Lo scorso 18 dicembre 2015 è entrata in vigore la legge n. 199 del 2015 con la quale l’Italia ha ratificato e reso esecutivo il Protocollo opzionale alla Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo (d’ora innanzi “Convenzione”), adottato dall’Assemblea Generale ONU nel 2011 ed entrato in vigore sul piano internazionale il 14 aprile 2014 al deposito del decimo strumento di ratifica.
Il Protocollo apporta innovazioni rilevanti per rafforzare l’effettività della tutela sancita dalla Convenzione. Questa, infatti, pur rappresentando il primo trattato dedicato alla protezione complessiva del minore, non ha previsto un sistema di controllo basato sulle comunicazioni individuali e interstatali. La Convenzione ha, infatti, istituito il Comitato sui diritti del fanciullo, organo composto da 18 esperti della materia indipendenti dagli Stati, e ha conferito ad esso soltanto la funzione di monitorare l’adempimento della Convenzione attraverso l’esame dei rapporti che gli Stati contraenti devono presentare periodicamente al fine di ricevere osservazioni, commenti e raccomandazioni.
Le competenze del Comitato sono state notevolmente ampliate dal Protocollo.
Le nuove procedure, innanzitutto, non riguardano soltanto il controllo sull’adempimento della Convenzione ma anche dei suoi due Protocolli opzionali relativi il primo alla vendita dei minori, la prostituzione minorile e la pedopornografia e l’altro al coinvolgimento dei minori nei conflitti armati. Tuttavia, il Comitato esercita la sua competenza nei confronti di uno Stato parte soltanto per violazioni dei diritti enunciati in uno strumento di cui tale Stato sia parte contraente (art. 1, comma 2, del Protocollo).
I meccanismi di controllo introdotti dal Protocollo sono di tre tipi: comunicazioni individuali (art. 5), comunicazioni interstatali (art. 12) e procedura di inchiesta per violazioni gravi e sistematiche (artt. 13).
In ogni caso le funzioni attribuite al Comitato dovranno essere esercitate nel rispetto dei due principi generali della tutela internazionale dei minori: il best interest of the child, che impone una prospettiva di parte nelle valutazioni che riguardano il fanciullo, e il diritto alla partecipazione del minore (in modo compatibile e proporzionale alla sua età e maturità) nella elaborazione delle decisioni che lo riguardano, il quale impone condizioni procedurali da precisare nel regolamento di procedura.
Le comunicazioni individuali possono provenire dal minore stesso (oppure da un gruppo di minori) che si consideri vittima di violazioni oppure da una persona che agisce “per suo conto” e con il suo consenso.
La particolare vulnerabilità del minore richiede specifiche cautele nell’esercizio delle funzioni del Comitato anche al fine di evitare che la sua persona venga manipolata o strumentalizzata dagli adulti.
In proposito l’art. 3, comma 2, del Protocollo prevede che il Comitato stabilisca nel proprio regolamento norme specifiche “per evitare che il minore sia manipolato da chi agisce per suo conto e può rifiutare di esaminare una comunicazione che considera non essere nell’interesse superiore del minore”. Questa disposizione evidenzia che il Comitato abbia il potere discrezionale di valutare quale sia il “best interest of the child” in una determinata situazione e presuppone che questa nozione abbia carattere oggettivo e non dipenda dalle opinioni soggettive dei genitori o di coloro che esercitino una funzione tutelare.
Un’ulteriore cautela è prevista dall’art. 4 che garantisce che l’identità delle persone coinvolte in un caso sottoposto al Comitato non sia rivelata al pubblico senza l’espresso consenso delle stesse. La disposizione impone inoltre un obbligo positivo sugli Stati interessati i quali sono tenuti ad adottare “tutte le misure necessarie” per assicurare che i soggetti che si trovino sotto la sua giurisdizione non siano sottoposti ad alcuna violazione dei diritti umani, violenza o intimidazione in conseguenza della presentazione di comunicazioni o della collaborazione col Comitato. In via generale, inoltre, il Comitato che abbia ricevuto una comunicazione può richiedere ad uno Stato interessato, ancor prima di decidere sul merito, l’adozione di “misure provvisorie” che si rivelino necessarie in una situazione eccezionale “al fine di evitare un eventuale danno irreparabile alla vittima o alle vittime delle asserite violazioni” (art. 6).
Durante i lavori preparatori era stata avanzata la proposta di introdurre anche un meccanismo di comunicazioni collettive da parte delle associazioni rappresentative degli interessi dei minori. Questa proposta, che pure era stata apprezzata dal Comitato e da alcuni Stati, alla fine non è stata accolta. Alle ONG risulta dunque precluso il ruolo di denuncia e di advocacy che esse avrebbero potuto esercitare presentando comunicazioni riguardanti discipline e politiche nazionali generali lesive degli interessi dei fanciulli, senza l’identificazione di violazioni specifiche.
La seconda procedura introdotta dal Protocollo concerne invece la possibilità di presentare comunicazioni interstatali con le quali uno Stato parte sostiene che un altro Stato parte abbia violato i diritti spettanti al minore. La sua operatività ha tuttavia carattere opzionale. Come prevede l’art. 12, comma 2, infatti, il Comitato non riceve le comunicazioni relative ad uno Stato parte o che provengono da uno Stato parte che non abbia effettuato la specifica accettazione della sua competenza. Questa procedura inoltre ha il carattere proprio dei mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali poiché è previsto che il Comitato metta a disposizione delle parti i propri buoni uffici al fine di facilitare una composizione amichevole della questione. Essa non ha dunque natura giudiziale ma tende a facilitare la conclusione di un accordo tra gli Stati.
Il Protocollo disciplina poi la procedura di inchiesta per violazioni gravi e sistematiche dei diritti del minore commesse da uno Stato parte. Essa non ha carattere opzionale ma è comunque caratterizzata dalla previsione di un meccanismo di opting out in base al quale ciascuno Stato parte può, al momento della firma o della ratifica o dell’adesione allo stesso, dichiarare di non riconoscere la relativa competenza del Comitato. Il meccanismo impone comunque che la scelta sia effettuata dagli Stati al momento in cui manifestano la volontà di partecipare al trattato ed esclude, pertanto, la sua applicazione in un momento successivo.
La procedura è attivata nel caso in cui il Comitato riceva informazioni attendibili sulla perpetrazione di violazioni gravi e sistematiche dei diritti del minore. Essa richiede un immediato coinvolgimento dello Stato interessato affinché questo possa collaborare con il Comitato nell’accertamento dei fatti e presentare le proprie osservazioni in merito. Tenendo conto delle informazioni raccolte, il Comitato può procedere a incaricare uno o più dei propri membri di svolgere un’inchiesta riservata (eventualmente anche in loco con il consenso dello Stato parte) e di riferire con urgenza sulle risultanze ottenute. Il Comitato eventualmente trasmette i risultati dell’inchiesta allo Stato interessato insieme ai commenti e alle raccomandazioni che ritenga opportuni. Lo Stato avrà poi 6 mesi di tempo per presentare le proprie osservazioni conclusive al Comitato. Conclusa la procedura, il Comitato potrà inserire, con il consenso dello Stato interessato, un resoconto dell’inchiesta nel rapporto sulla propria attività che presenta ogni due anni all’Assemblea Generale dell’ONU.
Il successo della procedura dipenderà essenzialmente dalla disponibilità dello Stato interessato a cooperare con il Comitato. È dunque difficile prevederne in astratto il grado di effettività. È certo, tuttavia, questa disciplina assegni un ruolo potenzialmente incisivo al Comitato, il quale potrebbe contribuire sia a far luce sulle violazioni, grazie anche alle segnalazioni e informazioni provenienti dalla società civile, sia a guidare lo Stato interessato a collaborare e a risolvere eventuali situazioni critiche.
Il Protocollo infine prevede, all’art. 17, che gli Stati parti si impegnino a diffondere la conoscenza circa le procedure da esso previste, agevolando l’accesso di adulti e bambini alla giurisprudenza del Comitato, con particolare riferimento alle questioni che riguardano lo Stato parte. Ciò dovrebbe richiedere anche l’attivazione di specifici canali di comunicazione e collaborazione tra il Comitato e gli eventuali organi che agiscono a livello nazionale per assicurare la tutela dei minori.
Per quanto riguarda l’Italia, la legge n. 199 non ha provveduto a istituire una disciplina di raccordo con la legge n. 112 del 12 luglio 2011 istitutiva dell’Autorità garante per l’infanzia. Questo intervento sarebbe stato invece opportuno, dato che tra le principali competenze dell’Autorità vi è proprio quella di “promuovere l’attuazione della Convenzione di New York” (art. 3, comma 1, lett. a) della Legge 112 del 2011). L’esecuzione del Protocollo avrebbe, peraltro, fornito l’occasione per apportare modifiche alla legge n. 112 utili a promuovere la conoscenza e a valorizzare le potenzialità di tutela offerte dalle nuove procedure di controllo in ottemperanza all’art. 17 del Protocollo.