Sentenza n. 61/2018 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 27/3/2018 – Pubblicazione in G.U. 28/3/2018 n. 13
Motivo della segnalazione
Con la sentenza n. 61/2018 la Corte costituzionale ha parzialmente accolto una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 202, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), sollevata dalla Regione Campania. Nella versione vigente al momento del ricorso, tale disposizione stabilisce, fra l’altro, che per la realizzazione delle azioni inerenti al piano straordinario per la promozione del made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia, un Fondo per le politiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela, in Italia e all’estero, delle imprese e dei prodotti agricoli e agroalimentari sia istituito presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
Ad avviso della Regione ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 117 e 119 Cost., dal momento che gli interventi di sostegno finanziati dal nuovo fondo statale riguardano materie di competenza regionale residuale o, al più, concorrente (rispettivamente l’agricoltura e il commercio con l’estero). Anche a voler ammettere di versare nella materia “tutela della concorrenza”, la mancata previsione di strumenti di concertazione di con la Regione per la regolazione e la gestione del fondo darebbe luogo a una violazione del principio di leale collaborazione.
Ad avviso della Corte, l’art. 1, comma 202, della legge di stabilità 2015 interseca indubbiamente la competenza regionale residuale in materia di agricoltura. La disposizione non è invece riconducibile alla competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. È invece possibile sostenere che l’intervento sia riconducibile alla competenza concorrente in materia di commercio con l’estero: sullo sfondo di un’economia globalizzata, infatti, incentivare la produzione agricola significa valorizzarne l’“appetibilità commerciale” anche fuori d’Italia. Muovendo da questa “norma di incentivazione, che appartiene a una tipologia sempre più spesso utilizzata nella legge di bilancio e in altre leggi involgenti le relazioni finanziarie tra Stato e Regioni”, la Corte s’interroga perciò sui “rapporti tra politica nazionale generale e garanzie poste a tutela delle autonomie regionali”.
A questo proposito, si ribadisce innanzitutto che l’attività unificante dello Stato non può limitarsi alle materie su cui insistono sue competenze esclusive o concorrenti. In secondo luogo, devono essere prese in considerazione le istanze unificanti che scaturiscono dalla legge cost. 20 aprile 2012, n. 1. Questa ha assegnato all’art. 81 Cost. un significato anticiclico in termini di politica fiscale, monetaria ed economica: si tratta di attenuare le fluttuazioni, intervenendo sul mercato secondo le contingenze che caratterizzano i cicli economici. Alla legge di bilancio e alle altre leggi finanziarie correttive tocca ormai prevedere interventi complessi e coordinati, tesi ad assicurare sostenibilità economica e sviluppo su diverse scale territoriali, “nel cui ambito vengono inevitabilmente coinvolte anche competenze regionali residuali”. Da questa premessa discende che la legge di bilancio dello Stato e le leggi finanziarie che prevedono “interventi strutturali di ampio raggio … volti a favorire lo sviluppo e la crescita economica del Paese” incidono inevitabilmente su competenze regionali.
Il “ruolo di regia” assegnato alla legge di bilancio dopo l’entrata in vigore della l. cost. n. 1/2012 non può tuttavia conculcare unilateralmente le attribuzioni degli enti territoriali. Interventi strutturali – e non riconducibili alle misure perequative di cui all’art. 119 Cost. – impongono insomma il coinvolgimento delle autonomie territoriali attraverso attività concertative e di coordinamento orizzontale. In termini sostanziali, gli interventi strutturali dovrebbero essere tendenzialmente neutrali, nel senso di non alterare gli equilibri distributivi delle risorse fra gli enti territoriali, oltre che chiari e trasparenti negli obiettivi prefissati e nei meccanismi finalizzati all’emersione dei risultati dell’intervento statale.
Nella fattispecie giunta all’esame della Corte, s’impone un bilanciamento fra esigenze di coordinamento e regia delle manovre strutturali di politica economica e tutela delle autonomie territoriali, con una molteplicità d’interessi interdipendenti e naturali “esigenze di proporzionalità nella loro composizione”. Si tratta indubbiamente di un intervento strutturale, che non si esaurisce nell’ambito materiale “agricoltura” e non si sovrappone agli interventi perequativi di cui all’art. 119, terzo comma, Cost. Appaiono inoltre rispettati i canoni della neutralità economico-finanziaria e della trasparenza e ostensibilità degli effetti finanziari. È però innegabile che gli effetti degli interventi progettati dallo Stato ricadano su singoli enti territoriali e su specifici territori, cosicché la compatibilità di questa “interferenza” coi principi costituzionali dev’essere valutata in concreto, “ponderando, in termini di proporzionalità e ragionevolezza, l’interesse pubblico sottostante all’assunzione da parte dello Stato di funzioni parzialmente sovrapponibili a quelle regionali con quello sotteso alle medesime funzioni delle Regioni”. La sede appropriata per compiere questa operazione è la Conferenza Stato-Regioni, “ove la concreta ripartizione dei finanziamenti a carico del fondo statale e le verifiche afferenti alla concreta attuazione del programma strutturale possono essere vagliate e disciplinate in coerenza con principi di proporzionalità e ragionevolezza, in modo da evitare effetti distorsivi in ordine al riparto delle risorse sui territori regionali”. Diversamente da quanto affermato dalla difesa erariale, ai fini del coinvolgimento degli enti territoriali non è invece sufficiente l’apporto del Comitato di coordinamento costituito presso il Ministero dello sviluppo economico, in cui è pur sempre presente un rappresentante della Conferenza Stato-Regioni. Si tratta infatti di una forma di coinvolgimento successivo alla determinazione dei criteri e delle modalità e della congruenza dei progetti e dei relativi finanziamenti. Da queste considerazioni discende l’incostituzionalità della disposizione impugnata con riferimento al principio di leale collaborazione.