministrativo extra ordinem, per fronteggiare situazioni di urgente necessità, nei casi in cui risultino insufficienti gli strumenti ordinari e, per quanto concerne specificamente la gestione dei rifiuti, vi è anche la specifica disciplina dell'art. 191 d.lgs. n. 152/2006, espressamente richiamata nel provvedimento impugnato, secondo cui il Sindaco può «emettere........ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti» e di tale strumento si è avvalso nelle more dell'individuazione del nuovo aggiudicatario del servizio con procedura aperta ai sensi dell'art. 83 del D.L.vo n. 163/2006, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
La disposizione contenuta nel medesimo art. 191, preordinata al superamento di particolari situazioni di emergenza nel ciclo dello smaltimento dei rifiuti mediante l'adozione di misure positive alternative all'ordinario assetto del sistema, non preclude l'esercizio di ulteriori poteri extra ordinem (Cons. st., sez. V, 25 agosto 2008, n. 4067).
Né nella vicenda in esame può disconoscersi la sussistenza di un reale e concreto pericolo per la popolazione brindisina derivante dalla sospensione del servizio essenziale di raccolta rifiuti a ciclo continuo e la legittimità quindi dell'adozione di un provvedimento extra ordinem in deroga alle disposizioni vigenti come espressamente ribadito anche dal suindicato art. 191 d.lgs. n. 152/2006, sicché non hanno fondamento le censure in ordine all'asserita carenza dei requisiti da parte della s.r.l. Monteco, che, in quanto gestore del servizio in base alla procedura annullata, era in grado di assicurare medio tempore la continuità del servizio fino all'espletamento della nuova gara.
Scheda n. 29
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Lazio, Latina, 15.04.2015, n. 344
La ricorrente denuncia che l'ordinanza con cui il Comune le ha imposto la prosecuzione della gestione del servizio è stata emanata in carenza dei presupposti dell'art. 50 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, cioè in assenza di una imprevedibile ed eccezionale situazione di pericolo insuscettibile di essere affrontata facendo ricorso agli ordinari strumenti previsti dall'ordinamento. Si tratta di rilievi chiaramente fondati; sarebbe infatti difficilmente contestabile che il Comune - ovviamente ben al corrente che alla data del 18 marzo 2014 il contratto con la ricorrente sarebbe scaduto - si sarebbe dovuto per tempo attivare per la selezione del nuovo gestore al fine di evitare che, alla prevista scadenza, si verificasse una soluzione di continuità nella gestione; ciò non è stato fatto per cui la situazione di pericolo creatasi costituisce la diretta responsabilità dell'inerzia e della negligenza dell'amministrazione che evidentemente non può pretendere di fronteggiarla obbligando un'impresa privata a gestire il servizio, oltretutto sine die (e in questa specifica prospettiva è fondato anche l'ulteriore rilievo secondo cui l'atto impugnato è illegittimo perché non fissa un termine di durata all'obbligo imposto alla ricorrente).
Scheda n. 30
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Abruzzo, L'Aquila, 15.04.2015, n. 285
Oggetto di gravame è l'ordinanza con cui il Sindaco di Sulmona aveva ordinato al ricorrente di non diffondere musica nel cortile del locale Nin Harra e di non consentire lo stazionamento di avventori dalle ore 22,00. L'ordinanza era stata adottata ai sensi degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dell'art. 9 della legge n. 447 del 1995.
In particolare, l'art. 54, comma 4, attribuisce al sindaco, quale ufficiale del Governo, il potere di adottare "provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione".
Peraltro, con specifico riferimento alla materia dell'inquinamento acustico, l'art. 9 della legge n. 447 del 1995 prevede che "1. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della giunta regionale, il prefetto, il Ministro dell'ambiente, secondo quanto previsto dall'articolo 8 della L. 3 marzo 1987, n. 59, e il Presidente del Consiglio dei ministri, nell'ambito delle rispettive competenze, con provvedimento motivato, possono ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività. Nel caso di servizi pubblici essenziali, tale facoltà è riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri".
Si tratta insomma di un'ordinanza contingibile ed urgente, con cui il Sindaco ha ritenuto di dover far fronte ad un immediato pericolo per la pubblica salute, costituito appunto dalle emissioni sonore provenienti dal locale del ricorrente.
Ciò premesso, secondo la costante giurisprudenza amministrativa, i presupposti per l'emissione dell'ordinanza extra ordinem sono fissati in maniera precisa dall'art. 9 della legge n. 447 del 1995, giacché, come risulta dal testo di essa, è previsto che ricorrano eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, cui deve farsi fronte, come specifica la norma, con misure di carattere temporaneo. La norma non ritiene sufficiente che sussista l'urgenza di provvedere, richiedendo che si tratti di situazione eccezionale, che non può sussistere laddove le circostanze da cui deriva la situazione dannosa abbia carattere permanente, giacché la nozione stessa di eccezionalità richiama l'idea di imprevedibilità di una situazione. A rimarcare ciò la norma richiede che le stesse misure adottate per fronteggiare la situazione eccezionale abbiano carattere di temporaneità (Tar Calabria, Catanzaro, n. 260 del 2010; Tar Umbria n. 722 del 2008).
Alla luce di tali considerazioni, l'ordinanza è illegittima, perché la situazione descritta nel provvedimento non risulta eccezionale, nel senso che non si ravvisano elementi che la connotino come tale (nella specie si tratta del rumore proveniente da un pubblico esercizio, prodotto sia dalla diffusione di musica all'interno di esso, sia dal vociare degli avventori che stazionano nel cortile di esso). Peraltro, le misure ordinate - consistite nella preclusione alla diffusione di musica nel cortile e allo stazionamento di avventori durante le ore notturne - non si connotano come temporanee.
Scheda n. 31
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CGA SICILIA, 19.03.2015, n. 276
L'ordinanza sindacale impugnata manca dei requisiti essenziali per potersi configurare come ordinanza contingibile ed urgente emessa dal Sindaco ai sensi dell'art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267/2000, a tenore del quale, "... in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale...".
Tali ordinanze si configurano - per espressa previsione legislativa - per essere legate ad "emergenze" (dunque a situazioni temporanee, imprevedibili o almeno imprevenibili) determinate da situazioni "contingibili" (legate dunque a fattori di contesto provvisori e rimuovibili) ed "urgenti" (dunque non altrimenti fronteggiabili se non attraverso i provvedimenti adottati).
Orbene, l'insieme di tali presupposti (e la ratio dunque del provvedimento adottabile) comporta l'insuperabile necessità che il provvedimento appaia il solo strumento immediatamente adottabile, in attesa degli ordinari e definitivi interventi atti a superare l'emergenza manifestatasi. Il che postula l'insuperabile necessità che le misure in questione siano anche connotate dal fatto di comportare un sacrificio degli interessi privati incisi limitato ad un tempo determinato. Giacché, diversamente, ne verrebbe un potere dell'Amministrazione esorbitante, fuori da ogni possibile controllo di esercizio e sostanzialmente persino potenzialmente ablativo delle situazioni di interesse sulle quali il provvedimento verrebbe ad incidere.
Orbene, nella fattispecie è pacifico che il provvedimento originariamente impugnato (ord. sindacale n. 111/OS del 28 giugno 2012, replicativa dell'analoga e precedente ordinanza n. 401/11, come integrata dalla OS n. 48/12) sia stato adottato "per ulteriori mesi 6 e, comunque, fino a quando non verrà riaperta alla pubblica fruizione la zona interdetta di tipo A" (evenienza relativamente alla quale viene inoltre espressamente chiarito che "non è certo il tempo entro il quale" essa possa verificarsi).
Tale provvedimento non può considerarsi a termine. L'espressione utilizzata (per ulteriori mesi 6 "e" comunque fino a quando) preclude infatti la possibilità di immaginare che l'ordinanza sia stata adottata per il termine massimo (ovviamente anche non rinnovabile) di mesi 6. E ciò non solo in considerazione dell'evidente intenzione dell'Amministrazione di prolungare con l'ordinanza in questione la durata nel tempo dei precedenti provvedimenti scaduti e di collegare quindi l'efficacia del provvedimento alla cessazione (dichiarata non prevedibile nei suoi tempi anche perché fatta dipendere da eventi che richiedevano un complesso insieme di interventi di difficile attuazione materiale), ma anche perché una interpretazione in quel senso (termine massimo fissato) si sarebbe giustificata solo in presenza di una congiunzione avversativa (se insomma il provvedimento avesse almeno detto: per ulteriori mesi 6 "o" comunque fino a quando).
Scheda n. 32
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Molise, Campobasso, 13.03.2015, n. 103
Non sussistono nel caso oggetto della sentenza i presupposti per l'adozione di una ordinanza contingibile ed urgente in quanto la situazione di pericolo incombente per la pubblica incolumità, non eliminabile con i normali mezzi previsti dall'ordinamento, è stata preventivamente fronteggiata in modo risolutivo grazie all'intervento di messa in sicurezza delle porzioni di muro non crollate, realizzato prontamente dal servizio comunale di protezione civile di cui si dà espressamente atto nella successiva ordinanza n. 208 del 16 settembre 2013 con la quale, anche sulla scorta di tale presupposto, si dispone la sospensione degli effetti dell'ordinanza commissariale n. 35/2013, con ciò, sostanzialmente, riconoscendosi l'insussistenza della condizione di pericolo incombente che doveva legittimare l'adozione dell'originaria ordinanza contingibile ed urgente.
È la stessa sequenza procedimentale a comprovare la fondatezza del quinto motivo di censura per insussistenza delle condizioni di legge legittimanti il ricorso al provvedimento extra ordinem, essendo stata la condizione di pericolo incombente per l'incolumità pubblica e privata, preventivamente rimossa dal competente servizio comunale.
Scheda n. 33
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CONS. STATO, Sez. V, 02.03.2015, n. 988
Sul piano giuridico il provvedimento in contestazione costituisce, in modo inequivoco, una ordinanza contingibile ed urgente assunta dal Sindaco del Comune di Zenevredo ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 267/2000, espressamente richiamato nell'ordinanza medesima quale suo presupposto sia formale che sostanziale.
La qualificazione di ordinanza contingibile ed urgente, del resto, è stata operata dalla stessa Amministrazione nel corso del giudizio di primo grado, allorquando ha sostenuto che la sua adozione è stata giustificata dalla necessità di evitare l'inquinamento delle falde acquifere e l'interferenza con la linea elettrica.
Nonostante detto richiamo normativo e detta qualificazione, nella specie non sono ravvisabili i presupposti per l'adozione di un'ordinanza extra ordinem.
Per un verso, infatti, l'Amministrazione non ha effettuato una specifica istruttoria sulla asserita pericolosità del materiale inerte depositato rispetto alle falde acquifere, né la sua specifica interferenza con la linea elettrica, limitandosi ad enunciare tali evenienze in modo generico ed apodittico.
Per altro verso, poi, il riferimento alla quantità del materiale depositato ha genericamente riguardato un "rilevante accumulo", senza alcuna ulteriore specificazione, tale da evidenziare una effettiva pericolosità dello stato dei luoghi.
Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, viceversa, "il potere di ordinanza presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e congrua motivazione, ed in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedi mentale" (Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2012, n. 3077, che richiama Cons. Stato, Sez. V, 20 febbraio 2012, n. 904 e Cons. Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).
Nella specie l'Amministrazione non ha svolto l'accertamento istruttorio teso all'identificazione della qualità, della quantità, della composizione e della provenienza dei materiali accumulati .
Scheda n. 34
Dei presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Sicilia, Palermo, 17.02.2015, n. 485
Il presupposto per l'adozione dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l'attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l'incolumità pubblica e per l'igiene, a nulla rilevando neppure che la situazione di pericolo sia nota da tempo. In caso di emanazione di un'ordinanza contingibile ed urgente, non occorre il rispetto delle regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, essendo queste incompatibili con l'urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, aggravantesi con il trascorrere del tempo: di fatto, la comunicazione di avvio del procedimento nelle ordinanze contingibili e urgenti del sindaco non può che essere di pregiudizio per l'urgenza di provvedere (Consiglio di Stato sez. V 19 settembre 2012 n. 4968).
Nel caso di specie la situazione di pericolo era conclamata e nota da tempo, e proprio perché non efficacemente contrastata in passato era in corso di aggravamento, come noto anche al ricorrente che aveva già interloquito con l'amministrazione evidenziando lui stesso tale situazione; sicché la sua ulteriore partecipazione al procedimento non avrebbe potuto apportare alcun contributo utile ad eliminare la situazione di pericolo attuale ed incombente e, dunque, non avrebbe potuto determinare l'amministrazione ad agire in modo diverso.
Conclusivamente la scelta dell'amministrazione di porre rimedio a tale situazione con l'emanazione di una ordinanza contingibile ed urgente, a tutela dell'incolumità pubblica, non risulta minimamente inficiata da illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, o da travisamento dei fatti.
Scheda n. 35
Esercizio del potere di ordinanza e omessa comunicazione di avvio del procedimento.
TAR Campania, Napoli, 16.04.2015, n. 2182
Riguardo alla violazione dell'art.7 della legge n. 241/90 (omessa comunicazione di avvio del procedimento) la sentenza evidenzia l'orientamento giurisprudenziale secondo cui in ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l'ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d'avvio del relativo procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129). In ogni caso può ritenersi applicabile al caso in esame il disposto dell'art. 21 octies della legge n.241/90, ai sensi del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, vertendosi in ambito provvedimentale vincolato e risultando che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Scheda n. 36
Potere di ordinanza del Sindaco e contrasto del fenomeno del gioco di azzardo patologico.
TAR LOMBARDIA, Milano, 26.05.2015, n. 1237
Oggetto del giudizio è l'ordinanza del Sindaco del Comune di Bresso n. 8 del 9.4.2014, relativa alla "limitazione della fascia oraria di utilizzo dei dispositivi da gioco d'azzardo lecito installati negli esercizi pubblici o nei circoli privati";
Quanto alla questione relativa alla sussistenza o meno in capo al Sindaco del potere di disciplinare gli orari di apertura delle sale da gioco il Tar rileva che, sotto il profilo della possibile antinomia con le fonti normative primarie, il potere sindacale in questione, da un lato, non risulta interferire con i titoli di legislazione esclusiva dello Stato, dall'altro, nemmeno si pone in contrasto con l'attuale quadro di legislazione concorrente della Regione.
Al contrario, l'ordinanza sindacale impugnata si fonda su un titolo di competenza attribuito con legge all'autorità emanante (art. 50, comma 7, d.lgs. n. 267/2000).
In riferimento all'individuazione e delimitazione dei poteri esercitabili dal Sindaco ai sensi dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000, si richiama anche l'orientamento giurisprudenziale recentemente intervenuto sulle questioni oggetto di causa, in particolare a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 220/2014. In tale ordinanza, invero, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità sollevata dal T.A.R. Piemonte con riguardo all'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267, nella parte in cui tale norma non prevede che i poteri dalla stessa attribuiti al Sindaco possano essere esercitati con finalità di contrasto del fenomeno del gioco di azzardo patologico (g.a.p.).
La Corte, sul punto, ha evidenziato che "l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di legittimità, sia di merito, ha elaborato un'interpretazione dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, compatibile con i principi costituzionali evocati, nel senso di ritenere che la stessa disposizione censurata fornisca un fondamento legislativo al potere sindacale in questione".
In tale direzione si collocano diverse pronunce, con le quali "è stato riconosciuto che − in forza della generale previsione dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 − il sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale" (cfr. C.d.S., sentenza n. 3271/2014; id., ordinanze nn. 2133 e 996 del 2014 e n. 2712/2013; T.A.R. Lombardia - Brescia, sentenza n. 1484/2012; T.A.R. Campania, sentenza n. 2976/2011; T.A.R. Lazio, sentenza n. 5619/2010).
In quest'ottica, la Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile la questione sollevata dal T.A.R. Piemonte in considerazione della "non adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice rimettente" e della "mancata esplorazione di diverse, pur praticabili, soluzioni ermeneutiche", con ciò implicitamente invitando il giudice a quo a "praticare" l'opzione interpretativa da essa richiamata, onde evitare che la norma in questione possa porsi in contrasto con i principi costituzionali.
L'ordinanza è, tuttavia. illegittima per difetto d'istruttoria e carenza della motivazione. Difatti, il provvedimento impugnato, dopo aver individuato espressamente quale propria motivazione quella di "tutelare le fasce psicologicamente più deboli della popolazione rispetto ai pericoli di disagio, personale e sociale, insiti nella patologia del gioco d'azzardo compulsivo", si limita a evidenziare che "I dati forniti dal Dipartimento dell'ASL Milano, infatti, dimostrano come tale sindrome non solo sia in crescita esponenziale nell'intero territorio del capoluogo di Regione e nel Nord Milano, ma rivela picchi più elevati, sulla base degli accessi ai Sert, proprio nei Presidi Sanitari di Cinisello Balsamo e di Sesto San Giovanni, maggiormente contigui al nostro territorio comunale".
Tale motivazione, per la sua genericità, non consente di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della scelta effettuata dal Sindaco nella ponderazione degli interessi in gioco; ne consegue l'illegittimità, sotto questo profilo, dell'ordinanza de qua.
Scheda n. 37
Rimozione di ordigno bellico e uso illegittimo del potere di ordinanza del Sindaco
CONS. STATO, sez. III, 14.05.2015, n. 2462
Ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. c-bis, del nuovo Codice dell'ordinamento militare (d. lgs. 66/2010), il Ministero della Difesa, «in materia di bonifiche da ordigni esplosivi residuati bellici, con le risorse umane, finanziarie e strumentali a legislazione vigente», come prevede il n. 5) della disposizione, «svolge l'attività di disinnesco, brillamento, quando ne ricorrono le condizioni, e rimozione degli ordigni bellici rinvenuti, attraverso personale specializzato di Forza armata», e come chiarisce il n. 6) della stessa disposizione, «svolge l'attività di cui al numero n. 5) sotto il coordinamento dei prefetti competenti per territorio, cui è rimessa l'adozione di ogni provvedimento utile a tutela della pubblica incolumità».
Si desume chiaramente da tale indice normativo che la rimozione dell'ordigno bellico, laddove non rientri nell'attività già pianificata ad opera dei privati ai sensi del n. 2 dello stesso art. 22, comma 1, lett. c-bis, del d. lgs. 66/2010, deve comunque svolgersi con il diretto intervento del Ministero della Difesa, attraverso personale specializzato delle Forze Armate, con le risorse finanziarie, umane e strumentali previste dalla legislazione vigente e, cioè, ad opera e a carico dello Stato, non potendo certo l'art. 54, comma 7, del d. lgs. 267/2000 fungere da indebito strumento attraverso il quale le spese di tale intervento straordinario, per ragioni di urgenza, vengono poste dal Sindaco, quale ufficiale del Governo, a carico del privato incolpevole.
Se dunque è pienamente legittimo, e anzi necessario, che l'ordinanza contingibile ed urgente individui illico ed immediate nei proprietari del fondo i destinatari dell'ordine di rimozione, ai sensi dell'art. 54, comma 7, del d. lgs. 267/2000, in quanto la ricerca dell'obbligato di diritto, mediante accertamenti complessi e laboriosi, potrebbe essere incompatibile con l'intrinseca natura del provvedimento contingibile ed urgente, e ciò anche per lo speciale rapporto di custodia e l'altrettanto speciale regime di responsabilità facente capo in linea di principio ai proprietari ai sensi dell'art. 2051 c.c., non altrettanto legittimo è che l'ordinanza, o un provvedimento successivo, ponga a carico dei proprietari le spese occorrenti a rimuovere il pericolo per l'incolumità pubblica, anche quando si accerti o sia evidente che tale pericolo, pur prescindendo del dolo o della semplice colpa dei proprietari, non sia causalmente riconducibile, sul piano oggettivo, alla cosa e, quindi, fuoriesca del tutto dalla sfera di dominio o di controllo del proprietario o in quello che la giurisprudenza civile, ricorrendo ad una antica categoria del diritto germanico, chiama "potere di fatto" (Gewere/saisine) o governo sulla cosa (Cass., sez. III, 20.11.2009, n. 24530).
Una diversa interpretazione dell'art. 54, comma 7, del d. lgs. 267/2000, che consentisse di far gravare sul privato proprietario le spese necessarie alla rimozione del pericolo per l'incolumità pubblica anche quando, cessato e rimosso il pericolo, egli o, meglio, la cosa non risulti essere causa del pericolo medesimo, si porrebbe in insanabile contrasto non solo con l'art. 42 Cost., recando un vulnus al suo diritto dominicale che, pur giustificato da una causa di pubblica utilità, non sarebbe però indennizzato – come in precedenza prevedeva l'abrogato art. 7, comma 3, d.lgs.lgt. 320/1946 – ma anzi aggravato da una corrispondente misura economica (il pagamento delle spese), ma anche con l'art. 23 Cost., introducendo di fatto una prestazione patrimoniale imposta non contemplata dalla legge, nonché con l'art. 3, comma secondo, della Cost., per la manifesta e arbitraria irragionevolezza di una disciplina che recherebbe una responsabilità aggravata anche rispetto allo speciale regime di responsabilità, già aggravato, previsto dall'art. 2051 c.c.
Non si può trascurare, infatti, che secondo la stessa disciplina dell'art. 2051 c.c., quale tertium comparationis e nell'applicazione fattane dal diritto vivente, costituisce una causa di esclusione della responsabilità del custode, oltre al caso fortuito, anche la equiparata "causa estranea" – comprensiva, peraltro, del fatto del danneggiato – sempre che questo abbia nel determinismo dell'evento dannoso un'autonoma efficienza causale e presenti il carattere di inevitabilità e imprevedibilità nei riguardi dell'attività dovuta del custode (v., ex plurimis, Cass., sez. VI, 8.5.2014, n. 10008).
Se ne deve concludere quindi che, in assenza ormai di una disciplina speciale come quella dell'abrogato art. 7, comma 3, d.lgs.lgt. 320/1946, il fortuito ritrovamento, in un fondo, di un ordigno, risalente al secondo conflitto mondiale, costituisca per il proprietario un evento avente le caratteristiche di inevitabilità e di imprevedibilità tali da escluderne, salva la prova contraria da parte dell'Amministrazione, la responsabilità quale custode e, quindi, l'obbligo conseguente di pagare le spese della sua rimozione, spese che non è legittimo porre a suo carico, ai sensi dell'art. 54, comma 7, d.lgs. 267/2000, nemmeno quando tale evento costituisca un pericolo per la pubblica incolumità, pericolo da lui non creato né previsto né, si aggiunga, da lui evitabile o rimuovibile, competendo al Ministero della Difesa, attraverso personale specializzato delle Forze Armate, con le risorse finanziarie, umane e strumentali previste dalla legislazione vigente, provvedere a rimuoverlo, ai sensi di quanto ora prevede l'art. 22, comma 1, lett. c-bis, del d. lgs. 66/2010.
Ne consegue che i provvedimenti impugnati, nella parte e nella misura in cui hanno inteso porre a carico dei proprietari del fondo le spese inerenti alla rimozione dell'ordigno bellico senza aver verificato che tale pericolo per l'incolumità pubblica non trovava nella cosa – e/o nel suo dinamismo intrinseco – causa, ma solo fortuita occasione, sono illegittimi, poiché non hanno fatto corretta – e costituzionalmente orientata – applicazione dell'art. 54, comma 7, d.lgs. 267/2000.
La contraria lettura della disposizione, offerta dal T.A.R., non è condivisibile, atteso che il potere extra ordinem esercitato dal Sindaco può certo giustificare restrizioni e sacrifici al diritto del proprietario, dettati dall'esigenza impellente di salvaguardare beni superiori e primari come la salute e l'incolumità pubblica, ma non può introdurre, una volta venuta meno la situazione di urgenza e rimosso il pericolo, forme di prestazione patrimoniale imposta al di fuori dei casi consentiti dalla legge e per eventi del tutto estranei alla sfera giuridica del proprietario, ben al di là degli stessi presupposti, pur rigorosi, previsti dall'art. 2051 c.c.