Durante la riunione dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati del 12 luglio 2018 è stata approvata la delibera n. 14/2018 avente ad oggetto la “Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi e delle quote di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro rata nonché dei trattamenti di reversibilità, relativi agli anni di mandato svolti fino al 31 dicembre 2011”.
Tale rideterminazione, fortemente voluta dal Presidente della Camera Roberto Fico si inserisce tra i provvedimenti con lo scopo di tagliare i così detti “costi della politica”, e conclude il percorso di sostanziale equiparazione del trattamento previdenziale dei deputati a quello ordinario dei dipendenti pubblici. Tale equiparazione era già stata sancita dalle delibere di entrambe le camere del 30 - 31 gennaio 2012, che avevano imposto il sistema contributivo per tutti i deputati e senatori eletti dopo il primo gennaio 2012. Con la delibera in esame si procede all’estensione retroattiva del principio contributivo ai trattamenti maturati prima di tale incisiva riforma. La questione era stata già al centro del dibattito nella XVII legislatura, con la proposta di legge C 3225 “Disposizioni in materia di abolizione dei nuovi vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali”, presentata dall’On. Richetti il 9 luglio 2015, che si proponeva proprio di ricalcolare la prestazione vitalizia ex parlamentari ed ex consiglieri regionali in base ai contributi effettivamente versati dai percettori. Il disegno di legge, approvato alla Camera il 26 luglio 2017, non era però stato calendarizzato per la discussione in Senato entro il termine della legislatura. Pertanto, il tema è rimasto nell’agenda politica anche all’inizio della XVII legislatura.
Per bilanciare gli effetti di questo ricalcolo contributivo, la deliberazione in oggetto prevede una prestazione minima (la pensione a cui hanno diritti i deputati che hanno versato i contributi nella sola XVII legislatura, la prima integralmente contributiva), che viene raddoppiata in caso di una diminuzione dell’importo percepito maggiore del 50%, e una massima (l’effettivo assegno vitalizio percepito dal deputato secondo il regolamento in vigore durante la propria legislatura). Inoltre, si prevede la possibilità per l’Ufficio di Presidenza di aumentare la prestazione erogata per un massimo del 50% in caso di richiesta per percettori con reddito basso e malattia cronica o invalidità totale.
Per il calcolo della prestazione dovuta, non essendo mai stata compiuta nel nostro ordinamento un’operazione di estensione del metodo contributivo retroattiva, l’Ufficio di Presidenza della Camera si è avvalso della consulenza dell’INPS e dell’ISTAT, in modo da poter definire i coefficienti di moltiplicazione del montante contributivo per il periodo pre-1996, ovvero quando nel nostro ordinamento la riforma Dini introdusse il sistema contributo per il calcolo della prestazione previdenziale.
L’approvazione è stata segnata da molte polemiche che sollevano interessanti questioni dal punto di vista giuridico-costituzionale. In primo luogo, è stata sottolineata la scelta di una delibera dell’Ufficio di Presidenza in luogo della fonte legislativa, che nella precedente legislatura era stata considerata la via preferibile per evitare sperequazioni e differenze di trattamento. In questo caso invece, pur tentando di coordinare le proposte con il Consiglio di Presidenza del Senato e con il Collegio dei Questori, la Camera ha scelto di procedere in solitaria. Altro tema sollevato dalla delibera è quello dei diritti quesiti, ovvero più propriamente del limite esistente nel regolare e cambiare l’assetto dei diritti, in special modo quelli previdenziali, già entrati nella sfera soggettiva del destinatario in maniera definitiva. Al riguardo la giurisprudenza costituzionale e la dottrina affermano che sia possibile in astratto modificare in senso anche sfavorevole i diritti soggettivi acquisiti, a condizione che l’intervento non sia irragionevole e che rispetti il legittimo affidamento sulla sicurezza giuridica dei cittadini. I primi commenti autorevoli sulla delibera in esame sembrano proprio contestare l’assenza di ragionevolezza del provvedimento. Questo infatti, in assenza di una equiparazione della normativa del Senato che al momento sembra difficoltosa, creerebbe non poche disparità di trattamento. Sempre sulla questione dei diritti quesiti, l’Associazione Ex Parlamentari della Repubblica ha minacciato un contenzioso giudiziario, che potrebbe aprire interessanti prospettive proprio per la natura della norma contestata, un atto dell’Ufficio di Presidenza. Di fronte ad un eventuale contenzioso, sarà interessante capire se ed eventualmente in quale modo la Corte Costituzionale potrebbe essere investita della questione. In caso, c’è da dire che l’orientamento anche recente della Consulta, in particolare nella materia previdenziale, sembra molto poco incline a dichiarare ammissibili bilanciamenti tra diritti quesiti ed esigenze di contenimento della spesa. Allo stesso modo, qualora la ratio giustificatrice dell’intervento della Camera fosse rinvenuta nell’esigenza di perequazione del sistema previdenziale (nel caso per nulla certo che la Corte accettasse una tale definizione del trattamento previdenziale legato all’indennità di carica), verrebbero ad ergere, oltre ai limiti già ricordati, quello della destinazione del risparmio generato a fini di solidarietà interna del sistema previdenziale (si veda ad esempio la sentenza 173/2016 della Corte Costituzionale), cosa ovviamente impossibile per il risparmio ottenuto dal bilancio della Camera. La questione, più che essere chiusa, sembra aprire molte domande di indubbio interesse.