Sentenza n. 108/2016 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 20 maggio 2016 – Pubblicazione in G.U. del 25/05/2016, n. 21.
Motivi della segnalazione
Il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 44 e 45, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), in riferimento agli artt. 3 e 117 della Costituzione (quest'ultimo in relazione agli artt. 1 e 2 della direttiva 27 novembre 2000, n. 2000/78/CE del Consiglio, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).
La questione è stata sollevata nell'ambito del giudizio promosso da una dipendente del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con qualifica di assistente amministrativo, la quale svolgeva su domanda funzioni superiori di reggenza di direttore dei servizi generali ed amministrativi (DSGA) presso un istituto scolastico. Per tale incarico la dipendente aveva stipulato con il dirigente scolastico in data 1° settembre 2012 – come era avvenuto per gli anni precedenti – un contratto individuale di lavoro per il periodo 1° settembre 2012-31 agosto 2013 che prevedeva la percezione di compensi aggiuntivi in determinate circostanze, qui verificatesi.
Il combinato disposto dei commi 44 e 45 dell'art. 1 della legge di stabilità per il 2013 stabiliva invece che, in luogo del criterio in precedenza adottato del trattamento della qualifica iniziale, si dovesse tenere conto dell'intero trattamento economico complessivamente goduto dall'assistente amministrativo incaricato.
In caso di rilevante anzianità di servizio, come nel caso in oggetto, ciò avrebbe comportato l'azzeramento del compenso per le mansioni superiori, in quanto il trattamento complessivo in godimento è già pari o superiore a quello previsto come trattamento tabellare per la qualifica iniziale di DSGA.
Il giudice a quo riteneva quindi violato l'art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto il criterio introdotto dalla legge di stabilità 2013 avrebbe prodotto la progressiva riduzione del compenso per le mansioni superiori parallelamente alla progressione economica del dipendente, sino ad annullarlo in casi come questo.
Il rimettente riteneva peraltro che la norma impugnata si ponesse in contrasto anche con il principio dell'affidamento di cui al medesimo art. 3 Cost. e con l'art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 1 e 2 della direttiva n. 2000/78/CE, la quale vieterebbe, tra l'altro, discriminazioni basate sull'età del lavoratore.
La Corte ha esaminato quindi preliminarmente se l'impugnata disposizione effettivamente ledesse il principio dell'affidamento tutelato, in una delle sue molteplici declinazioni, dall'art. 3 Cost.
Il principio dell'affidamento, benché non espressamente menzionato in Costituzione – afferma la Corte – trova tutela all'interno di tale precetto tutte le volte in cui la legge ordinaria muti le regole che disciplinano il rapporto tra le parti come consensualmente stipulato. Malgrado tale divieto d'incidenza non abbia portata assoluta, non è consentito che la fonte normativa sopravvenuta incida irragionevolmente su un diritto acquisito attraverso un contratto regolarmente stipulato secondo la disciplina al momento vigente.
Si tratta in sostanza di verificare se nel caso di specie sussistano le condizioni per la tutela di un legittimo affidamento del funzionario nei confronti della norma sopravvenuta.
In definitiva, sintetizza la Corte, la questione da dirimere consiste nel verificare se la certezza del diritto, correlata alle esigenze di stabilità, di sicurezza e definitività dei rapporti giuridici nascenti dal contratto, sia comprimibile da un dato normativo successivo ispirato alle eccezionali esigenze di contenimento della spesa.
La questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della tutela dell'affidamento viene dichiarata fondata.
Nel caso in esame, l'inserzione automatica di una clausola di legge nel tessuto contrattuale già consolidato viene a stravolgere in modo sproporzionato alcuni elementi che caratterizzano in maniera pregnante il contratto in questione.
La Corte sottolinea: a) l'incidenza retroattiva sui presupposti del consenso, in relazione alla cui formazione risulta determinante – per la parte privata – il fattore della retribuzione, in concreto azzerato dalla norma sopravveniente; b) la lesione della certezza dei rapporti giuridici, considerato l'affidamento del contraente su un rapporto negoziale di natura corrispettiva; c) la modifica unilaterale, per fatto del legislatore, degli effetti del contratto, in relazione ai quali si evidenzia la asimmetria tra il permanere immutato degli obblighi di servizio e l'affievolimento del diritto alla retribuzione delle mansioni superiori.
Ai fini della decisione viene giudicato rilevante l'elemento temporale che ha caratterizzato la scansione cronologica intercorrente tra la stipula del contratto e il mutamento normativo.
Nel caso in esame assume rilievo la brevità del lasso temporale, appena quattro mesi, tra il momento in cui il funzionario ha stipulato il contratto – sulla base di una normativa prevista nel contratto collettivo di lavoro e, per di più, stabile nel tempo – e quello di entrata in vigore della nuova disposizione, radicalmente differente proprio con riguardo alle modalità retributive. Queste ultime sono state presumibilmente decisive nell'esercizio della precedente opzione di chiedere l'assegnazione alle mansioni superiori. È evidente in questo caso la lesione dell'affidamento del dipendente che, dopo la stipula, ha ormai fatto aggio sulla remunerazione della funzione temporaneamente affidatagli.
Oltre all'elemento temporale, la Corte analizza altresì il grado di meritevolezza dell'affidamento e la sproporzione dell'intervento legislativo che lo comprime. Sotto il primo profilo, deve essere considerata l'obiettiva configurazione incentivante del quadro normativo antecedente, il quale, attraverso una retribuzione certa, induceva l'assistente amministrativo ad accettare compiti e funzioni altrimenti non sufficientemente convenienti. Sotto il secondo profilo, risulta non proporzionato il sacrificio imposto al titolare di una situazione soggettiva perfetta derivante da un contratto regolarmente stipulato rispetto all'esigenza di contenimento della spesa.
Peraltro, la Corte ricorda che la norma non appare corredata da alcuna relazione tecnica circa i risparmi da conseguire e tale stima sarebbe obiettivamente difficile, considerato che la platea dei potenziali assuntori dell'incarico di mansioni superiori varia da soggetti che godrebbero della stessa retribuzione prevista dal vecchio assetto normativo ad altri che la perderebbero completamente.
Pertanto, il bilanciamento tra la posizione privata incisa dalla retroattività della norma e l'interesse pubblico sotteso al contenimento della spesa rende la disposizione stessa contrastante con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della lesione del principio dell'affidamento.
Dunque, il combinato disposto dei commi 44 e 45 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 viene dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude dalla sua applicazione i contratti di conferimento delle mansioni superiori stipulati antecedentemente all'entrata in vigore dello stesso.
Rimangono invece assorbite le altre censure sollevate in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost.