Tra le novità relative alla Provincia di Bolzano nel periodo agosto-ottobre 2016 si segnala:
Impugnativa della legge provinciale 20 giugno 2016, n. 14 “Modifiche di leggi provinciali in materia d’istruzione”. Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 2016.
La delibera di impugnazione del Governo muove da una ricostruzione del quadro normativo in materia di istruzione, evidenziando come la legge n. 107/2015 (“Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”) contenga specifiche clausole di salvaguardia per le autonomie speciali, e in particolare per la Provincia autonoma di Bolzano, che, ai sensi dell’art. 9, n. 2, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol ha competenza legislativa concorrente in materia di “istruzione elementare e secondaria (media, classica, scientifica e magistrale, tecnica, professionale e artistica)”.
Più in particolare la legge n. 107/2015 prevede al comma 191: “Sono fatte salve le potestà attribuite alla provincia autonoma di Bolzano dallo statuto speciale e dalle rispettive norme di attuazione, nonché ai sensi dell'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. La provincia autonoma di Bolzano provvede all’adeguamento del proprio ordinamento nel rispetto dei principi desumibili dalla presente legge” e al comma 211: “Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione”.
La legge provinciale impugnata, secondo il Governo, eccede dalle competenze attribuite alla Provincia e presenta aspetti di incostituzionalità con riferimento ai tre seguenti articoli.
a) L’art. 1, comma 2, che nel modificare la l.p. n. 12/2000 in materia di autonomia delle scuole, introduce l’art. 13-bis che prevede, al comma 1, un sistema di valutazione dei dirigenti scolastici composto di tre fasi: 1) la valutazione del servizio in anno di prova; 2) la valutazione del servizio annuale; 3) la valutazione del servizio globale. Il comma 2 del nuovo art. 13-bis individua poi nell'ispettore scolastico ovvero in un team di due ispettori i soggetti competenti a formulare la proposta di valutazione del dirigente scolastico, fermo restando il ricorso al team nella valutazione del servizio nell’anno di prova e nella valutazione del servizio globale. Con specifico riferimento al servizio annuale e al servizio globale, il comma 4 del nuovo art. 13-bis, prevede poi la possibilità che il dirigente scolastico sia valutato attraverso una forma di valutazione “alternativa" che può essere approvata dall'intendente scolastico, su richiesta del medesimo dirigente scolastico.
Le predette disposizioni sarebbero in contrasto con i principi fondamentali in materia di istruzione contenuti nell’art. 25, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, secondo il quale i dirigenti scolastici sono valutati in ordine ai risultati, tenendo conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate, da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica territoriale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all'amministrazione stessa. Sarebbero altresì in contrasto con i principi contenuti nel d.P.R. n. 80/2013 (“Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”), nel d.lgs. n. 150 del 2009 (“Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, e nella “Direttiva del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 28 giugno 2016, n. 25 sulla valutazione dirigenti scolastici”; nonché con i principi in materia di valutazione dei dirigenti scolastici contenuti nell’art. 1, comma 93 e 94 della legge delega n. 107/2015.
Pertanto, le disposizioni provinciali che, con formulazione generica e non sufficientemente dettagliata, prevedono il ricorso a modalità di valutazione dei dirigenti scolastici diverse da quelle previste alla legislazione statale, con un possibile impatto sull’esito e sulla successiva assegnazione dell’indennità di risultato, non rispetterebbero i principi fondamentali in materia di istruzione contenuti nella legislazione statale, eccedendo dalla competenza statutaria di cui all’art. 9, n. 2, violando altresì, in ragione dell’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, l’art. 117, terzo comma, Cost. Esse inoltre, stabilendo modalità di valutazione dei dirigenti scolastici diverse da quelle previste nel rimanente territorio nazionale, violerebbero il principio costituzionale di parità di trattamento di cui all’art. 3 della Cost.
b) L’art. 3, comma 2, aggiunge l’art. 1-septies alla l. p. n. 5/2008, riguardante la valutazione del rendimento scolastico degli studenti. Tale norma affida a ciascuna istituzione scolastica la possibilità di sviluppare proprie modalità di valutazione delle competenze degli studenti fino al primo biennio della scuola secondaria di secondo grado (comma 1), stabilisce che sulla base di tali modalità possano essere formate classi o gruppi di alunni che prescindono dall'anno di corso e dall’età degli studenti (comma 2), attribuisce infine a ciascuna istituzione scolastica la facoltà di decidere se sostituire la valutazione in cifre con altre modalità non meglio specificate e di decidere l’ammissione o non ammissione alla classe successiva esclusivamente al termine del triennio o dei bienni previsti dalle indicazioni provinciali (comma 3).
Il predetto articolo introduce una disciplina della valutazione del rendimento scolastico degli studenti che si discosta nettamente dalla legislazione statale di settore, la quale prevede la valutazione periodica ed annuale degli alunni mediante l'attribuzione di voti numerici espressi in decimi, e giudizi sul livello di maturazione raggiunto, nonché l’ammissione annuale alla classe successiva. La norma provinciale contrasta in particolare con le disposizioni riguardanti la valutazione del rendimento scolastico degli studenti, contenute nell’art. 3 d.l. n. 137/2008 (“Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università”) e con i principi contenuti nel
d.P.R. n. 122/2009 (“Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169”); negli articoli 146 comma 2, 179 comma 2, e 185 commi 3 e 4 del d.lgs. n. 297/1994, n. 297 (“Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado”). La norma provinciale sarebbe altresì in contrasto con i principi in materia di valutazione dei dirigenti scolastici contenuti nell’art. 1, comma 180 e comma 181, lett. i), della legge delega n. 107/2015.
Pertanto, l’art. 3, comma 2, in esame, nell’aggiungere il menzionato art. 1-septies alla l. p. n. 5/2008, introduce una disciplina riguardante la valutazione del rendimento scolastico degli studenti che si discosta in maniera significativa dalla disciplina statale in materia. Per tale ragione sarebbe ciò in contrasto con i principi fondamentali in materia di istruzione contenuti nella legislazione statale, eccedendo dalla competenza statutaria di cui all’art. 9, n. 2, e violando altresì, in ragione dell’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, l’art. 117, terzo comma, Cost.
Inoltre comporterebbe una disparità di trattamento degli alunni in virtù della difficoltà di comparazione degli esiti degli studenti tra scuola e scuola e, nel caso di trasferimento ad istituzione di altra provincia o regione, comporterebbe altresì la difficoltà di individuare la classe di riferimento per l’iscrizione degli studenti. Di qui la violazione del principio di parità di trattamento di cui all'art. 3 Cost.
c) L’art. 4, comma 4, della legge provinciale impugnata, che aggiunge i commi 6-bis e 6-ter all’art. 12 della l. p. n. 24/1996, recante “Consiglio scolastico provinciale e disposizioni in materia di assunzione del personale insegnante”, introduce la possibilità di conferire incarichi non superiori a 36 mesi e non rinnovabili, attraverso procedure di selezione effettuate a livello di singole scuole, anche a personale esterno alla categoria professionale del personale docente (comma 6- bis) ovvero a cooperative sociali o strutture simili (comma 6-ter).
Tale procedura è, secondo il Governo, incompatibile con la normativa statale che disciplina le procedure di reclutamento del personale a tempo determinato, che deve essere assunto tra personale docente con abilitazione ovvero con titolo di studio che consente l’iscrizione nelle graduatorie d'istituto.
Inoltre la legislazione statale prevede per un verso che il servizio svolto da personale non docente non può essere in alcun modo valutato come servizio d' insegnamento e per altro verso che le cooperative sociali non prevedono la stipula di contratti per la categoria del personale docente.
La previsione provinciale si presenta quindi in contrasto con i principi contenuti nella l. n. 124/1999 (“Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico”); nel d.m. 131/2007 (“Regolamento recante norme per il conferimento delle supplenze al personale docente ed educativo, ai sensi dell'articolo 4 della L. 3 maggio 1999, n. 124”), nel d.m. n. 249/2010 (“Regolamento concernente: «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell'articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”); nell’art. 1, commi 107 e 131 della legge n. 107/2015.
Pertanto anche tale previsione provinciale sarebbe in contrasto con i principi fondamentali in materia di istruzione stabiliti dalla legislazione statale, eccedendo dalla competenza statutaria di cui all’art. 9, n. 2, e violando, in ragione dell’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, l’art. 117, terzo comma, Cost. Essa inoltre, violerebbe l’art. 97, terzo comma, Cost., che sancisce il principio secondo il quale "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge".