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Alcune precisazioni in tema di confini del potere legislativo delegato (2/2017)

Sentenza n. 104/2017 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito dell’11 maggio 2017 – Pubblicazione in G.U. del 17/05/2017, n. 20

Motivo della segnalazione

Nella sentenza n. 104 del 2017 la Corte costituzionale ha esaminato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, lettera b), e 4, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), nonché degli articoli 8 e 10 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante la disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dalla sopra citata legge 30 dicembre 2010, n. 240.
Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, le disposizioni della legge delega oggetto di impugnativa violerebbero l’articolo 76 Cost., poiché si limiterebbero a definire l’oggetto della delega – consistente nell’introduzione del costo standard, nella definizione di indici per la quantificazione del costo standard e della percentuale del Fondo per il finanziamento ordinario per le università (FFO) da attribuire sulla base di tale criterio – senza tuttavia stabilire i principi e i criteri direttivi ai quali il Governo avrebbe dovuto attenersi nell’esercizio della delega.
Inoltre, in via subordinata il giudice rimettente lamenta il contrasto con l’articolo 76 Cost., in relazione alle suddette disposizioni di delega, degli articoli 8 e 10 del decreto legislativo n. 49 del 2012, nella parte in cui demandano a successivi atti amministrativi l’intera disciplina di aspetti sostanziali, quali l’individuazione degli indici in base ai quali determinare il costo standard, nonché delle percentuali del Fondo per il finanziamento ordinario per le università da ripartire in base al nuovo criterio.
La pronuncia presenta due diversi profili di interesse in tema di confini del potere legislativo delegato.
In primo luogo, rileva la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni della legge delega oggetto di impugnativa, in riferimento all’articolo 76 Cost., che la Corte è chiamata a scrutinare al fine di verificare se il legislatore delegante, nel demandare l’esercizio della funzione legislativa al Governo, abbia circoscritto adeguatamente l’ambito di intervento, definendo i limiti di oggetto, di contenuto e di tempo ovvero – come sostenuto dal giudice rimettente – abbia conferito una delega in bianco all’Esecutivo, predeterminando oggetto e principi e criteri direttivi con «enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato».
In ordine a tale prima censura, l’iter argomentativo compiuto dalla Corte prende le mosse dall’ormai consolidato orientamento in materia. Dopo aver ricordato che «i confini del potere legislativo delegato risultano complessivamente dalla determinazione dell’oggetto e dei principi e criteri direttivi», il giudice costituzionale ha ribadito che se, da un lato, resta ferma l’esigenza di «contenere adeguatamente l’ambito del potere legislativo affidato al Governo nello svolgimento della funzione legislativa delegata» in conformità al dettato costituzionale, dall’altro va considerato che quest’ultimo «è da ritenersi soddisfatto allorché sono date al legislatore delegato delle direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalità e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre, allo stesso legislatore delegato è demandata la realizzazione, secondo modalità tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalità e degli interessi considerati dal legislatore delegante» (sentenza n. 158 del 1985).
I confini del potere legislativo delegato devono, dunque, essere tali da non demandare in misura eccessiva all’Esecutivo la definizione degli elementi sostanziali della disciplina, al fine di evitare un depauperamento del potere legislativo delle Camere; al contempo, l’estensione del potere delegato ben può essere abbastanza ampia da «preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondente spazio, entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di “riempimento” normativo», posto che l’esercizio della delega legislativa non si sostanzia nella mera esecuzione delle previsioni recate dalla legge delega, bensì nello sviluppo sostanziale di queste ultime nel quadro risultante dalla lettura in chiave sistematica e teleologica della delega stessa (ex plurimis, sentenze nn. 229 del 2014, 210 del 2015, 250 del 2016).
Sulla base di tali premesse, la Corte, attraverso una lettura delle disposizioni oggetto di censura nel complessivo contesto delineato dall’articolo 5 e dalle altre previsioni della legge n. 240 del 2010, è giunta alla conclusione che l’interpretazione fornita dal giudice rimettente debba considerarsi riduttiva rispetto alla ricostruzione effettuata nella pronuncia in esame e, conseguentemente, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità oggetto della censura principale.
Il secondo profilo di interesse relativo ai confini del potere legislativo delegato concerne, invece, il rapporto tra l’esercizio della delega e il rinvio, da parte del decreto delegato, di aspetti della disciplina a successivi atti amministrativi. In particolare, nella sentenza in commento la Corte è stata chiamata a sindacare se il Governo, nel demandare la determinazione di aspetti qualificanti la riforma del sistema del finanziamento universitario a successivi decreti ministeriali, abbia dato luogo ad «una forma di sub-delega, incompatibile con la legge delega e, in definitiva, con l’articolo 76 Cost.».
Al riguardo, il giudice costituzionale, dopo aver premesso che «non integra di per sé una sub-delega dell’esercizio del potere legislativo, illegittima ai sensi dell’articolo 76 Cost., la circostanza che le norme del decreto delegato, senza attribuire la potestà di emanare disposizioni con forza di legge all’esecutivo (sentenza n. 139 del 1976), conferiscano agli organi di tale potere il compito di emanare normative di tipo regolamentare (sentenza n. 79 del 1966), disposizioni di carattere tecnico (sentenza n. 106 del 1967) o atti amministrativi di esecuzione», ha fondato il proprio iter argomentativo su due ordini di considerazioni.
La prima, avente ad oggetto l’esame del procedimento istruttorio che si è concluso con l’approvazione del decreto legislativo n. 49 del 2012, ha condotto la Corte ad accertare la fondatezza della censura del giudice rimettente, e dunque l’asserito contrasto con l’art. 76 Cost., posto che «il Governo, nell’esercitare la delega, non ha aggiunto pressoché nulla ai contenuti dei principi e criteri direttivi», limitandosi a demandare per intero la disciplina a successivi decreti ministeriali; la seconda considerazione, svolta con riferimento allo specifico contesto dell’ordinamento universitario, ha posto in evidenza che – come rilevato in più occasioni dalla Corte – nel contesto in esame «il rinvio a fonti e atti amministrativi non solo non è vietato, ma è in un certo senso persino fisiologico», vertendosi in un ambito materiale in cui taluni aspetti che richiedono determinazioni unitarie - a livello nazionale e non di singolo ateneo - possono essere più facilmente regolati in concreto con atti amministrativi che secondo generali e stabili previsioni legislative.
Ciò considerato, la Corte nel caso di specie ha ritenuto che il decreto delegato non si sia limitato a demandare a successivi atti amministrativi l’integrazione di aspetti delineati a livello sostanziale all’interno del decreto medesimo. Ad avviso della Corte, con il decreto in esame il Governo «ha invece lasciato indeterminati aspetti essenziali della nuova disciplina, dislocando di fatto l’esercizio della funzione normativa dal Governo, nella sua collegialità, ai singoli Ministri competenti, e declassando la relativa disciplina a livello di fonti sub-legislative». Da ciò l’illegittimità costituzionale degli articoli 8 e 10 – quest’ultimo limitatamente alle parole “costo standard per studente” - del decreto legislativo n. 49 del 2012.

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