Sono 7 le pronunce della Corte costituzionale che hanno riguardato la Regione Siciliana, emesse nei mesi marzo – maggio 2016, e segnatamente le ordinanze n. 73 e 88 del 2016, e le sentenze 77, 85, 103, 127 e 155 del 2016.
Tre di esse sono state pronunciate nel corso di un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale; due nell'ambito di un conflitto di attribuzione tra enti; due per censure di legittimità costituzionale in via principale sollevate dalla Regione Siciliana.
Con ordinanza n. 73 del 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della legge della Regione siciliana 28 gennaio 2014, n. 5 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale).
Il testo normativo così recita: «Al fine di migliorare l’efficienza del lavoro attraverso la riorganizzazione delle risorse umane del settore forestale, riunificando i lavoratori forestali alle dipendenze di un unico ramo dell’Amministrazione regionale, è trasferita al Dipartimento regionale Azienda regionale foreste demaniali la titolarità dei rapporti di lavoro con il personale impiegato nel servizio di antincendio boschivo di cui all’elenco speciale dei lavoratori forestali di cui all’articolo 45-ter della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 e successive modifiche e integrazioni e di cui all’articolo 44 della legge regionale 14 aprile 2006, n. 14, che vengono inseriti in un’unica graduatoria distrettuale congiuntamente a tutti gli altri lavoratori forestali di cui all’articolo 45-ter della legge regionale n. 16/1996 e successive modifiche e integrazioni nei relativi contingenti di appartenenza e con i criteri previsti dall’articolo 49 della legge regionale n. 16/1996. Gli addetti al servizio antincendio boschivo sono individuati prioritariamente in coloro che svolgevano già detta funzione, previo accertamento dell’idoneità specifica nella mansione».
A detta del Giudice remittente, il Tribunale ordinario di Marsala, sez. lavoro, tale norma prevederebbe «l’applicazione, con effetti retroattivi, alla graduatoria unificata con essa istituita, comprendente tutti i lavoratori forestali di cui all’elenco ex art. 45 ter della L.R. n. 16/1996, come introdotto dalla L.R. n. 14/2006, dei criteri di valutazione di cui all’art. 49 della stessa L. n. 16/1996».
L'utilizzazione pro passato di detti criteri, in particolar modo, impedirebbe di tenere conto della anzianità di servizio effettivamente maturata da parte dei lavoratori, con il conseguente deterioramento della posizione degli stessi dapprima iscritti nell'elenco speciale.
La questione di legittimità costituzionale è sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Segnatamente, l'efficacia retroattiva della regola di diritto impugnata contrasterebbe, a detta del decidente a quo, con i principi di ragionevolezza e di tutela dell’affidamento, ma anche con il diritto al giusto processo, in relazione al quale mancherebbero i motivi imperativi di interesse generale richiesti dalla giurisprudenza europea.
Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente ha osservato che l’applicazione della norma denunciata comporterebbe la lesione della legittima aspettativa del ricorrente nel processo principale all’avviamento al lavoro e all’assunzione a tempo indeterminato. Ciò in quanto lo stesso, per effetto della formazione della nuova classifica, si troverebbe collocato al dodicesimo posto della fascia di appartenenza con garanzia occupazionale di centocinquantuno giornate lavorative, anziché al primo posto, come era nella precedente graduatoria, vedendo così svanire la concreta possibilità di una prossima assunzione a tempo indeterminato.
Negando la asserita efficacia pro passato della norma de qua, la Corte costituzionale ha rilevato: «la scelta del legislatore regionale di modificare il sistema di avviamento dei lavoratori forestali con l’adozione di una graduatoria unica comporta l’applicazione di criteri di valutazione omogenei per tutti i lavoratori, non essendo compatibile con la graduatoria unica, come osserva anche il rimettente, l’inserimento in essa sulla base di parametri diversificati per categorie di lavoratori; i nuovi criteri di valutazione sono destinati a operare solo per il futuro, per la formazione delle nuove graduatorie unificate, non incidendo sulla loro efficacia – certamente non retroattiva – il fatto che possano avere a oggetto titoli di servizio precedentemente acquisiti e già valutati ai diversi fini della formazione delle vecchie graduatorie che confluivano nell’elenco speciale regionale».
Ha altresì evidenziato che «il principio generale di irretroattività non è derogato da norme che, disciplinando la formazione di graduatorie permanenti come quelle in esame, introducono nuovi criteri di inserimento nelle medesime, in quanto «proprio il carattere permanente delle graduatorie e il loro periodico aggiornamento consentono il cambiamento dei criteri di valutazione, che intervengono in una realtà soggetta a ciclico mutamento».
Risultando, a detta della Consulta, «palese l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente, i giudici delle leggi hanno concluso dichiarando, per l'appunto, la questione manifestamente infondata.
Con la sentenza n. 77 del 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Regione siciliana nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla nota del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 5 dicembre 2012, n. 26757 ed al decreto del Direttore generale delle finanze e del Ragioniere generale dello Stato del 5 dicembre 2012 (Modalità di individuazione del maggior gettito di competenza delle autonomie speciali da riservare all’Erario, ai sensi dall’articolo 2, comma 4, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2012, n. 122).
La Regione Siciliana lamentava che la nota ed il decreto pretendevano di includere tra le risorse riservate allo Stato anche il gettito dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) calcolata sull’incremento delle accise applicate sui carburanti, gettito riscosso nel territorio siciliano ed ammontante – da giugno a dicembre 2012 – ad euro 1.169.273,25.
Ciò avrebbe integrato, secondo la tesi della remittente, una violazione degli artt. 36, primo comma, dello statuto e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, atteso che tale entrata, diversamente da quella costituita dalle accise, sarebbe di sua integrale spettanza e non sussisterebbero gli estremi per la riserva erariale.
In particolare, quest’ultima richiederebbe una previsione legislativa che nella fattispecie difetterebbe, limitandosi l’art. 2, comma 3, del d.l. n. 74 del 2012 a contemplare la sola accisa sui carburanti. Dunque, tanto la nota quanto il decreto avrebbero ecceduto dal disposto normativo.
Si costituiva in giudizio in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il conflitto fosse dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.
La Consulta ha rilevato: «il citato comma 3 prevede che affluisca al Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, il maggior gettito tributario derivante dall’aumento di due centesimi al litro, fino al 31 dicembre 2012, dell’aliquota delle accise sui carburanti, mentre il successivo comma 4 demanda ad un decreto ministeriale di stabilire le modalità di individuazione del «maggior gettito di competenza delle autonomie speciali» da attribuire all’Erario. Dette disposizioni contemplano una riserva erariale che riguarda «le risorse derivanti dall’aumento» menzionato, locuzione sufficientemente ampia da includere tutte le maggiori entrate che l’aumento genera, ossia anche il maggior gettito dell’IVA applicata, facendo concorrere le accise alla formazione della base imponibile (a prescindere dalla legittimità di tale condotta, che nella fattispecie non viene in rilievo)».
In questo senso, «gli atti in relazione ai quali è stato promosso il conflitto non affermano o realizzano direttamente ed autonomamente l’acquisizione all’Erario del gettito dell’IVA derivante dall’aumento dell’aliquota delle accise sui carburanti – e quindi l’asserita violazione degli artt. 36 dello statuto siciliano e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 – ma si limitano a ribadire, esplicitare ed attuare quanto già prescritto dall’art. 2, commi 3 e 4, del d.l. n. 74 del 2012».
Inoltre, poiché lo stesso art. 2, comma 4, del d.l. n. 74 del 2012 non prevede alcuna forma di collaborazione con la Regione siciliana per l’adozione del decreto ministeriale, a detta dei giudici remittenti, la questione doveva ssere respinta anche sotto tale aspetto.
Con la sentenza n. 85 del 2016, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, terzo comma, della legge della Regione siciliana 6 luglio 1976, n. 79 (Provvedimenti intesi a favorire la più ampia informazione democratica sull’attività della Regione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Palermo, sezione lavoro, con l’ordinanza in epigrafe.
La norma stabilirebbe che la nomina e l’assunzione dei giornalisti preposti all’Ufficio stampa e documentazione presso la Presidenza della Regione possa avvenire al di fuori di una procedura concorsuale.
La mancata previsione di una procedura concorsuale − ai fini della nomina e della costituzione di rapporti di lavoro subordinato – quale, secondo la valutazione del giudice remittente, sarebbe il rapporto di lavoro costituito tra la Regione ed i giornalisti – alle dipendenze di un ente pubblico territoriale − determinerebbe la violazione del principio secondo cui «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso».
In punto di rilevanza, la Corte d’appello afferma che dalla illegittimità costituzionale della disposizione in esame discenderebbero la nullità del rapporto e la qualificazione dell’attività prestata da tali giornalisti come prestazione di fatto, ai sensi dell’art. 2126 del codice civile. Andrebbe, pertanto, esclusa l’applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti e la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, invocata, in via principale, dai reclamanti.
I giudici delle leggi hanno negato la stessa qualificazione della relazione impiegatizia in termini di subordinazione.
La disciplina di settore, invece, qualifica il rapporto tra l’amministrazione regionale siciliana ed giornalisti del suo ufficio stampa in termini di collaborazione autonoma, sulla base di determinanti elementi di fiduciarietà, trattandosi di incarichi inerenti all’organizzazione ed al funzionamento di un ufficio posto alle dirette dipendenze della Presidenza della Regione.
Sostiene, in ultimo, la Corte: «va, infine, rilevato che, ai fini della valutazione della legittimità della disposizione censurata, non rileva la connotazione in concreto assunta dal rapporto intercorso tra le parti, ed in particolare l’eventuale scostamento del rapporto di fatto, nel suo concreto atteggiarsi, dal modello prefigurato dal legislatore regionale. L’effettivo svolgimento del rapporto di lavoro in esame nelle forme della subordinazione, positivamente riscontrate dal giudice a quo, non costituisce, infatti, una conseguenza necessitata dall’applicazione della norma censurata. Al contrario, ciò potrebbe determinare, in ipotesi, l’invalidità del rapporto di lavoro per violazione di quelle norme imperative, le quali pongono la condizione del pubblico concorso per le assunzioni a tempo indeterminato, nonché il divieto di procedere ad assunzioni di personale non di ruolo o fuori organico.»
Con l'ordinanza n. 88 del 2016, i giudici delle leggi hanno dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli da 124 a 137 del decreto-legge luogotenenziale 19 agosto 1917, n. 1399 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge emanate in conseguenza del terremoto del 28 dicembre 1908), in riferimento agli artt. 3 della Costituzione e 14, primo comma, lettere f) ed s), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), in riferimento all’art. 76 Cost., sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, dubitava della compatibilità delle norme impugnate con il principio di ragionevolezza, prospettando un «eccesso di potere legislativo per irragionevolezza», giacché l’utilizzo di una norma emergenziale risalente al 1917, ai fini della gestione dell’attuale assetto urbanistico, sarebbe intrinsecamente irragionevole, «in considerazione della natura temporanea ed “a termine” delle norme di natura emergenziale», oltre che del «mutato assetto urbanistico ed edilizio della Città di Messina e degli intervenuti mutamenti dell’ordinamento giuridico».
Rilevavano che, per giustificare una deroga sine die alla legislazione ordinaria, non sarebbero sufficienti le esigenze di snellimento procedurale rispetto alla legislazione successiva in materia di comparti edificatori, di cui all’art. 23 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), ed all’art. 11 della legge regionale siciliana n. 71 del 1978.
Esprimevano perplessità, poi, in merito alla conformità delle norme censurate del d.l. lgt. n. 1399 del 1917 con l’art. 14, primo comma, lettere f) ed s), dello statuto siciliano, che attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia di «urbanistica» e di «espropriazione per pubblica utilità».
La Corte Costituzionale ha evidenziato che, nell’ambito del d.l. lgt. n. 1399 del 1917, i censurati articoli da 124 a 137 recano «Norme speciali per i comparti del piano regolatore di Messina», e delineano una complessa procedura volta a facilitare la ricostruzione delle aree di quella città distrutte dal terremoto del 1908;
Ha sottolineato che tale procedura è scandita in fasi e ricomprende specifiche disposizioni dedicate all’espropriazione e alla riassegnazione dei beni compresi nel comparto, ma nessuna delle ordinanze di rimessione chiarisce in quale fase di tale procedura ha origine il contenzioso oggetto di ciascuno dei giudizi a quibus;
Ed ha pertanto concluso: «le evidenziate lacune rendono perciò impossibile verificare se le disposizioni censurate debbano essere effettivamente applicate per definire i giudizi principali e se le ragioni esposte a sostegno del dubbio di costituzionalità abbiano attinenza con l’oggetto di ciascuno dei medesimi giudizi».
Con sentenza n. 103 del 2016, la Consulta ha dichiarato che non spettava allo Stato e per esso al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni emanare la nota del 23 luglio 2012, n. 0052547 (Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, e art. 35, comma 4, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 e art. 4, comma 11, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16), nella parte in cui detta disposizioni attuative degli accantonamenti relativi alla Regione siciliana in esecuzione dell’art. 35, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Ha, quindi, annullato per l’effetto, in parte qua, la nota indicata.
Ha, infine, dichiarato inammissibile per il resto il conflitto di attribuzione proposto.
Secondo la ricorrente, la nota oggetto del conflitto era lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione siciliana ed in particolare violerebbe gli artt. 36, primo comma, e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e l’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché il principio di leale collaborazione.
La Regione siciliana lamentava, infatti, la sottrazione di gettito di sua esclusiva spettanza attraverso l’attuazione degli accantonamenti disposti con la nota in questione a valere sulle quote di compartecipazione regionale ai tributi erariali.
Detti accantonamenti sarebbero operati, per le Regioni autonome Valle d’Aosta e Sardegna, direttamente dal Ministero dell’economia e delle finanze, mentre per le altre autonomie speciali, tra le quali la Regione siciliana, le cui entrate sono acquisite attraverso il meccanismo della riscossione diretta, gli accantonamenti sarebbero operati – nel caso di mancata attuazione delle procedure previste dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) – mediante trattenute effettuate direttamente dall’Agenzia delle entrate – Ufficio struttura di gestione, per essere successivamente versate al bilancio dello Stato.
L'ente sosteneva che alla Regione siciliana, diversamente dalle altre autonomie speciali, non spetterebbe una quota di compartecipazione al gettito di singoli tributi, bensì, di principio, il gettito nella sua interezza, con ciò configurandosi il diritto della medesima alla percezione dello stesso senza che si possa giustificare alcuna ritenuta da parte dello Stato.
Ha ritenuto la Consulta: «il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione siciliana è fondato solo per la parte in cui la nota dispone gli accantonamenti conseguenti all’applicazione dell’art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012. Infatti, con la sentenza n. 65 del 2015 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata disposizione, facendo venir meno in parte qua il fondamento legislativo della nota impugnata. Quest’ultima risulta, pertanto, autonomamente e direttamente lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione siciliana nel disporre, in violazione degli artt. 36, primo comma, dello statuto siciliano e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, gli accantonamenti afferenti alle entrate di spettanza regionale previste dal richiamato art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012.»
Per il resto, la Consulta ha sostenuto che la nota ministeriale, infatti, costituisce atto meramente esecutivo delle vigenti disposizioni, per le quali le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono state decise nel senso di escludere la violazione del testo costituzionale.
Occorre considerare, per i giudici delle leggi, che «una volta riconosciute infondate le censure di illegittimità costituzionale rivolte alla [norma presupposta] non può riconoscersi alcuna consistenza autonoma alle censure mosse [all’atto ministeriale il quale] non fa che dettare le modalità applicative della predetta norma legislativa».
Pertanto le restanti censure sono inammissibili.
Con sentenza n. 127 del 2016, la Consulta ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 415, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promossa, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119 della Costituzione, anche in riferimento all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dalla Regione siciliana.
Ha altresì dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 400, 401, 403, 405 e 416 della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119 Cost., anche in riferimento all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché agli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. n. 455 del 1946 e all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, dalla Regione siciliana.
In particolare, l’art. 1, comma 400, impone alle Regioni a statuto speciale (fra le quali la Regione siciliana) un ulteriore concorso agli oneri della finanza pubblica generale, per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, sia in termini di indebitamento netto, sia in termini di saldo netto da finanziare, determinandolo in una quota annuale che per la ricorrente è pari a 273 milioni di euro. Tale onere è stato quindi inserito, dal successivo comma 401, nel quadro degli obblighi di finanza pubblica di cui all’art. 1, comma 454, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), cioè nell’obiettivo «in termini di competenza eurocompatibile», determinato riducendo il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011, per gli anni dal 2013 al 2018.
Viene, poi, stabilito al comma 403 che l’onere in parola debba essere soddisfatto nelle forme procedimentali di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione): tuttavia, nelle more dell’approvazione delle misure attuative di tale procedura, si prevede che si proceda con accantonamenti sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
Con il successivo comma 405, si statuisce l’obbligo per il Ministero dell’economia e delle finanze di comunicare all’ente regionale, entro il 30 giugno di ogni anno, l’obiettivo rideterminato del patto di stabilità interno per la Regione siciliana, modificando con questa integrazione l’art. 42, comma 5, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, attuativo di tale patto.
I commi 415 e 416 del citato art. 1 prorogano, infine, di un anno (cioè sino al 2018), le forme di concorso regionale alla finanza pubblica già stabilite con le leggi di stabilità 2013 e 2014, rispettivamente dall’art. 1, commi 454 e 455, della legge n. 228 del 2012 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), e dall’art. 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014).
La Regione Siciliana riteneva che i contributi finanziari in tal modo richiesti equivalessero ad una riserva statale sul gettito dei tributi erariali di spettanza regionale, effettuata in assenza dei presupposti stabiliti dall’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, con conseguente violazione degli artt. 36 e 43 dello statuto della Regione siciliana.
Sotto altro profilo si lamentava che, attraverso la sottrazione delle cospicue entrate di cui sopra, si sarebbe impedito alla Regione di garantire l’equilibrio dei propri bilanci e i livelli essenziali di assistenza, fino a mettere a repentaglio il corretto svolgimento delle funzioni di competenza regionale, così da determinare, secondo la ricorrente, un vulnus anche sotto questo ulteriore profilo all’art. 43 dello statuto, nonché agli artt. 81, ultimo comma, 97, primo comma, e 119, primo e sesto comma, Cost.
La Corte costituzionale ha rimarcato la differenza tra accantonamenti e riserve.
Attraverso le prime, lo Stato, ove sussistano le condizioni previste dallo statuto e dalle norme di attuazione, sottrae definitivamente all’ente territoriale una quota di compartecipazione ai tributi erariali che ad esso sarebbe spettata, e se ne appropria a tutti gli effetti allo scopo di soddisfare specifiche finalità.
Per mezzo dell’accantonamento, invece, le poste attive che spettano alla Regione in forza degli statuti e della normativa di attuazione permangono nella titolarità della Regione, ma sono temporaneamente sottratte alla sua disponibilità, per indurre l’autonomia speciale a contenere di un importo corrispondente il livello delle spese.
Affinché l’accantonamento non si tramuti in una definitiva sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte dello Stato, occorre che esso non si protragga senza limite; diversamente, al di là della qualificazione formale, l’accantonamento si tramuterebbe di fatto in riserva, e perciò in illegittima appropriazione, da parte dello Stato, di quote di entrate spettanti alla Regione.
Sulla scorta di tale discrimine ha sostenuto: «nella specie sono rispettati i principi di cui alla giurisprudenza ora ricordata. Il concorso al risanamento della finanza pubblica, infatti, è legittimamente imposto, in quanto inquadrato nel patto di stabilità interno per il rispetto degli obblighi in termini di competenze eurocompatibili, come risulta dall’impugnato art. 1, comma 401, che richiama l’art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012. Inoltre, l’accantonamento rispetta anche il requisito della transitorietà, in quanto temporalmente limitato al 2018. Tale termine riflette l’orizzonte temporale già previsto dal legislatore (art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012) per il raggiungimento di obiettivi in termini di competenza eurocompatibile, ai quali le disposizioni impugnate si ricollegano (art. 1, comma 401, della legge n. 190 del 2014)».
In ogni caso, a detta dei giudici delle leggi, l'asserito squilibrio che l'applicazione delle norme impugnate verrebbe a creare non risulta provato.
«La Regione siciliana, infatti, si è limitata ad indicare l’importo complessivo del contributo impostole, senza peraltro stabilire quantitativamente quali sarebbero gli importi necessari per lo svolgimento delle sue funzioni e in che termini le medesime sarebbero compromesse dall’imposizione del contributo in parola. Né tale carenza è colmata dal riferimento alla relazione delle sezioni riunite della Corte dei conti in sede di parifica del rendiconto, in cui si rappresenta solo lo sviluppo dell’indebitamento regionale; peraltro, la relazione si riferisce a esercizi finanziari diversi da quello in esame nella presente sede.»
Con la sentenza n. 155 del 2016, la Consulta ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 122, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promossa, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 11, 117, primo comma, e 119, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Puglia.
Inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 122, 123 e 124, della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 81, sesto comma, e 119, primo e sesto comma, anche in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dalla Regione siciliana.
Non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 119, quinto comma, Cost., dalla Regione Campania.
Così anche le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 122, 123 e 124, della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97, primo e secondo comma, Cost., dalla Regione siciliana e la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 123, della legge n. 190 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 120 Cost., dalla Regione siciliana.
L’art. 1, comma 122, provvede alla copertura finanziaria degli incentivi per le assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato, di cui ai precedenti commi 118 e 121, attraverso la riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione per le politiche comunitarie, originariamente destinate agli interventi del Piano di azione coesione, che risultino non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014.
Il successivo comma 123 prevede che il Gruppo di azione coesione individui le specifiche linee di intervento oggetto di tale riprogrammazione; il comma 124, infine, destina le risorse di cui al comma 122 al bilancio dello Stato.
Per quanto in questa sede interessa, la Regione siciliana aveva dedotto la violazione degli artt. 3 e 97, primo e secondo comma, Cost., per la limitazione che ne sarebbe derivata alla potestà amministrativa regionale, sancita dall’art. 20 dello statuto della Regione siciliana (approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), segnatamente negli ambiti attribuiti nelle materie di cui agli artt. l4, lettere d), g), m), o), r), e 17, lettere a), d), f) ed h) del medesimo statuto; nonché la violazione degli artt. 81, sesto comma, e 119, primo e sesto comma, Cost., anche in riferimento all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), per gli effetti dell’applicazione dei commi censurati.
L’art. 1, comma 123, veniva, altresì, impugnato per la violazione dell’art. 120 Cost., in quanto la procedura per il trasferimento dei fondi destinati agli interventi del Piano di azione coesione non prevede il coinvolgimento della Regione.
La Corte costituzionale ha dichiarato l'inammissibilità elle questioni relative alla violazione degli artt. 81, sesto comma, e 119, primo e sesto comma, Cost., anche in riferimento all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, rilevando l'assertività delle censure.
Sostiene la Consulta «la ricorrente, infatti, si è limitata a lamentare la violazione degli evocati parametri costituzionali da parte delle disposizioni impugnate «per gli effetti che la loro applicazione determina».
Nel merito, ha ritenuto la residua questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 122, 123 e 124, per violazione degli artt. 3 e 97, primo e secondo comma, Cost., non fondata.
Si legge in sentenza: «al riguardo, questa Corte ha affermato che «non può considerarsi costituzionalmente illegittima la norma legislativa statale che, incidendo su somme iscritte in fondi statali, provveda ad una diversa utilizzazione di risorse “non impegnate o programmate” in un periodo determinato, “disponendo la nuova programmazione di esse per il conseguimento degli obiettivi di rilevanza strategica nazionale” (sentenza n. 16 del 2010)» (sentenza n. 207 del 2011). D’altra parte, poiché si tratta di risorse del bilancio dello Stato «non ancora impegnate», neanche «è sostenibile che esse abbiano dato vita a rapporti già consolidati, mentre proprio la mancanza di concreti atti di impegno, in presenza di risorse assegnate ma non utilizzate in un arco di tempo circoscritto, non breve, giustifica che l’intervento sia stato effettuato proprio su quelle risorse». Le risorse del Fondo di rotazione, pertanto, sono «somme ancora legittimamente programmabili dallo Stato e, soprattutto, non suscettibili di essere utilizzate dalle Regioni» (sentenza n. 207 del 2011)».
Del pari non fondata, infine, è ritenuta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 123, promossa in riferimento all’art. 120 Cost., per la violazione del principio di leale collaborazione
«È bensì vero, dicono i giudici delle leggi, che rispetto alle Regioni ad autonomia speciale «merita di essere privilegiata la via dell’accordo (sentenza n. 353 del 2004), con la quale si esprime un principio generale, desumibile anche dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione” […]» (sentenza n. 46 del 2015; n. 193 e n. 118 del 2012). Tale procedura pattizia, infatti, «è ormai diventata parte integrante della dimensione costituzionale dello Stato riguardo ai rapporti finanziari con le autonomie speciali» (sentenza n. 155 del 2015). È anche vero, tuttavia, che il principio pattizio, proprio in quanto non rispondente ad una finalità costituzionalmente vincolata, può essere derogato in casi particolari dal legislatore statale (sentenze n. 46 del 2015, n. 23 del 2014 e n. 193 del 2012). Nel caso in esame, non vi è alcun contrasto con l’art. 120 Cost., «posta l’evidente sussistenza della competenza statale a disciplinare il fondo nei termini suddetti, che non incide su alcuna competenza della Regione e rende pertanto inapplicabile, nella specie, l’invocato principio di leale collaborazione (sentenza n. 297 del 2012)» (sentenze n. 196 del 2015 e n. 273 del 2013)».
Tabella riepilogativa
Provvedimento |
Giudizio |
Oggetto |
Norma/e impugnata/e |
Parametri invocati |
Decisione |
Ordinanza n. 73 del 2016 |
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale |
Iscrizione dei lavoratori forestali registrati nell'elenco speciale alla graduatoria unica di cui all’articolo 45-ter della legge regionale n. 16/1996 |
Art. 12, c. 1°, della legge della Regione siciliana 28/01/2014, n. 5. |
artt. 3, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali |
Questione manifestamente infondata |
Sentenza n. 77 del 2016 |
Conflitto di attribuzione tra enti |
Destinazione gettito dell'IVa |
Nota del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 05/12/2012, n. 26757; Decreto del Direttore generale delle finanze e del Ragioniere generale dello Stato del 05/12/2012. |
artt. 36, primo comma, dello statuto e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965. |
Questione inammissibile |
Sentenza n. 85 del 2016 |
Questione di legittimità costituzionale in via incidentale |
Natura del rapporto di lavoro intercorrente tra giornalisti e Regione siciliana |
Art. 11, c. 3°, della legge della Regione siciliana 06/07/1976, n. 79. |
artt. 3 e 97, terzo comma, della Costituzione. |
Questione inammissibile |
Ordinanza n. 88 del 2016 |
Questione di legittimità costituzionale in via incidentale |
Utilizzo di una norma emergenziale risalente al 1917, ai fini della gestione dell'assetto urbanistico |
Artt. 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136 e 137 del decreto legge luogotenenziale 19/08/1917, n. 1399; art. 1, c. 2°, del decreto legislativo 01/12/2009, n. 179. |
artt. 3 della Costituzione e 14, primo comma, lettere f) ed s), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, e dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 |
Questione manifestamente inammissibile |
Sentenza n. 103 del 2016 |
Conflitto di attribuzione tra enti |
Accantonamenti su quote di compartecipazione ai tributi erariali |
Nota del Ministero dell'economia e delle finanze -Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni 23/07/2012, n. 0052547. |
artt. 36, primo comma, dello statuto e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965. |
Accoglimento del confli |
Sentenza n. 127 del 2016 |
Questione di legittimità costituzionale in via principale |
Accantonamenti su quote di compartecipazione ai tributi erariali |
Art. 1, c. 400°, 401°, 403°, 405°, 415° e 416° della legge 23/12/2014, n. 190.. |
artt. 81, 97, primo comma, e 119 della Costituzione, |
Questione per parte inammissibile, per parte non fondata |
Sentenza n. 155 del 2016 |
Questione di legittimità costituzionale in via principale |
finanziamento degli incentivi di cui ai commi 118 e 121 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 |
Art. 1, c. 122°, 123° e 124°, della legge 23/12/2014, n. 190. |
Artt. 3, 97 e 120 della Costituzione |
Questione inammissibile e, per parte, non fondata |
Precedenti decisioni richiamate: - in merito alla sussistenza di tono costituzionale del ricorso proponente conflitto di attribuzione tra enti per un atto illegittimo per violazione di legge al quale si dovrebbe dare esecuzione (sentenze n. 263 e n. 137 del 2014); - in merito alla inammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione proposti contro atti meramente consequenziali (confermativi, riproduttivi, esplicativi, esecutivi, etc.) rispetto ad atti anteriori, non impugnati, con i quali sia già stata esercitata la competenza contesta (sentenza n. 144 del 2013); - in merito alla impossibilità di prendere in esame la questione incidentale di legittimità costituzionale prospettata in un ricorso proponente conflitto di attribuzione tra enti dichiarato inammissibile (sentenza n. 144 del 2013); - in merito alla carenza dell'ordinanza di rimessione in punto di descrizione delle fattispecie concrete oggetto dei ricorsi che danno origine ai giudizi principali che si traduce in difetto di motivazione sulla rilevanza della questione sollevata (sentenze n. 241 e n. 185 del 2015, n. 98 del 2014; ordinanze n. 25 del 2016, n. 270, n. 209, n. 207, n. 162, n. 161, n. 147, n. 121, n. 104, n. 90 e n. 36 del 2015); - in merito alla impossibilità di riconoscersi alcuna consistenza autonoma alle censure mosse ad un auto ministeriale il quale detti le modalità applicative di una norma per la quale siano state dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale (sentenza n. 138 del 1999); - sulla distinzione tra riserve ed accantonamenti (sentenza n. 77 del 2015); - sulla nozione di riserva – quale mezzo attraverso cui, lo Stato, ove sussistano le condizioni previste dallo statuto e dalle norme di attuazione, sottrae definitivamente all’ente territoriale una quota di compartecipazione ai tributi erariali che ad esso sarebbe spettata, e se ne appropria a tutti gli effetti allo scopo di soddisfare specifiche finalità (sentenze n. 239 del 2015, n. 145 del 2014, n. 97 del 2013 e n. 198 del 1999); - sulla nozione di accantonamento (sentenza n. 239 del 2015); - sul principio secondo il quale sono legittime le riduzioni delle risorse regionali, a condizione che non comportino uno squilibrio tale da compromettere le complessive esigenze di spesa e, in definitiva, da pregiudicare l’adempimento dei compiti affidati alla Regione (sentenze n. 239, n. 188 e n. 89 del 2015, n. 26 e n. 23 del 2014, n. 121 e n. 97 del 2013, n. 246 e n. 241 del 2012, n. 298 del 2009, n. 145 del 2008, n. 256 del 2007 e n. 431 del 2004); - sulla distribuzione dell'onere probatorio nel giudizio in cui la Regione deduca che la sottrazione di risorse finanziarie ha reso impossibile l'esecuzione delle funzioni assegnatele (sentenze n. 239 del 2015, n. 26 e n. 23 del 2014). |