Scheda n. 1
Statuti e rappresentanza processuale dell’ente
CASS. CIVILE, sez. VI, 15 ottobre 2015, n. 20905.
La sentenza si richiama all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte in ordine al principio di diritto secondo cui: “In tema di contenzioso tributario, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 88, in vigore dal 1 giugno 2005, sostituendo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, sul contenzioso tributario, dispone che l'ente locale, nei cui confronti è preposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell'ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l'ufficio tributi; mentre il cit. art. 3 bis, comma 2, estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali” (nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma). (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14637 del 22/06/2007; conformi: Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10832 del 28/06/2012, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6807 del 20/03/2009).
La sentenza non si sofferma sull'ulteriore aspetto del motivo di impugnazione (afferente all'asserita violazione della previsione dell'art. 34 dello statuto comunale) perchè la parte ricorrente (contravvenendo all'onere che le incombe, le quante volte la disciplina invocata non rientri non novero di quelle soggette al principio "iura novit curia") non ha provveduto a produrre in giudizio la invocata disciplina o comunque a precisare nel ricorso per cassazione (in ossequio al canone di autosufficienza) se e dove detta produzione sia stata effettuata in causa.
Scheda n. 2
Statuti e rappresentanza processuale dell’ente
CONS. STATO, sez. IV, 21 settembre 2015, n. 4395.
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, di cui al D. Lgs. 18/8/2000 n. 267 – salva diversa previsione dello statuto comunale o dei regolamenti a cui il medesimo faccia espresso rinvio – la rappresentanza legale dell’ente compete al Sindaco, il quale non necessita di preventiva autorizzazione ad agire o a resistere in giudizio (Cons. Stato, Sez. VI, 9/6/2006 n. 3452; Cass. Civ. SS. UU. 27/6/2005 n. 13710).
Scheda n. 3
Ultrattività dello Statuto provinciale fino all’adozione del nuovo statuto metropolitano
TAR Campania, Napoli, 22 luglio 2015, n. 3879.
La sentenza affronta l’interrogativo di come debbano essere interpretate le norme di diritto intertemporale che disciplinano la fase di transizione dalla Provincia alla Città Metropolitana; in particolare, il riferimento è alla seconda parte dell’art.1, comma 16 e al comma 17 della legge 7 aprile 2014 n. 56, secondo cui “ove alla predetta data (31 dicembre 2014) non sia approvato lo statuto della citta' metropolitana, si applica lo statuto della provincia. Le disposizioni dello statuto della provincia relative al presidente della provincia e alla giunta provinciale si applicano al sindaco metropolitano; le disposizioni relative al consiglio provinciale si applicano al consiglio metropolitano. In caso di mancata approvazione dello statuto entro il 30 giugno 2015 si applica la procedura per l'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131”.
Nel caso della Città Metropolitana di Napoli la mancata adozione dello statuto del nuovo ente entro il 31 dicembre 2014, in un momento in cui la legge contempla la coesistenza di ambedue gli enti, sebbene con compiti diversi in funzione di un più lineare e celere superamento della fase di avvicendamento, ha sicuramente determinato l’ultrattività dello statuto provinciale fino all’approvazione del nuovo statuto metropolitano, adottato con deliberazione della Conferenza Metropolitana n. 2 dell’11 giugno 2015.
Il Tar si interroga quindi sull’intensità di tale ultravigenza, non solo in termini di durata – che potrebbe anche ritenersi esaurita solo al tempo dell’adozione del nuovo statuto – ma di integrale applicazione dello statuto provinciale dal punto di vista oggettivo; in altri termini, il nodo da sciogliere è se alla norma dello statuto provinciale debba essere riconosciuta piena portata applicativa, nel senso che la sua forza precettiva ha prevalenza assoluta su qualsiasi disposizione inerente all’assetto strutturale e funzionale del nuovo ente, anche se con questa in rapporto antinomico, oppure se si sia in presenza di un regime applicativo di natura cedevole, cioè mitigato dal principio di “compatibilità” con le nuove disposizioni.
A sciogliere l’interrogativo non risulta decisivo l’esame del dato positivo, nel senso della rintracciabilità in sede normativa di una salvezza espressa dei nuovi precetti incompatibili, trattandosi comunque di risolvere un problema di successione tra fonti in cui è compito dell’interprete individuare la presenza di un possibile fenomeno di abrogazione tacita condizionata.
Ritiene il Tar che l’essersi in presenza di una vicenda successoria di tipo estintivo-costitutivo impone all’interprete di assumere l’ultrattività dello statuto dell’ente Provincia, ormai estinto, entro limiti di coesistenza e compatibilità sostanziale con il nuovo soggetto; d’altronde, sarebbe poco convincente ritenere che della Provincia cessino gli organi di governo, restando in carica quelli che di questi costituiscono diretta emanazione; non va infatti dimenticato che, sebbene istituto di natura indipendente, il difensore civico rappresenta pur sempre il risultato di una scelta di alta amministrazione rimessa alla competenza del Consiglio provinciale; pur non essendosi al cospetto di un fenomeno tipico di spoil system, va applicato il principio generale in materia di organizzazione amministrativa secondo cui “simul stabunt simul cadent”, per cui il venir meno degli organi che conferiscono la carica determina, salva diversa espressa voluntas legis, la caducazione di quelli di nomina derivata.
A suffragare tale conclusione è anche l’osservazione per cui, ove si pretendesse, in piena applicazione della disposizione statutaria provinciale, che la durata della carica del difensore civico fosse, a regime, pari a tre anni, ricadendo così la relativa scadenza in un tempo in cui esisterebbe ormai la sola Città Metropolitana, e ferma restando l’impossibilità di una coesistenza di due figure simili, si impedirebbe con questo al nuovo ente di nominare il proprio difensore civico, rendendo ingiustificatamente inapplicabile la previsione del nuovo statuto che conserva l’istituto addirittura con durata quinquennale.
Né a tale conclusione potrebbe obiettarsi che tra la data di scadenza del 31 dicembre 2014 fino alla nomina del nuovo difensore civico la Città Metropolitana rischierebbe di restarne priva, in violazione del principio di continuità dell’azione amministrativa, dal momento che una tale situazione conseguirebbe non già ad un vulnus del sistema oggettivamente inteso, ma ad uno specifico patologico ritardo di attivazione del relativo procedimento di nomina.
Né convince una terza soluzione, pure ipotizzabile, secondo cui il difensore civico provinciale resterebbe in carica fino alla nomina del nuovo titolare in seno alla Città Metropolitana, a tanto ostando la marcata cesura che la legge 7 aprile 2014 n.56 ha inteso porre tra vecchio e nuovo ente.
Pertanto, quanto ritenuto dall’amministrazione resistente a proposito della scadenza al 31 dicembre 2014 del ricorrente quale difensore civico provinciale deve ritenersi in linea con gli assetti provenienti dalla nuova normativa di riferimento.
Scheda n. 4
Possibilità di recedere dall'unione di comuni unicamente nei tempi, modi e forme previsti dallo Statuto dalla medesima approvata
TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I. 8 luglio 2015, n. 205.
L'art. 32 del D. Lgs. n. 267/2000 afferma che "l'unione di comuni è l'ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi" (comma 1) e a tale scopo è dotata di "potestà statutaria e regolamentare" (comma 4) che "sono approvati dai consigli dei comuni partecipanti con le procedure e con la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua le funzioni svolte dall'unione e le corrispondenti risorse".
L'art. 14, comma 26, del D.L. n. 78/2010, prevede che "l'esercizio delle funzioni fondamentali [specificate nel successivo comma 27] dei Comuni è obbligatorio per l'ente titolare" disponendo al comma 28 che "i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione d'Italia, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni di cui al comma 27, ad esclusione della lettera l)".
Il richiamato disposto normativo trova attuazione a livello regionale nella L.R. n. 21/2012 approvata al dichiarato scopo di adottare "d'intesa con le Province, i Comuni e le loro forme associative e, ove necessario, sulla base di accordi con le amministrazioni statali interessate, misure per assicurare l'adeguamento dell'articolazione delle funzioni amministrative sul territorio regionale ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, alla luce delle disposizioni di riordino territoriale e funzionale contenute nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78" (art. 1) assumendosi il compito di individuare "la dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento in forma associata delle funzioni fondamentali, le forme di esercizio associato di funzioni e servizi comunali, le modalità di incentivazione alle forme associative e alle fusioni dei Comuni" (art. 3, comma 2).
L'art. 19 della medesima fonte normativa dispone che "Lo statuto dell'Unione di Comuni individua la sede e le funzioni svolte dall'Unione, le competenze degli organi, le modalità per la loro costituzione e funzionamento, nonché la durata dell'Unione, comunque non inferiore a dieci anni. Lo statuto definisce altresì le procedure per lo scioglimento dell'Unione e per il recesso da parte dei Comuni partecipanti ed i relativi adempimenti, inclusa la definizione dei rapporti tra l'Unione e il Comune uscente, nonché gli effetti, anche sanzionatori e risarcitori, del recesso di un Comune prima della scadenza del termine di durata dell'Unione. La disciplina del recesso deve comunque garantire la continuità dello svolgimento delle funzioni e dei rapporti di lavoro del personale che presta servizio a qualsiasi titolo presso l'ente. Deve altresì prevedere l'obbligo per il Comune recedente di farsi carico delle quote residue dei prestiti eventualmente accesi".
Il successivo art. 24, comma 6, prevede che "La durata dei conferimenti di funzioni da parte dei Comuni che sono per legge statale soggetti all'obbligo di gestione associata deve essere a tempo indeterminato, salvo recesso che non potrà intervenire prima di cinque anni, mentre per gli altri Comuni il conferimento deve avere durata di almeno cinque anni".
Lo Statuto dell'Unione approvato dal Comune resistente prevede all'art. 5 che "ogni Comune partecipante all'Unione può recedere unilateralmente con deliberazione consiliare adottata con le procedure e le maggioranze richieste per l modifiche statutarie" ma "fermo restando un periodo minimo di adesione di anni cinque".
La previsione di una permanenza minima, pertanto, trova fonte in una norma di legge frutto di una scelta del Legislatore regionale la cui ratio è specificata dallo stesso nell'esigenza di assicurare stabilità all'assetto istituzionale dell'Unione a tutela della continuità dello svolgimento delle funzioni da gestire in forma associata.
Il Comune, pertanto, una volta determinata in piena autonomia la propria appartenenza all'Unione ed approvato il relativo Statuto ne resta vincolato per tutto quanto riguarda la gestione del rapporto con quest'ultima.
Ne deriva che è da considerarsi illegittimo il ricorso all'esercizio del potere di revoca di cui all'art. 21 quinquies L. n. 241 del 1990 (esercitato al fine di recidere il vincolo di appartenenza all'Unione) poiché il Comune può recedere dall'Unione unicamente nei tempi, modi e forme previsti dallo Statuto dal medesimo approvato, ovvero, mediante attivazione della procedura di recesso e sempre che ne ricorrano i relativi presupposti.
Il potere di revoca, infatti, essendo finalizzato a determinare la cessazione ex nunc degli effetti di un precedente provvedimento, presuppone necessariamente che l'atto oggetto di revoca esplichi i suoi effetti al momento dell'intervento di secondo grado.
Nel caso di specie, invece, il provvedimento revocato ha esaurito i propri effetti all'atto della costituzione dell'Unione con contestuale approvazione dell'Atto costitutivo e dello Statuto.
Scheda n. 5
Norme statutarie e rispetto del principio della parità di genere
CONS. STATO, Sez. V, 5 ottobre 2015, n. 4626.
Già prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 137, l. n. 56/2014, il Consiglio di Stato aveva modo di affermare che: “è illegittimo, per violazione del principio delle pari opportunità, contenuto negli art. 3 e 51 della Costituzione e 23 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché degli artt. 6, comma 3 e 46, comma 2, TUEL, nel testo risultante dalla legge n. 215/2012 , il decreto di nomina degli assessori tutti di sesso maschile della Giunta municipale, che sia motivato con riferimento alla mancanza di soggetti di genere femminile disposti ad assumere le funzioni di Assessore comunale, a nulla rilevando che il principio di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, affermato dalla novella, non sia stato ancora formalmente recepito nello statuto comunale. L'attuazione del suddetto principio non può essere condizionata dall'omissione o ritardo del Consiglio comunale nel provvedere alla modifica dello statuto” (Cons. St., sez. V, 18 dicembre 2013, n. 6073).
All’indomani dell’entrata in vigore del citato art. 1, comma 137, secondo il quale: “Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”, tutti gli atti adottati nella vigenza di quest’ultimo trovano nella citata norma un ineludibile parametro di legittimità, non essendo ragionevole una sua interpretazione che leghi la concreta vigenza della norma alla data delle elezioni ovvero che condizioni unicamente le nomine assessorili all’indomani delle elezioni. Una simile interpretazione consentirebbe un facile aggiramento della suddetta prescrizione, nella misura in cui il rispetto della percentuale assicurato dai provvedimenti di nomina immediatamente successivi alle elezioni potrebbe essere posto nel nulla da successivi provvedimenti sindacali di revoca e nomina, atti a sovvertire la suddetta percentuale.
Allo stesso tempo deve rilevarsi che non risulta alcuna istruttoria tesa a verificare l’impossibilità del rispetto della suddetta percentuale, né dall’atto sindacale si evince una qualche ragione per la quale il Sindaco ha ritenuto di potersi discostare dal suddetto parametro normativo.
Scheda n. 6
Legittimazione ad agire in giudizio dei consiglieri comunali nei confronti di una violazione del Regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale
TAR Campania, Napoli, 25 giugno 2015, n. 3374
La finalità della previsione contenuta nell’art. 19, comma 3, del Regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale (in forza della quale gli emendamenti allo schema di bilancio previsionale devono essere presentati per iscritto alla Segreteria Generale almeno 3 giorni liberi prima di quello fissato per la seduta) è quella di preavvertire con un congruo anticipo i componenti dell’organo consiliare in ordine a possibili modifiche da apportare allo schema di bilancio, affinché possano consapevolmente partecipare al relativo esame nell’ambito del dibattito assembleare.
Nel caso specifico, risulta dal verbale di deliberazione del Consiglio Comunale di Boscoreale che i ricorrenti hanno preso parte alla seduta assembleare senza contestare la tardività del contestato emendamento né muovere in tale sede alcuna obiezione al riguardo. Quindi i medesimi non possono successivamente contestare il tardivo deposito dell’emendamento apportato al programma triennale, in quanto era stato comunque raggiunto lo scopo a cui la norma regolamentare era diretta, ossia quello di consentire ai consiglieri di prendere consapevolmente parte alla decisione assunta in assemblea.
Scheda n. 7
Presupposti per l’impugnazione del regolamento comunale
TAR Campania, Salerno, 11 settembre 2015, n. 1972.
Il ricorrente ha contestato la competenza del Comune a individuare le aree su cui è possibile realizzare l'impianto fotovoltaico. Si tratta, in altri termini, di un'impugnazione rivolta in prima battuta verso il regolamento approvato il 29 settembre 2011 e in via derivata verso il provvedimento a valle, che ha ereditato tale vizio.
Non può dubitarsi che l'impugnazione avverso il regolamento sia tardiva, perché notificata oltre i 60 giorni prescritti dalla legge. Come puntualmente evidenziato dalla difesa del Comune, il regolamento è stato pubblicato mediante affissione nell'albo pretorio il 3 ottobre 2011 e per quindici giorni consecutivi. L'impugnazione è stata notificata al Comune solo il 22 dicembre 2011. Ne deriva che in relazione all'impugnazione del regolamento la stessa è tardiva.
Né può dubitarsi che il regolamento non andasse impugnato tempestivamente, ma fosse sufficiente solo l'impugnazione del provvedimento che ha ereditato il vizio dal regolamento.
Come è noto, in via generale, il regolamento, in quanto atto generale non va impugnato immediatamente, perché non è in grado di realizzare una lesione attuale e concreta nella sfera giuridica dei destinatari, salvo che per la disposizione contestata la lesione emerga già dall'atto generale. In questo senso è la giurisprudenza amministrativa consolidata, cui questo giudice intende dare continuità, secondo cui gli atti regolamentari e i provvedimenti amministrativi a carattere generale possono (e debbono) essere tempestivamente impugnati ove autonomamente lesivi, ovvero ove incidenti in modo diretto ed attuale su una situazione soggettiva protetta (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 28/05/2015, n. 2674).
Nel caso di specie, il regolamento contestato ha stabilito che in determinate aree non è possibile realizzare impianti fotovoltaici. Ne deriva che i proprietari di aree interessati a realizzare i citati impianti sono direttamente e immediatamente lesi dal regolamento e avrebbero dovuto impugnarlo nei termini decadenziali.
Non può, tuttavia, essere sottaciuto che al giudice amministrativo è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti in termini di palese contrapposizione con il disposto legislativo primario, cui dovrebbe dare esecuzione. Infatti, il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell'impugnazione congiunta del regolamento (cfr., Consiglio di Stato, sez. V - sentenza 14 luglio 2014 n. 3623)
Nel caso di specie, tuttavia, non si apprezza il palese contrasto tra regolamento e norma primaria, in quanto sussiste certamente in capo al comune il potere di stabilire, con atto regolamentare, in quali aree realizzare gli impianti fotovoltaici, trattandosi di una modalità di gestione del territorio, di cui è certamente competente l'ente comunale.
Scheda n. 8
Disapplicazione della norma del regolamento comunale in contrasto con lo statuto
Ord. TAR Calabria, Catanzaro, 11 settembre 2015, n. 1217.
Ai sensi dell'art. 125, 3° comma, del R.D. n. 148 del 1915, tra il giorno della consegna dell'avviso di convocazione del consiglio comunale e il giorno della convocazione del consiglio medesimo, il periodo di tempo che deve intercorrere non può comprendere né il giorno della consegna dell'avviso di convocazione né quello della adunanza, atteso che il termine previsto è costituito da giorni liberi e interi che devono interamente decorrere prima dello svolgimento dell'attività cui sono preordinati e ciò in quanto il consigliere comunale deve essere messo nelle condizioni di svolgere con pienezza di funzioni il proprio ruolo elettivo e quindi ha diritto ad una piena e fattiva partecipazione ad ogni attività del consiglio comunale con cognizione di causa (cfr.: Cons. Stato Sez. I 07/02/2014 n. 3966). In base all'art. 7 del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (“Testo Unico degli enti locali”), in caso di antinomia fra una disposizione dello statuto comuale ed una disposizione contenuta in un regolamento dello stesso comune, occorre dare prevalenza alla disposizione statutaria e disapplicare quella regolamentare (conf. Cons. Stato, Sez. V 25.1.2005 n. 148).
Scheda n. 9
Ambiti di normazione comunale relativi all’ installazione di stazioni radio-base
CONS. STATO, sez. III, 30 settembre 2015, n. 4574.
La disciplina generale della localizzazione degli impianti di telefonia mobile (id est: la introduzione di prescrizioni generali relative alle distanze minime da rispettare nel caso di installazione di impianti di tal fatta, nonché la fissazione dei limiti di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici), è riservata allo Stato.
E ciò sia in quanto espressione del generale e pervasivo potere - ad Esso attribuito - di introdurre nell'Ordinamento "principii fondamentali" atti a vincolare l'attività legislativa regionale e l'attività normativa locale (ai sensi dell'art. 117, ultimo comma, della Costituzione), sia in quanto intrinsecamente connessa alla c.d. determinazione dei 'livelli essenziali delle prestazioni' che l'Amministrazione è tenuta a garantire su tutto il territorio nazionale, nell'erogazione dei servizi pubblici relativi (anche) alla tutela della salute (in forza dell'art. 117, comma 2°, lett. 'm', della Costituzione), sia - ancora - in quanto concernente la salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema (ai sensi dell'art. 117, comma 2°, lett. 's', della Costituzione), sia - infine - in quanto attività connessa alla fornitura di reti di comunicazione elettronica (Cfr.: art. 3 del "codice delle comunicazioni elettroniche" e L. n. 36/2001); 'materie' - tutte - di preminente interesse generale, siccome coinvolgenti l'interesse nazionale (Corte Cost. n. 307/2003).
In aderenza a tale principio, in precedenti analoghi è stato già affermato:
- che "alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell'ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (... omissis ...) quali, ad esempio, il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura etc.), mentre non è consentito introdurre limitazioni alla localizzazione consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizioni di distanze minime da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni e/o a luoghi di lavoro, di ospedali, di case di cura ...)" (C.S., VI^, n. 3452/2006; Id., n. 2371/2010; Id. n. 44/2013);
- e che "va dichiarata la illegittimità dei regolamenti che prevedono una zonizzazione indipendente dalle esigenze dei gestori del servizio di telefonia mobile e che, cioè, circoscrivono gli impianti a specifiche aree, appositamente individuate, senza subordinare le relative scelte alla previa e puntuale verifica della coerenza della disciplina pianificatoria con la necessità che venga in concreto assicurata sull'intero territorio comunale l'intera copertura del servizio" (C.S., IV, n. 1431/2007).
E poiché nella fattispecie il Comune ha spinto le proprie competenze ben oltre i limiti imposti dalla Costituzione e dalla legislazione statale d'interesse nazionale, esercitando - mediante il suo potere regolamentare - attribuzioni riservate allo Stato (nella specie: ha introdotto una prescrizione generale avente ad oggetto l'indicazione della distanza minima degli impianti da realizzare rispetto ad alcuni 'tipi' o 'categorie' di immobili, senza - però - individuarli specificamente), correttamente il Giudice di primo grado ne ha stigmatizzato negativamente la condotta, statuendo l'annullamento dei provvedimenti impugnati innanzi ad esso e la disapplicazione della norma regolamentare confliggente con il corretto riparto delle funzioni.
Scheda n. 10
Ambiti di normazione comunale relativi all’ installazione di stazioni radio-base
TAR Lazio, Roma, 7 luglio 2015, n. 9118.
La potestà regolamentare dei Comuni, in ordine all'introduzione di criteri localizzativi per l'installazione degli impianti di telefonia mobile di cui all'art. 8, comma 4, della legge n. 36 del 2001, non può essere esercitata nei confronti di impianti esistenti e realizzati sulla base di validi titoli permissivi, non essendo ammissibile un'efficacia retroattiva del piano (Tar Campania, Napoli, n. 18229 del 2005; Tar Calabria- Catanzaro n. 305 del 2014), deve ritenersi illegittima la individuazione delle aree operate dal Comune senza tenere in nessun conto della esistenza di aree già occupate da impianti esistenti, salva la individuazione di specifiche criticità relative a tali impianti (superamento delle soglie di attenzione delle emissioni, vicinanza di siti sensibili (Tar Lazio II quater n. 2082 del 2015; n. 1768 del 2015).
Scheda n. 11
Illegittimità del regolamento comunale che modifica la disciplina civilistica e fiscale del contratto di trasporto
TAR Lazio, Roma, 13 ottobre 2015, n. 11637.
I rilievi dei ricorrenti colgono nel segno anche là dove hanno fatto notare che le delibere impugnate presentano elementi di contrasto con la normativa primaria, e che, comunque, un regolamento comunale, non può modificare la disciplina civilistica e fiscale del contratto di trasporto.
In particolare, il contratto di trasporto di persone è a forma libera e, conseguentemente, non richiede, ove stipulato in forma scritta, né l’atto pubblico né la registrazione.
L’amministrazione capitolina, tuttavia, ha affermato che la prescrizione relativa alla registrazione del contratto di appalto, è intesa a scongiurare contratti fittizi, stipulati al solo fine – occorre presumere – di beneficiare delle modalità semplificate relative agli obblighi di comunicazione previsti dalla delibera.
Orbene, il fatto che un contratto venga stipulato per atto pubblico, non esclude, in linea di principio, che esso possa formare oggetto di simulazione.
Nel caso in esame, inoltre, la comunicazione relativa alla necessità di accedere nel territorio del Comune per eseguire una prestazione di trasporto deve essere resa in forma di autocertificazione, riguardante, sia “l’osservanza e la titolarità dei requisiti di operatività” della legge n. 21 del 1992, sia “i dati del singolo servizio”.
Il carattere fittizio dei dati comunicati, pertanto, può essere riscontrato solo sul campo ovvero attraverso i controlli incrociati effettuati su strada.
In tale ipotesi, la non corrispondenza tra i dati autocertificati, quelli riportati sul foglio di servizio, e le effettiva modalità di svolgimento del servizio di n.c.c., darà luogo non solo alle specifiche sanzioni previste dal codice della strada e dalla l. n. 21 del 1992, ma anche alle sanzioni penali stabilite per le dichiarazioni mendaci (art. 76, d.P.R. n. 445/200).
Ne deriva che, ai fini dell’applicazione delle modalità semplificate di comunicazione, non vi è alcuna necessità di imporre che il contratto di trasporto e/o di appalto venga stipulato per iscritto ovvero che esso debba essere registrato, essendo all’uopo maggiormente funzionali proprio le sanzioni previste per le dichiarazioni mendaci dalla normativa in materia di autocertificazione.
Scheda n. 12
Illegittimità del regolamento comunale che amplia la platea dei contibuenti prevista dalla normativa statale
CONS. STATO, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4158; CONS. STATO, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4161
L’art. 4, comma 3 bis, prima parte, del decreto legislativo n. 23 del 2011 stabilisce:
"I comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all'imposta di soggiorno di cui al comma 1 del presente articolo, un'imposta di sbarco, da applicare fino ad un massimo di euro 1,50, da riscuotere, unitamente al prezzo del biglietto, da parte delle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea. La compagnia di navigazione è responsabile del pagamento dell'imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale".
Secondo l'art. 2, comma 2, del regolamento impugnato, "l'imposta di sbarco è corrisposta da ogni persona fisica ... che arrivi nell'isola di Capri avvalendosi di soggetti abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l'isola". Seguono disposizioni sui soggetti tenuti alla riscossione e sulle modalità di riscossione e di riversamento.
Al di là dell'impegno dialettico del Comune, è evidente che il regolamento abbia ampliato la platea dei contribuenti al di là dei limiti previsti dalla legge. Che il richiamato art. 4 abbia solo inteso individuare le compagnie di navigazione di linea come soggetti incaricati della riscossione e non anche i relativi passeggeri come (soli) soggetti colpiti dal tributo è una tesi troppo paradossale per poter essere presa seriamente in considerazione, poiché finirebbe per costringere le compagnie di linea ad esigere l'imposta di sbarco anche da parte di coloro che utilizzino vettori diversi.
Questo ampliamento non è consentito, poiché "le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti..." (art. 1, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446).
Scheda n. 13
Illegittimità del regolamento comunale che imponga una localizzazione particolareggiata della “rete di comunicazione”
TAR Abruzzo, Pescara, 3 agosto 2015, n. 331
Le reti pubbliche di comunicazione, sono delle opere di urbanizzazione primaria (artt. 86 e 87 d.lgs. n. 259/2003) e non possono subire "limiti di localizzazione", dovendo la "rete" trovare completa attuazione sull'intero territorio nazionale (C.cost.n. n. 307 e 331/2003).
Lo strumento urbanistico non può sovrapporsi alla legge statale e gli impianti d'interesse generale trovano collocazione sull'intero territorio nazionale, per il principio di accessibilità al servizio da parte di tutti i cittadini, superando ogni diversa zonizzazione di piano, fatto salvo quella che è una specifica previsione urbanistica, e venendo comunque a realizzare la copertura del servizio sull'intero territorio comunale, come nel caso in esame.
Il potere comunale si ferma alla disciplina del territorio sotto il profilo strettamente urbanistico-edilizio, mentre è da ritenersi illegittima qualsiasi norma regolamentare che imponga una localizzazione particolareggiata della "rete di comunicazione".
Nella fattispecie, il Comune ha interpretato il regolamento delle "Antenne", di cui alla delibera n. 33/27.01.2014, in senso preclusivo all'installazione delle "Srb" che, essendo percepibili all'occhio umano, altererebbero la visuale; la sua applicazione si traduce, in pratica, in un generalizzato diniego alla collocazione, sul territorio comunale, della rete di telecomunicazione, e va dichiarata l'illegittimità dello stesso per la parte interessante l'istanza di autorizzazione della Ericsson, datata 26.05.2015 (Suap prot, n. 10377), che prevede la "Srb" in contrada Atriena.
Scheda n. 14
Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
CONS. STATO, sez. V, 23 settembre 2015, 4466
Il Sindaco di Napoli ha emanato una ordinanza contingibile ed urgente, che non contiene una specifica motivazione sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla normativa.
Per la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti possono essere emanate per fronteggiare situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana (cfr. da ultimo, Cons. St. Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3024; Sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3007).
Per imporre la bonifica e la messa in sicurezza dei siti inquinati, in linea di principio le Amministrazioni possono emanare i provvedimenti previsti dagli artt. 244 ss. del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, in particolare, quello previsto dall'art. 244, comma 2, per il quale, qualora sia stato riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza (d'emergenza o definitiva), di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti ai soggetti "responsabili dell'inquinamento", sulla base del relativo procedimento.
Qualora le esigenze della bonifica o della messa in sicurezza risultino impellenti, il Comune può senz'altro emanare l'ordinanza contingibile ed urgente, ma in tal caso dalla relativa motivazione devono risultare le relative ragioni d'urgenza, che non possono essere in re ipsa.
Nella specie, dalla complessiva documentazione depositata emerge che la "colmata" sia composta anche da materiali contenenti sostanze inquinanti (ad es., l'arsenico, il vanadio, il cadmio, il piombo, lo stagno, lo zinco, gli idro policliclici aromatici, il ferro, il nichel), ma è anche vero che una tale situazione è molto risalente nel tempo.
L'emanazione di un provvedimento contingibile ed urgente si sarebbe giustificata ove dall'istruttoria fosse emerso un improvviso peggioramento delle condizioni ambientali, ciò che peraltro non risulta né provato, né riferito nell'atto impugnato in primo grado.
Scheda n. 15
Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Toscana, Firenze, 15 settembre 2015, n. 1238.
Il provvedimento testualmente "si fonda sulla necessità... di rimuovere la situazione di pericolo in atto, divenuta ormai insostenibile per il tempo trascorso"; tuttavia in cosa si sostanzi il pericolo non viene esplicitato, limitandosi il Sindaco nelle premesse a rilevare "la necessità prioritaria di eseguire lavori di sistemazione dell'area interessata, in stato di totale abbandono da oltre sette anni", occupata di fatto, secondo l'amministrazione, da ENI s.p.a.. Nel provvedimento si parla di una generica messa in sicurezza, ma non si indica il tipo di situazione pericolosa, sicché riescono fondate le doglianze di eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto dei presupposti legittimanti e conseguente travisamento, illogicità e difetto di motivazione, di cui al primo motivo di ricorso.
Infatti, contrariamente a quanto si afferma nell'ordinanza impugnata (con argomentazioni che il Comune ha ripreso e ribadito in sede difensiva agitando la questione della nullità del contratto di concessione), l'occupazione dell'area di cui trattasi non era un'occupazione di fatto, sfornita cioè di titoli che la legittimassero, bensì una legittima utilizzazione dell'area in forza della concessione diciottennale ancora in corso e delle previsioni dei Piani particolareggiati del 1998 e del 2006 relative alla ristrutturazione dell'impianto di distribuzione di carburante.
La situazione di stallo dei lavori di ristrutturazione e sistemazione non è imputabile alla società ricorrente, ma è dipesa dalle disavventure dei Piani particolareggiati, il più risalente annullato, come si è avuto modo di dire, da questo Tribunale, il secondo arenatosi su difficoltà frapposte dall'ANAS rispetto alle cui indicazioni il Comune di Aulla è rimasto inerte.
Con più specifico riguardo ai presupposti dell'esercizio del potere di cui all'art. 54 TUEL e del D.M. attuativo del Ministero dell'Interno del 5 agosto 2008 si osserva:
che nel provvedimento impugnato non si fa alcun cenno al pericolo grave per l'incolumità pubblica o la sicurezza urbana di cui alla richiamata disciplina specifica; le situazioni che vengono menzionate (come più sopra di è detto) non sono tali da rappresentare grave pericolo per l'integrità fisica della popolazione e per le condizioni di vivibilità, per la convivenza civile e la coesione sociale (così il D.M. su citato, all'art. 1, descrive l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana);
che il pericolo grave e imminente di danno non viene descritto e neppure genericamente richiamato, laddove la giurisprudenza ha chiarito che il pericolo deve essere effettivo e incombente (si veda, fra molte, Tar Lazio - Roma, II-quater, 31 gennaio 2015, n. 1749), quindi non altrimenti fronteggiabile, e deve essere accertato attraverso una puntuale istruttoria ed esplicitato con adeguata motivazione;
che manca anche il carattere dell'imprevedibilità e dell'urgenza (si veda la sentenza del Tar Lazio cit.), atteso che la situazione del cantiere ENI aperto nell'area in questione durava da anni;
che solo la presenza di tutti i presupposti su menzionati giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale dei provvedimenti contingibili e urgenti (cfr.: Cons. Stato, V, 2 marzo 2015, n. 988).
Scheda n. 16
Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Lazio, Roma, 25 settembre 2015, n. 11402
Il contenzioso nasce da un provvedimento inibitorio attraverso il quale i competenti uffici del Comune di Fiumicino hanno, con lo stesso atto, invitato la società ricorrente a non installare un impianto mobile provvisorio di telefonia e segnalato, nel contempo, la presenza di una ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi dell’art. 50 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, con la quale il Sindaco del Comune di Fiumicino ha disposto la sospensione di tutte le procedure di installazione di impianti di telefonia mobile fino alla redazione del Piano “degli impianti” all’esito di un monitoraggio delle aree da questi impianti interessate.
Più volte la giurisprudenza del giudice amministrativo (cfr., ex multis, le numerose decisioni a partire da T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 3 agosto 2006 n. 7815 fino a T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 settembre 2014 n. 4744 e T.A.R. Marche, Sez. I, 12 dicembre 2014 n. 1021), proprio in casi analoghi a quello oggetto del presente contenzioso, rispetto ai quali un Sindaco aveva adottato una ordinanza contingibile ed urgente al fine di sospendere, per prospettate ragioni di garanzia della pubblica incolumità dei cittadini, lo svolgimento di tutti i procedimenti di rilascio dei titoli abilitativi ad installare impianti di telefonia mobile nonché l’efficacia dei provvedimenti eventualmente già adottati, ha avuto occasione di stigmatizzare, in quanto idoneo a costituire una procedura contraria a legge, il ricorso all’adozione, da parte di Sindaci, di ordinanze contingibili ed urgenti, esercitando impropriamente il potere a loro attribuito dalle disposizioni recate dagli artt. 50, comma 3 e 54, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 nei confronti di società di telecomunicazioni, attraverso le quali, sul presupposto della salvaguardia delle esigenze di tutela della salute pubblica, viene ordinata l'immediata sospensione, su tutto il territorio comunale, di ogni attività volta all'istallazione di infrastrutture e/o di antenne di telefonia mobile, in assenza del preventivo accertamento di una situazione di pericolo effettivo, eccezionale ed imprevedibile. In particolare in tali occasioni è stato ribadito che l'esercizio del potere di cui agli articoli 50, comma 3, e 54, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 presuppone, da un lato, una situazione di pericolo effettivo, da esternare con congrua motivazione, e, dall'altro, una situazione eccezionale e imprevedibile, alla quale non è possibile far fronte con i mezzi previsti in via ordinaria dall'ordinamento.
Nel caso di specie la sospensione è stata disposta in quanto il Comune si stava predisponendo all’adozione di un Piano territoriale per la telefonia mobile. Appare evidente come, in assenza di un conclamato pericolo per la salute delle persone che abitano e che si trovano nell’area territoriale in questione, l’adozione di una ordinanza contingibile ed urgente di competenza sindacale appare affetta dal vizio dell’eccesso di potere nella misura sintomatica dello sviamento rispetto all’obiettivo che il legislatore ha voluto attribuire ai Sindaci nell’assegnare il potere di adottare ordinanze contingibili ed urgenti a tutela della salute pubblica.
Nello specifico si rammenta come la costante giurisprudenza afferma da tempo che le ordinanze contingibili ed urgenti adottate dai Sindaci volte ad impedire o a sospendere la installazione di antenne od impianti di telefonia costituiscono una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche nel caso in cui non sia stato previamente e puntualmente accertato il pericolo che incombe sulla popolazione per effetto dell’esercizio di tali impianti, dal momento che l'art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro della salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 5 agosto 2005 n. 4159, 14 febbraio 2005, n. 450, 3 giugno 2002 n. 3095 e 20 dicembre 2002 n. 7274 nonché Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2006 n. 3534, 26 agosto 2003 n. 4841, 30 luglio 2003 n. 4391, 30 maggio 2003 n. 2997 e 1° aprile 2003 n. 1226).
In conclusione l'esercizio del potere sindacale di emanare ordinanze contingibili ed urgenti non può mai prescindere dalla ricorrenza di un pericolo concreto ed attuale di danno grave ed imminente per la salute pubblica, che richieda interventi non dilazionabili, al quale non possa provvedersi con mezzi ordinari. Ne discende che dette ordinanze devono normalmente essere precedute da un'attività istruttoria finalizzata all'accertamento della situazione di grave pericolo, concreto ed attuale, per il bene protetto della salute pubblica o dell'incolumità dei cittadini e non possono essere giustificate, come è avvenuto nel caso di specie, dalla necessità di adottare un piano comunale per l’installazione di impianti di telefonia.
Scheda n. 17
Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Lazio, Roma, 19 agosto 2015, n. 10859.
Affinchè il Sindaco possa esercitare il proprio potere di ordinanza a tutela della salute e della pubblica incolumità è necessario che sia accertato con ragionevole precisione e determinatezza, l’incombente pericolo di un danno grave alla pubblica incolumità, che non sia possibile prevenire o impedire con il ricorso ai normali mezzi apprestati dall’ordinamento.
Dall’esame degli attidel giudizio, il Tar non evince né i presupposti di gravità, né l’imprevedibilità e l’imminenza del pericolo, né l’esistenza di ragioni che impediscano il ricorso agli strumenti ordinari previsti dall’ordinamento (la motivazione dell’ordinanza muove dalla circostanza che si sono verificati allagamenti e che le “infiltrazioni possono nel tempo provocare danni ai locali interessati…ed alle strutture portanti, con conseguente pericolo per la statica dell’edificio”, così prospettando solo la possibilità di un evento futuro ed incerto), avendo riguardo alla pendenza dell’accertamento tecnico preventivo, ovvero di un’attività delle parti già in atto e tesa all’individuazione delle ragioni delle infiltrazioni e degli interventi necessari ad eliminarle.
Scheda n. 18
Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco
TAR Puglia, Lecce, 10 settembre 2015, n. 2684
Il potere di urgenza può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e imprevisto, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali non sia possibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico e unicamente in presenza di un preventivo accertamento della situazione, fondato su prove concrete e non su mere presunzioni: tali presupposti non ricorrono, dunque, laddove il Sindaco possa fronteggiare la situazione con rimedi di carattere corrente nell'esercizio ordinario dei suoi poteri, ovvero la situazione possa essere prevenuta con i normali strumenti apprestati dall'ordinamento.
Nel caso in esame, l'ordinanza impugnata è stata adottata sul presupposto della presenza di due cani all'interno di una proprietà privata a cagione del loro abbaiare nelle vicinanze di una proprietà privata "quando gli stessi si rendevano conto della presenza di estranei".
Appare quindi evidente che la stessa non è stata adottata al fine di tutelare la salute e incolumità pubblica, bensì il disturbo di un vicino, peraltro accertato solo ove si verifichi la presenza di estranei, e quindi una circostanza non rientrante nella eccezionalità e imprevedibilità (dato che è piuttosto normale che i cani abbaino in presenza di estranei) ben superabile con altri rimedi apprestati dall'ordinamento.
Scheda n. 19
Ordinanze sindacali concernenti la viabilità
CONS. STATO, sez. V, 7 agosto 2015, n. 3887.
L’atto impugnato consiste in una ordinanza sindacale di chiusura di una strada al traffico
per i mezzi pesanti oltre 50 quintali, quindi, nell'esercizio dell'ordinario potere di ordinanza sindacale concernente la viabilità.
Infatti l'art. 50 del D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267, espressamente richiamato nel provvedimento impugnato, concerne expressis verbis l'ordinario potere di ordinanza, mentre l'esercizio del potere di adozione di ordinanze contingibili ed urgenti trova la sua specifica disciplina nell'art. 54 dello stesso testo unico, che non è stato richiamato nel provvedimento impugnato: nella vicenda in esame il sindaco non si è avvalso di tale strumento di carattere straordinario.
Né può condividersi l'assunto della sentenza di primo grado, secondo cui va distinto «il potere di ordinanza ex art. 50 limitato al ristretto ambito delle materie della sanità e dell'igiene pubblica da quello di cui all'art. 54 il quale al comma 2 dispone che il Sindaco nella sua qualità di ufficiale di governo può adottare provvedimenti contingibili ed urgenti al fine di prevenire o reprimere pericoli che minaccino l'incolumità dei cittadini».
Al riguardo la Corte Costituzionale, con sentenza n. 220/2014, ha richiamato l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di merito che di legittimità, secondo cui l'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 è una statuizione di carattere generale, attributiva del potere al sindaco «quale rappresentante della comunità locale» (in tal senso, Cons. Stato, sent. n. 3271/2014; ord. n. 2133, n. 996/2014 e n. 2712/2013).