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La Corte richiama la sua consolidata giurisprudenza sulle leggi interpretazione autentica e rigetta una questione di costituzionalità su una disposizione di natura lavoristica (2/2016)

Sentenza n. 132/2016 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 10/06/2016; Pubblicazione in G. U. 15/06/2016, n. 24

Motivi della segnalazione

Il Consiglio di Stato, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 476, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014).

Viene in rilievo, come oggetto della questione di costituzionalità, una disposizione di interpretazione autentica che, a proposito di altre disposizioni in materia lavoristica sul trattamento economico di prestazioni lavorative rese nel giorno del riposo settimanale o in un altro giorno festivo, statuisce che esse «si interpretano nel senso che la prestazione lavorativa resa nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale non dà diritto a retribuzione a titolo di lavoro straordinario se non per le ore eccedenti l'ordinario turno di servizio giornaliero. Sono fatti salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato alla data di entrata in vigore della presente legge».

Senza analizzare qui nello specifico la normativa pertinente, rileva qui il fatto che il giudice rimettente ritiene che alla disposizione in esame non possa essere attribuita natura interpretativa con la conseguente portata retroattiva, in quanto la definizione del criterio di computo del lavoro straordinario festivo (oggetto della norma interpretativa) avrebbe carattere innovativo, incidendo su istituti giuridici diversi, quali il riposo recupero e il diritto all'indennità compensativa del lavoro giornaliero (oggetto delle norme interpretate). Il medesimo giudice ritiene, dunque, che la norma censurata, con la sua retroattività non adeguatamente giustificata, inciderebbe irragionevolmente, violando l'art. 3 Cost., sul diritto ad una retribuzione equa e proporzionata al lavoro svolto (art. 36 Cost.).

La Corte dichiara non fondata la questione sul presupposto che l'intervento normativo, sui cui contenuti il giudice delle leggi si sofferma, ha effettiva portata interpretativa, dal momento che «il trattamento da riservare alle ore di lavoro prestate oltre l'orario ordinario era suscettibile di una duplice possibilità interpretativa: facendo riferimento alla durata dell'orario di lavoro di 36 ore settimanali di cui al comma 1 dei suddetti articoli, il parametro di computo delle ore di straordinario sarebbe stato settimanale, mentre, valorizzando il termine «giornaliero», utilizzato dai commi 3 e 8, rispettivamente, degli artt. 10 e 11 suindicati, il parametro dell'orario risulterebbe riferito solo alle ore eccedenti il servizio prestato nella giornata festiva» (punto 5 del Considerato in diritto). Tra queste due opzioni interpretative, la norma impugnata aveva optato per la seconda.

A supporto della sua decisione, la Corte, ribadito che il principio di irretroattività della legge risulta costituzionalizzato soltanto in materia penale, richiama la sua nota giurisprudenza sulle leggi interpretative. Si ricorda, in particolare, come vada riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno la finalità oggettiva di chiarire il senso di norme preesistenti o di escludere uno dei significati ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, non solo in presenza di incertezze applicative e di contrasti giurisprudenziali, «ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore» (ex plurimis: sentenze n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011, n. 209 del 2010) (punto 6 del Considerato in diritto».

Viene, inoltre, richiamata anche la più recente giurisprudenza costituzionale secondo la quale la questione non verterebbe tanto sulla natura effettivamente retroattiva di una norma, onde pervenire a giustificarne la retroattività, quanto sull'accertamento della ragionevolezza o meno della retroattività di una legge e sulla sussistenza di motivazioni di interesse generale a sostegno della stessa.

Bisogna poi considerare, perché rilevante in materia di rapporti tra fonti del diritto, censura relativa all'art. 117, comma 1, Cost., con riferimento ad un'asserita violazione dell'art. 6 della CEDU, generata, secondo il dubbio prospettato dal giudice a quo, dalla lesione del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo, i quali sarebbero stati incisi dalla norma retroattiva censurata, idonea a condizionare le situazioni processuali in corso. Secondo la giurisprudenza della Corte EDU – si rileva – è precluso al legislatore di interferire nella determinazione giudiziaria di una controversia, tranne il caso in cui ricorrano impellenti motivi di interesse generale.

Nel caso di specie, proprio l'accertata natura interpretativa della disposizione impugnata ha impedito alla stessa di incidere innovativamente sull'assetto normativo preesistente, producendo gli effetti lesivi dei principi di cui all'art. 6 CEDU a cui l'ordinanza di rimessione aveva fatto riferimento.

Osservatorio sulle fonti

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