1. Il 20 dicembre 2017 l’Assemblea del Senato ha approvato – a maggioranza assoluta, come richiesto dall’art. 64 Cost., e comunque nell’ambito di una significativa convergenza tra le principali forze politiche – una ampia riforma del regolamento. Si è trattato di un “colpo di coda” della XVII legislatura, per grande parte focalizzata su diverse e ulteriori riforme istituzionali, o – come è stato definito in una lettera del Presidente Giorgio Napolitano al relatore, sen. Roberto Calderoli, di cui si è data lettura ad approvazione avvenuta – di un “insperato miracolo” che, negli auspici del Presidente del Senato, sen. Pietro Grasso, consegna ai senatori della XVIII legislatura “un Senato che potrà funzionare ancora meglio”.
Ad ogni buon conto, si tratta di un testo molto ampio, che certamente inciderà in maniera rilevante su tratti importanti dell’organizzazione e delle procedure del Senato.
Una linea di innovazione di carattere trasversale a tutto il testo sembra potersi individuare nella revisione delle disposizioni regolamentari che risultavano difformi dalle omologhe previsioni del regolamento della Camera dei deputati, al fine di ridurre le differenze e le asimmetrie tra i due regolamenti (direttrice, per altro, percorsa anche dai tentativi di riforma del regolamento della stessa Camera dei deputati, che tuttavia risultano al momento privi di una prospettiva realistica di approvazione entro la legislatura). Esemplari sono, da un lato, l’allineamento del computo degli astenuti nel voto (che anche al Senato verrebbero equiparati agli astenuti dal voto, eliminando dunque la nota conseguenza pratica delle regole attuali per cui l’astensione nel voto, solo al Senato, finisce per essere assimilabile a un voto contrario) o, ancora, il superamento di quella particolarità (esclusiva del Senato) di tenere distinte in due sedute diverse le convocazioni antimeridiane e pomeridiane di una stessa giornata. Se, in generale, il fine di una armonizzazione delle regole dei due rami del Parlamento risulta di certo auspicabile, alcuni profili specifici del testo approvato suscitano qualche perplessità, stante anche le buone pratiche nel frattempo affermatesi proprio in Senato. Ad esempio, non di secondo rilievo sembra essere la ampia revisione delle regole relative alle procedure di collegamento con l’Unione europea, che pure avevano mostrato al Senato buona prova, puntando al coinvolgimento diretto delle Commissioni di settore.
2. Il procedimento che ha condotto all’approvazione della riforma è stato rapidissimo, passando per una sola riunione della Giunta per il regolamento (il 14 novembre 2017), e due sedute dell’assemblea, il 19 e 20 dicembre 2017.
In realtà, la gestazione del testo (A.S., Doc. II, n. 38, XVII leg.) è stata molto più lunga, provenendo da un lavoro svolto da parte di Comitato ristretto della stessa Giunta (costituito nel luglio 2017 e composto dai senatori Bernini, Buccarella, Calderoli e Zanda), trasmesso alla Giunta l’11 ottobre 2017 e poi licenziato per l’esame in Assemblea il 14 novembre successivo. Tuttavia, solo due settimane più tardi – con l’effettiva trasmissione del testo in Assemblea – il testo è divenuto conoscibile (non solo al di fuori del Senato, ma finanche ai senatori esterni alla Giunta), emergendo così dopo un lungo periodo nel quale se ne avevano avute sporadiche notizie nei resoconti sommari della Giunta e in alcune dichiarazioni del Presidente Grasso (che ne ha anche chiarito il supporto unanime delle forze politiche), senza tuttavia che se ne conoscessero nel dettaglio i contenuti. Tra l’altro, i termini individuati per la presentazione di proposte emendative per l’esame in Assemblea sono stati estremamente ristretti (circa 36 ore dalla diffusione del testo, ferma restando la possibilità per la Giunta e per il relatore di presentare ulteriori proposte emendative nel corso della discussione, anche sulla base degli spunti emergenti da questa. La proposta è stata poi inserita nel calendario dell’Assemblea per la seconda settimana di dicembre, salvo poi slittare alla successiva in conseguenza del protrarsi della discussione sul disegno di legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento (A.S. 2801 e connessi, XVII leg., giunto poi ad approvazione il 14 dicembre 2017).
3. La riforma ruota intorno a tre ambiti principali, condensati nei primi tre articoli del testo, che a loro volta incidono ciascuno su numerose disposizioni del regolamento attualmente vigente. Si tratta appunto di quei temi sui quali si è riusciti a raggiungere una generale convergenza tra le forze politiche, in nome di quella unità di intenti sulle “regole del gioco” cui più volte ha fatto richiamo il Presidente del Senato.
Il primo ambito materiale (art. 1 della proposta, modificativo degli artt. 5, 13, 14, 15, 16-bis, 18 e 17 del regolamento) è costituito dalle regole relative ai gruppi parlamentari, con un intervento tutto sommato coerente con la recente riforma elettorale recata dalla l. n. 165 del 2017. In particolare, si modificano i requisiti per la formazione dei gruppi parlamentari, inserendo (o estendendo) una serie di conseguenze nei casi di passaggio ad altro gruppo (con la previsione della decadenza di tutti i componenti degli Uffici di Presidenza delle Commissione e di Vicepresidenti e Segretari dell’Assemblea, con l’anomala esclusione dei questori), nonché regolando profili amministrativi e contabili della gestione delle risorse loro affidate. Nella stessa sede vi è una interessante modifica relativa anche alla Giunta per il regolamento, non solo perché si chiarisce che la sua composizione – “per quanto possibile” – debba rispecchiare la proporzione tra i Gruppi in Assemblea, ma perché si prevede (mediante la modifica recata all’art. 18, comma 3-bis) che la questione di interpretazione del regolamento sollevata da uno o più Presidenti di gruppo la cui consistenza numerica sia pari ad almeno un terzo dei componenti del Senato comporti la convocazione della Giunta da parte del Presidente. Lungi dall’essere dunque una modifica limitata alla sfera delle attribuzioni dei gruppi parlamentari e dei loro Presidenti, determina così un cambiamento di particolare rilevanza nel ruolo della Giunta per il regolamento e del suo rapporto con il Presidente: finora infatti, la Giunta era convocata a discrezione del Presidente se e quando riteneva che una questione fosse meritevole di approfondimento collegiale, ora invece si rende possibile una sorta di “etero-convocazione” dell’organo (benché subordinata a un quorum non bassissimo).
Il secondo ambito di intervento (art. 2, modificativo degli artt. 21, 22, 23, 28, 34, 35, 36, 40, 43, 46, 48 e 144 del regolamento) ha a oggetto le Commissioni permanenti, sia nella loro dimensione “statica”, sia in parti rilevanti delle procedure che le vedono protagoniste. Dal primo punto di vista, si segnalano due modifiche che – coerentemente ad altri interventi operati in altre parti del testo – sembrano essere tese a avvicinare il regolamento del Senato a quanto già previsto dalla Camera: in particolare, la “promozione” della 14a Commissione politiche dell’Unione europea (la cui membership diverrebbe “esclusiva”), e un allineamento della distribuzione delle competenze delle Commissioni, ponendo le basi perché – anche al Senato – siano radunate nella stessa Commissione (la 11a) il lavoro pubblico e privato, come appunto avviene presso la XI Commissione della Camera (mentre finora l’impiego in regime pubblicistico era affidato alla 1a Commissione affari costituzionali). È in questa parte della riforma che si rinviene una delle innovazioni più significative, negli auspici dei proponenti, dell’intero testo: la fissazione del principio secondo cui, di regola, l’assegnazione dei progetti di legge per l’esame in Commissione avvenga in sede deliberante o redigente (ovviamente, al di fuori dei casi di cui all’art. 72, ultimo comma, Cost.). Allo stesso tempo, si accompagna alla pretesa residualità della sede referente, la possibilità per la Conferenza dei Capigruppo di fissare tempi per la conclusione dei lavori di Commissione, in vista dell’inserimento del tema nella programmazione dei lavori di Assemblea.
Infine, il terzo gruppo di modifiche (art. 3, modificativo degli artt. 49, 53, 55, 60, 74, 77, 78, 89, 92, 93, 96, 98, 99, 100, 102, 102-bis, 103, 105, 107, 109, 113, 114, 119, 151-bis e 161 del regolamento) mira a semplificare e a razionalizzare i lavori del Senato. Oltre alla soppressione di istituti utilizzati come mero strumento dilatorio (come la richiesta di pareri e informazioni al CNEL, la richiesta di verifica del numero legale prima dell’approvazione del processo verbale), si interviene, tra l’altro, sia sulle procedure di programmazione dei lavori (prevedendo tempi certi per le proposte sostenute da almeno un terzo dei senatori, nonché per le proposte di iniziativa popolare), sia sulla tempistica degli interventi in Assemblea (riducendo i termini previsti dal regolamento).
3. Una così ampia riforma del regolamento del Senato, che giunge al termine di una legislatura dedicata per ampia parte a tentare di mutarne radicalmente la composizione e la missione istituzionale, non può che essere in qualche modo ricondotta alla necessità di una rivitalizzazione della Camera “alta”, la quale, per altro, aveva rinnovato in misura minore rispetto all’altra le proprie procedure nel corso degli ultimi decenni. Da questo punto di vista, un rinnovato slancio riformatore dei regolamenti parlamentari (e di quello del Senato, in particolare) non può che accogliersi positivamente. Stante la scelta operata dal corpo elettorale con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, ogni tentativo di razionalizzazione delle procedure interne alle Camere che sia finalizzato a far funzionare (meglio) il bicameralismo deve essere osservato con grande attenzione, e anzi con un aperto favore (su questa linea si v. il quaderno 2015-2016 de il Filangieri, sul tema Il Parlamento dopo il referendum costituzionale, Napoli, 2016, nonché il recente volume Due Camere, un Parlamento. Per far funzionare il bicameralismo, a cura di F. Bassanini e A. Manzella, Firenze, 2017; v. inoltre A. Manzella, Per un monocameralismo amministrativo, in Quaderni costituzionali, 2017, p. 601 s.).
Pur in questo approccio di fondo, alcune delle innovazioni che – a una primissima lettura – sembrerebbero risultare di maggiore impatto innovativo, presentano tuttavia non pochi aspetti controversi, che solo la prassi futura potrà chiarire.
In primo luogo, sembra potersi individuare una qualche ambivalenza nei nuovi requisiti per la formazione dei gruppi parlamentari, che troverebbero ora un vincolo (esterno) alla corrispondenza con le liste presentatesi alle elezioni politiche (il testo, modificativo dell’art. 14, comma 1, reg. Sen., richiede che, oltre a soddisfare il requisito numerico, il Gruppo “deve rappresentare un partito o movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti o movimenti politici, che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendo l’elezione di senatori”; inoltre, la modifica proposta all’art. 15, comma 3, reg. Sen. dispone che “nuovi Gruppi parlamentari possono costituirsi nel corso della legislatura solo se risultanti dall’unione di Gruppi già costituiti”). Se anche si comprende la volontà di ridurre la mobilità parlamentare (che in questa legislatura è giunta a livelli record, stimolando anche, sullo sfondo, proposte ben più incisive e problematiche di introduzione di forme di vincolo di mandato: v., in proposito, quanto già segnalato in numeri precedenti di questa Rubrica), preoccupa, da un lato, la possibilità che significative evoluzioni del quadro partitico nel corso della legislatura conducano a un ingrossamento abnorme del Gruppo misto (e dunque a un Senato difficilmente “governabile”) e, dall’altro, il rischio che la norma sia aggirata mediante la costruzione ex post di identità posticce su liste magari marginali al momento del voto. Del resto, il vincolo che si propone nel testo di riforma non potrebbe che sussistere unicamente tra simboli presentati alle elezioni e i gruppi parlamentari al momento della loro costituzione, e non anche (né sarebbe potuto essere altrimenti) sui singoli senatori, i quali potranno in ogni caso “cambiare” gruppo, purché già costituito, indipendentemente dalla lista di elezione.
In secondo luogo, suscita qualche perplessità l’intervento per cui, in relazione al procedimento legislativo, si stabilisce che la sede normale di esame sia quella deliberante o redigente. Anche qui, il fine astratto è certamente nobile, mirando a valorizzare il lavoro di Commissione e dunque la sede propria del compromesso tra le forze politiche. Eppure, dinanzi alla permanenza dei vincoli costituzionali alla approvazione in sede decentrata (per giunta, unita alle dinamiche evolutive del sistema partitico, sempre più convergenti verso un inedito assetto tripolare) potrebbe vanificare qualsiasi ipotesi razionalizzatrice, stante la possibilità per (esigue) minoranze di rimettere l’esame all’organo plenario.
Infine, data anche l’ampiezza dell’intervento riformatore, non possono non segnalarsi alcuni snodi di grande importanza e problematicità, anche alla luce della prassi applicativa degli ultimi anni, che sono invece rimasti al di fuori del perimetro del testo, probabilmente alla luce della mancanza di un generale accordo tra le forze politiche. Solo per citare alcuni esempi:
- resta l’unanimità per la definizione degli strumenti di programmazione in sede di Conferenza dei Presidenti di gruppo (con la parziale innovazione che le proposte di modifica al calendario predisposto dal Presidente, da votare in seno all’Assemblea, potranno provenire unicamente dai gruppi parlamentari, e non più dai singoli senatori);
- non si inserisce alcun requisito particolare di ammissibilità delle proposte emendative ai disegni di legge di conversione dei decreti-legge (come pure sarebbe stato opportuno alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale), continuando dunque ad affidare questo snodo fondamentale alla prassi, che proprio in Senato è risultata estremamente problematica; inoltre, si mantiene quella particolarità, unica nel panorama parlamentare italiano, per cui, solo al Senato e solo per i disegni di legge di conversione, gli emendamenti approvati in Commissione devono essere riapprovati in Assemblea, con la conseguenza di svolgere l’esame in Assemblea su un testo politicamente debole, in quanto già oggetto di modifica in sede referente;
- non sono rinvenibili significative contromisure nei confronti dei maxi-emendamenti (contemplate invece in precedenti proposte di modifica regolamentare, come nel testo predisposto nel corso della passata legislatura a doppia firma Quagliariello-Zanda, Doc. II, n. 29, XVI leg., nonché nelle ipotesi di modifica del regolamento della Camera), e anzi si codificano nel regolamento le conseguenze procedurali della posizione della questione di fiducia (priorità di votazione, indivisibilità, inemendabilità), con l’unica innovazione – invero già affermatasi nella prassi – nel senso di assicurare un previo vaglio della Presidenza sul testo oggetto della questione di fiducia;
- resta invariata la modalità di accesso alla votazione per parti separate (che rimette la decisione finale all’Assemblea, circostanza assai problematica, come si è visto in sede di approvazione dei cd. “emendamenti premissivi di principio”);
- infine, nell’ambito dei pur numerosi interventi di “manutenzione regolamentare” (relativi, tra l’altro, a disposizioni ormai desuete da anni, come quelle sul controllo delle leggi regionali pre-riforma costituzionale del 2001, nonché sulle denominazioni degli atti del ciclo di bilancio e di attuazione del diritto UE) si sarebbero potute inserire ulteriori modifiche di disposizioni formalmente vigenti, ma che la prassi (e le decisioni della Presidenza) hanno considerato da tempo desuete: si pensi alla possibilità per otto senatori di presentare emendamenti in corso di seduta (art. 100, comma 5), appunto mai applicata (se non altro perché sconvolgerebbe il “fascicolo”, rendendo impossibile per la Presidenza mantenere l’ordine della discussione), eppure spesso evocata proprio in questa legislatura dai senatori del MoVimento 5 stelle in nome di un ritorno alla lettera (scritta, ma morta) del disposto regolamentare.
L’intervento su questi temi è dunque rimandato, almeno, alla prossima legislatura. In ogni caso, l’approvazione del testo consegna al prossimo Senato “nuove” regole per gestire quello che si preannuncia un tempo non facile per l’istituzione parlamentare. Del resto, preclusa la via della riforma costituzionale alla luce del risultato referendario, l’urgenza di un rinnovo delle regole della rappresentanza politica non poteva che trovare risposta, almeno e anzitutto, nella modifica dei regolamenti parlamentari.