A cura di Fabio Pacini
Composta da quattro soli articoli (ma – come si dirà – con undici allegati), la legge merita di essere segnalata per il tentativo di “ibridare” diversi strumenti di semplificazione normativa e amministrativa già sperimentati a livello statale.
Un tentativo, del resto, dichiarato: al primo comma dell’art. 1 si premette come la legge detti disposizioni nell’ambito di cui al titolo «in armonia con la legge 15 marzo 1997, n. 59 […] e la legge 25 novembre 2005, n. 246». Dalla prima sembra venir mutuata l’idea di un “monitoraggio” dell’ordinamento affidato all’organo esecutivo, che si estrinseca nel combinato tra una ricognizione ed una conseguente proposta di legge, per quanto qui – a differenza dell’art. 20 della legge Bassanini – ci si limiti all’abrogazione espressa di disposizioni. Si prevede infatti (art. 1, comma 2) che la Giunta regionale proceda, entro il 31 maggio di ogni anno e «in relazione alle diverse materie di competenza legislativa regionale ai sensi dell’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, alla ricognizione delle disposizioni di leggi regionali delle quali è necessaria l’ abrogazione espressa», presentando, ai sensi del comma successivo, «entro trenta giorni dalla data di ultimazione dell’attività di ricognizione di cui al comma 2 […] al Consiglio regionale un’apposita proposta di legge recante l’elenco delle disposizioni di legge regionale da abrogare».
Tuttavia, quali «principi e criteri direttivi» per questa attività (espressione peraltro singolare dato che, ovviamente, non si tratta di una delega legislativa) si riprendono quasi verbatim, salvo i necessari adattamenti, principi e criteri di cui all’art. 14, comma 14 della l.n. 246 del 2005: la delega, cioè, all’individuazione delle leggi da salvare dall’automatica abrogazione ivi disposta (il c.d. taglia-leggi). Gli stessi criteri, cioè, che dovevano guidare – e hanno, in effetti, guidato – l’individuazione delle disposizioni da “salvare” vengono qui corretti per essere usati, specularmente, allo scopo di guidare l’abrogazione espressa.
Seguendo questa logica, la stessa l.reg. Lazio n. 6 del 2017 dispone, all’art. 4, l’abrogazione espressa di 446 leggi regionali, contenute negli undici allegati alla legge, indicati con lettere dalla A alla M e suddivisi nelle aree di competenza dei diversi assessorati.
Nell’art. 2, la legge regionale de qua prevede, secondo uno schema simile a quello dell’art. 1, che la Giunta presenti (senza però fare riferimento alla cadenza annuale) «al Consiglio regionale una o più proposte di testi unici, sotto forma di proposte di legge, volti alla disciplina di ciascun settore sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi», anche in questo caso con “principi e criteri direttivi” chiaramente ispirati ad un’altra esperienza, segnatamente quella dell’art. 20, comma 3 della l.n. 59 del 1997. Si segnala semmai, quale modalità di coinvolgimento consiliare nell’impulso a tali attività, la possibilità di cui al comma 2, ovvero che «la commissione consiliare competente per materia [possa], con apposita risoluzione adottata ai sensi dell’articolo 33, comma 4, dello Statuto, formulare indirizzi alla Giunta regionale per la predisposizione di una proposta di legge di testo unico, indicando anche l’oggetto, le fonti legislative e regolamentari della materia».
Seguendo, come si è premesso, il tentativo d’ibridare diverse esperienze precedenti, l’art. 3 guarda invece al versante regolamentare, prevedendo che la Giunta adotti «regolamenti volti a semplificare i procedimenti amministrativi di competenza dell’amministrazione regionale, nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 […] e dei principi di cui all’articolo 20, commi 4 e 8, della l. 59/1997 e successive modifiche», attenendosi ad una serie di principi mutuati anche in questo caso dall’art. 20 della l.n. 59 del 1997, in particolare dal suo comma 4.
Da segnalare come lo stesso art. 3 della legge de qua preveda (comma 3) che i regolamenti di cui al comma 1 siano «autorizzati da apposite leggi regionali che determinano le norme generali regolatrici della materia» e dispongano «ove necessario, l’abrogazione delle norme vigenti con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti medesimi», conferendo dunque loro un potere “delegificante” (possibilità, del resto, esplicitamente prevista dall’art. 47, comma 2, lett. c dello Statuto della Regione Lazio).
Nel complesso pare dunque trattarsi di un intervento di rilievo sotto il profilo della semplificazione tramite “pacchetti” di abrogazioni, sia per quelli disposti dalla legge stessa che per il tentativo d’innescare una ricorrente dinamica virtuosa. Vi è tuttavia il rischio che, come avvenuto a livello statale con le leggi di semplificazione previste dal modello al quale si torna a guardare con questa legge laziale, la Giunta non provveda o lo faccia solo saltuariamente; anche in questo caso infatti – e al di là dell’improprio riferimento a “principi e criteri direttivi” – la legge non fa che dare una sorta d’indirizzo di massima alla Giunta stessa. Potrebbe essere semmai rilevante il ruolo del Comitato per il monitoraggio dell’attuazione delle leggi e la valutazione degli effetti delle politiche regionali, istituito dalla l.reg. Lazio 8 giugno 2016, n. 7 e richiamato dallo stesso art. 1 della l.reg. Lazio n. 6 del 2017, che in questa attività potrebbe trovare un importante terreno sul quale lavorare ed acquistare spazi di manovra.
Non appaiono invece di grande rilievo gli articoli 2 e 3 della legge qui segnalata, relativi a testi unici e regolamenti di semplificazione: non si fa che riprendere qualcosa di già interamente previsto, rispettivamente, dagli articoli 36 e 47 dello Statuto, “indirizzando” (più che vincolando) la Giunta con affermazioni trovate aliunde e del resto, sovente, a loro volta di puro buonsenso più che d’indirizzo politico («semplificazione e riduzione dei passaggi e delle fasi procedimentali con eliminazione di quelli non necessari»).