CASS. CIV., sez. trib., 11 maggio 2018, n. 11522
L'autonomia statutaria emergente dalla L. n. 265 del 1999, confermata dal D.Lgs. n. 267 del 2000 e riaffermata nell'art. 1 del testo unico, ispirata alla legislazione comunitaria ha realizzato una sostanziale delegificazione in ordine alla organizzazione ed al funzionamento dell'ente territoriale, mediante il trasferimento della relativa disciplina dalla legge nazionale ad una fonte autonoma, affidata allo statuto.
Nel nuovo quadro costituzionale lo statuto si configura, come la dottrina è generalmente orientata a ritenere, come atto formalmente amministrativo, ma sostanzialmente come atto normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o subprimario, posto in posizione di primazia rispetto alle fonti secondarie dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio, in quanto diretto a fissare le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente ed a porre i criteri generali per il suo funzionamento, da svilupparsi in sede regolamentare (v. sul punto Cass. n. 16984/2004). Detto orientamento è stato confermato dalla successiva giurisprudenza di legittimità, anche recente, secondo la quale, con riferimento alle norme giuridiche secondarie (i regolamenti comunali), non opera il principio iura novit curia, "non rientrando, pertanto, la conoscenza dei regolamenti comunali tra i doveri del giudice che, solo ove disponga di poteri istruttori, può acquisirne diretta conoscenza, indipendentemente dall'attività svolta dalle parti", principio determinante l'inammissibilità della censura (Cass. 2017/17485; Cass. 2017/17296; Cass. 2017/16496; Cass. n. 25602/2016; Cass. n. 12547/2016; Cass. 2014/1391; 2009/1893; n. 17286/2006).
Infatti, solo quando il regolamento è integrativo della norma primaria, circostanza non ravvisabile nel caso in esame, il giudice è tenuto a conoscerlo, trattandosi di fonti paraprimarie o subprimarie (cfr. anche Cass. 14446 del 15/06/2010; Cass. n. 23093 del 16/11/2005 e precedenti conformi).