1. Il 24 gennaio 2018 la Corte Costituzionale ha approvato il nuovo Regolamento per i ricorsi in materia di impiego del proprio personale, entrato in vigore il successivo 8 febbraio.[1] Il testo sostituisce il precedente Regolamento del 1999[2] ed è volto a disciplinare le contestazioni dei provvedimenti riguardanti il personale della Corte in attività di servizio e in quiescenza. Le modifiche apportate alla struttura di tutela giurisdizionale interna sono strettamente collegate agli sviluppi della giurisprudenza della stessa Corte in tema di autodichia degli organi costituzionali, nell’ambito del quale è opportuno contestualizzare l’analisi del nuovo Regolamento.
2. La potestà regolamentare della Corte Costituzionale, a differenza di quella delle Camere e al pari di quella della Presidenza della Repubblica, non trova fondamento esplicito in Costituzione. Formalmente è l’art. 14, c. 1, l. n. 87/1953, come modificato dall’art. 4, l. n. 265/1958, che attribuisce alla Corte la potestà di «disciplinare l’esercizio delle sue funzioni con regolamento approvato a maggioranza». Tuttavia, parte consistente della dottrina ha sostenuto che l’autonomia regolamentare della Corte troverebbe fondamento in un principio costituzionale implicito e la disposizione dell’art. 14 avrebbe quindi valore dichiarativo, non costitutivo. Tale principio si ricollegherebbe alla posizione della Corte nell’ordinamento, di cui costituisce il vertice di controllo della legittimità costituzionale, e andrebbe intesa come garanzia di indipendenza nello svolgimento delle proprie funzioni, specialmente rispetto agli altri poteri dello stato.[3] Senza affrontare oltre il tema dell’autonomia della Corte e della posizione dei suoi regolamenti nel sistema delle fonti del diritto,[4] occorre distinguere fra l’autonomia regolamentare che riguarda la disciplina dei giudizi di costituzionalità da quella che riguarda l’organizzazione interna della Corte.[5] Il Regolamento in oggetto rientra nel secondo ambito. L’art. 14, c. 3, l. n. 87/1953 specifica infatti che «la Corte è competente in via esclusiva a giudicare sui ricorsi dei suoi dipendenti». Tale competenza costituisce il contenuto dell’autodichia o autocrinia, cioé la potestà di giurisdizione esclusiva che con l’autonomia normativa e l’autarchia relativa alla gestione delle spese costituisce la tricotomia degli organi costituzionali.[6] Storicamente, l’autodichia trae origine dalla rivendicazione da parte delle camere elettive del potere di disciplinare tutta l’attività svolgentesi al proprio interno, quale strumento di garanzia dall’ingerenza di altri poteri e di parificazione alle prerogative del re.[7] Anche per quanto riguarda la Corte, l’autodichia è generalmente ricondotta alla funzione di garantire e rafforzare l’indipendenza dell’organo.[8] Tuttavia, il riconoscimento dell’autodichia degli organi costituzionali e, in particolare, in capo alla Corte Costituzionale, non è pacifico nel dibattito politico e accademico. Già in Parlamento, durante la discussione per l’approvazione della l. n. 265/1958, che ha specificato la competenza esclusiva della Corte nelle controversie con i propri dipendenti, diverse voci si erano levate nel senso di circoscrivere tale competenza ai soli provvedimenti disciplinari.[9] Gli sviluppi della dottrina hanno annoverato, accanto a posizioni molto critiche sull’autodichia, vista come un relitto del passato incompatibile con i principi di tutela giurisdizionale inseriti nell’ordinamento costituzionale,[10] posizioni che identificano un insieme di garanzie di autonomia e indipendenza comuni agli organi costituzionali, anche se derivanti da fonti gerarchicamente differenti.[11]
3. È utile inoltre osservare gli sviluppi della giurisprudenza, costituzionale e non, che replicano la dicotomia di posizioni della dottrina. È possibile infatti delineare un dialogo tra la posizione della Cassazione civile, storicamente avversa ai sistemi di giustizia domestica degli organi costituzionali, e quella della Corte Costituzionale, volta invece a ribadire e progressivamente definire la struttura dei sistemi di autodichia. Tali percorsi si intrecciano con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e con la giurisprudenza della Corte EDU in tema di giusto processo, mostrando corrispondenti riflessi sui cambiamenti dei regolamenti della Consulta. La giurisprudenza della Corte di Cassazione si è mantenuta critica nei confronti dell’autodichia degli organi costituzionali. Pur riconoscendo che essi debbano godere di autonomia nell’esercizio delle proprie funzioni, sempre però nei limiti sanciti dalla Costituzione, non sarebbe ad essi automaticamente collegabile anche l’autodichia, in quanto, oltre a non essere prevista in Costituzione, non è neppure coessenziale alla natura costituzionale degli organi. Su questa base la Suprema Corte ha negato l’autodichia alla Presidenza della Repubblica, sostenendo che il rapporto di lavoro dei dipendenti non si instaurava con il Presidente della Repubblica, bensì con il Segretario Generale, e non c’era quindi un collegamento con le funzioni e l’ufficio di Presidente tale da giustificare la sottrazione delle controversie alla giurisdizione comune.[12] Rilevante è anche l’ordinanza con cui la Cassazione ha sollevato la questione di costituzionalità in merito all’art. 12 Reg. Senato per contrasto con gli artt. 24 Cost., 101, c. 2 Cost., 108, c. 2 Cost. e 113 Cost..[13] Secondo la Corte di Cassazione, il sistema di autodichia del Senato non era espressione di potestà giurisdizionale, perché gli elementi connaturati al retto esercizio della funzione giurisdizionale sono la terzietà, l’indipendenza, l’imparzialità e la neutralità dell’organo rispetto al rapporto dedotto in causa. Tali requisiti non erano rintracciabili nel sistema allora predisposto dal Regolamento del Senato, in cui gli organi giudicanti erano composti dai senatori del Consiglio di Presidenza, coinvolti anche nell’assunzione e nella promozione dei dipendenti. Più recentemente, nella stessa ottica critica verso i sistemi di autodichia del nostro ordinamento, in questo caso di quello della Camera dei Deputati, si è posta la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.[14] Secondo la Corte di Strasburgo, il fatto che gli organi di autodichia fossero composti da deputati non faceva venir meno, di per sé, la loro indipendenza, ma anch’essa censurava il fatto che si trattasse degli stessi deputati membri dell’Ufficio di Presidenza, lo stesso organo incaricato delle principali questioni amministrative. In definitiva, la Corte condannava l’Italia per violazione del diritto all’equo processo sancito dall’art. 1, c. 1 CEDU e a seguito della sentenza la Camera adeguava il proprio Regolamento.[15] La giurisprudenza della Corte Costituzionale, come anticipato, si colloca invece su posizioni differenti rispetto alla Corte di Cassazione. Infatti, alla questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione in merito all’art. 12 Reg. Senato, la Corte Costituzionale ha risposto dichiarando l’inammissibilità della questione a causa dell’insindacabilità dei regolamenti parlamentari.[16] In generale, a partire dal primo precedente in materia di autodichia,[17] la posizione della Consulta è sempre stata quella di conservare le garanzie di indipendenza degli organi costituzionali. Tuttavia, dopo l’introduzione del principio del giusto processo in Costituzione e la pronuncia della Corte EDU, la Consulta ha recentemente pronunciato tre significative sentenze. Qualche anno fa, con la sentenza 120/2014,[18] la Corte Costituzionale ha nuovamente dichiarato inammissibile una questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di Cassazione in relazione all’art. 12 Reg. Senato. L’argomentazione della Consulta doveva però confrontarsi stavolta con una garanzia della tutela giurisdizionale per i cittadini molto più rafforzata. Nella sentenza, la Corte Costituzionale ha ribadito che l’ambito di competenza dei regolamenti delle Camere è riservato. Lasciava tuttavia aperto uno spiraglio: se in tale ambito riservato possono essere tranquillamente ricompresi i rapporti che ineriscono alla funzione primaria degli organi, più incerta è l’inclusione in tale statuto anche dei rapporti di lavoro dei dipendenti e delle controversie che coinvolgono situazioni soggettive dei terzi.[19] Nella sentenza 213/2017,[20] la Corte Costituzionale ha ammesso, per poi dichiarare non fondata, una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione giurisdizionale per il personale della Camera dei Deputati. Nella sentenza la Corte ha precisato che la Commissione è un organo di autodichia chiamato a svolgere funzioni giurisdizionali, in posizione super partes, per la decisione di controversie. L’apertura lasciata nella sentenza 120/2014 trova in queste conclusioni una battuta d’arresto, che rafforza gli strumenti di autodichia degli organi costituzionali.[21] L’ultimo sviluppo della giurisprudenza costituzionale in tema di autodichia riguarda due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sollevati dalla Corte di Cassazione avverso il Senato e la Presidenza della Repubblica in merito alle norme regolamentari sull’autodichia, che precludono ai dipendenti dei due organi di accedere alla tutela giurisdizionale comune.[22] In questo caso, la questione dell’autodichia è stata affrontata frontalmente e la Corte Costituzionale ha facilmente ribadito la propria visione, dopo che con la sentenza 213/2017 aveva riconosciuto il carattere oggettivamente giurisdizionale degli organi di autodichia, ormai articolati in una struttura che permette una tutela giurisdizionale compatibile con i principi costituzionali. È stato anche risolto il dubbio sollevato con la sentenza 120/2014 sull’inclusione o meno nell’ambito dell’autonomia degli organi costituzionali delle controversie con i dipendenti e con i terzi. Per quanto riguarda l’inclusione dei primi, è stata confermata, mentre un limite specifico all’estensione dell’autodichia degli organi costituzionali è stato identificato proprio nel coinvolgimento delle situazioni soggettive dei terzi, che non potrebbero essere sottratte alla giurisdizione comune.[23]
4. Il percorso della giurisprudenza costituzionale e della Corte EDU è giunto a definire alcuni caratteri di cui devono disporre le strutture giurisdizionali di autodichia degli organi costituzionali per superare il giudizio di bilanciamento con il diritto a un giusto processo: l’articolazione dev’essere tale da rispettare i criteri dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6, par. 1 CEDU, in modo che gli organi giurisdizionali interni possano essere considerati come giudici a quo per i giudizi incidentali di costituzionalità. Il nuovo Regolamento per i ricorsi in materia di impiego del personale della Corte Costituzionale intende di soddisfare questi criteri. Il primo Regolamento sull’autodichia fu adottato dalla Corte l’8 aprile 1960.[24] I ricorsi erano affidati a uno dei giudici della Corte, che fungeva da relatore, e giudicati dal plenum della stessa Corte Costituzionale, in seduta non pubblica. In caso di accoglimento, la decisione era modificata o revocata, in tutto o in parte. Chiaramente, un’impostazione simile non poteva essere giudicata compatibile con il principio del giusto processo, inserito in Costituzione con l. cost. 2/1999. Così, il 16 dicembre 1999 la Corte adottò un nuovo regolamento, poi modificato nel 2001 e nel 2006.[25] La nuova struttura prevedeva la formazione di un collegio dei tre giudici più anziani, non facenti parte né dell’Ufficio di Presidenza, né della Commissione di disciplina. Il presidente del collegio affidava il ricorso a un giudice, che fungeva da relatore, e le udienze erano pubbliche. Veniva formato anche un giudice d’appello, coincidente con il plenum della Corte, a eccezione dei tre giudici del collegio di primo grado. Infine, l’art. 11 introduceva una clausola d’apertura: per quanto non previsto dal regolamento si osservavano «in quanto applicabili, le norme di procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale». Questa struttura forniva più garanzie procedurali della precedente, ma rimaneva l’assenza di terzietà e imparzialità nel secondo grado di giudizio.
5. Con il nuovo regolamento adottato il 24 gennaio 2018 la Corte ha voluto compiere un’innovazione radicale nella direzione di una più marcata terzietà e indipendenza degli organi giudicanti. La Consulta ha infatti rinunciato alla caratteristica di base dei sistemi di autodichia, cioè che i giudici dei ricorsi siano gli stessi componenti dell’organo detentore della potestà di giurisdizione interna. Il nuovo regolamento, più sintetico dei precedenti, prevede nuovamente un doppio grado di giudizio. Il Collegio giudicante di primo grado risulta però formato da un magistrato amministrativo, da un magistrato ordinario e da un magistrato contabile, in quiescenza da non più di cinque anni e con un’anzianità di servizio non inferiore a venticinque anni. I tre magistrati sono nominati rispettivamente dal presidente del Consiglio di Stato, della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti. Il Collegio giudicante d’appello è invece formato da un presidente di sezione del Consiglio di Stato, da uno della Corte di Cassazione e da uno della Corte dei Conti, in quiescenza da non più di cinque anni e con un’anzianità di servizio non inferiore a venticinque anni. I tre presidenti sono indicati rispettivamente dal presidente del Consiglio di Stato, della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti. I componenti di entrambi i collegi durano in carica quattro anni, non rinnovabili; non sono compatibili con altri incarichi presso la Corte Costituzionale e hanno diritto al solo rimborso spese, essendo un incarico onorifico. Non ci sono specificazioni sulle modalità d’udienza e ci sono meno indicazioni procedurali dei precedenti regolamenti, con il risultato di dare maggiore importanza alla clausola di apertura dell’art. 10: per quanto non previsto dal regolamento «si osservano, in quanto applicabili, le norme del codice del processo amministrativo».Le prime osservazioni in merito a questa nuova struttura sono due. La prima riguarda il venir meno della coincidenza tra i componenti dell’organo costituzionale e l’organismo giudicante dei ricorsi del personale, una tipica caratteristica dell’autodichia, a vantaggio del rafforzamento della terzietà, dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici. La secondo riguarda l’ampia clausola di rimando al Codice del Processo Amministrativo, che fornisce ai dipendenti della Corte le garanzie procedurali vigenti nella giurisdizione comune.[26] Entrambe queste caratteristiche rendono il sistema compatibile con i principi della Costituzione e della CEDU in tema di tutela giurisdizionale.[27]
6. È opportuno ora raffrontare il nuovo sistema della Corte Costituzionale con gli organismi giudicanti degli altri organi costituzionali. Il sistema di giustizia domestica della Presidenza della Repubblica è stato introdotto solo nel 1996 e trova ora la propria disciplina nel d.P.R. n. 34N/2008.[28] Ci sono due gradi di giudizio. Il Collegio Giudicante è formato da un consigliere di Stato, che lo presiede, da un consigliere di Corte d’Appello e da un referendario della Corte dei Conti, designati rispettivamente dal presidente del Consiglio di Stato, della Corte di Appello di Roma e della Corte dei Conti. Il Collegio d’Appello è invece formato da un presidente di sezione del Consiglio di Stato, che lo presiede, da un consigliere di Cassazione e da un consigliere della Corte dei Conti, designati rispettivamente dal presidente del Consiglio di Stato, dal primo presidente della Corte di Cassazione e dal presidente della Corte dei Conti. I magistrati rimangono in carica quattro anni e sono confermabili una sola volta. Anche nel regolamento della Presidenza c’è il rimando alle norme per i giudizi davanti ai TAR e al Consiglio di Stato. Rispetto al Regolamento della Corte cambiano solo alcune qualifiche e organi di provenienza dei magistrati degli organi. Il Senato invece disciplina il proprio sistema giurisdizionale interno all’art. 12 Reg. Senato e agli artt. 72 ss. T.U. delle norme regolamentari dell’Amministrazione riguardanti il personale, modificato nel 2006. Anche a Palazzo Madama il sistema è articolato su due gradi. La Commissione Contenziosa è sempre formata da tre senatori, scelti dal Presidente del Senato, che siano magistrati, professori ordinari o associati in materie giuridiche, avvocati o avvocati dello Stato. Nel caso i ricorsi riguardino contenziosi con i dipendenti, la Commissione è integrata da un consigliere parlamentare e da un dipendente scelto dal Presidente del Senato su una terna eletta da tutti i dipendenti di ruolo. Nel caso di altri ricorsi, intendendosi quelli con i terzi, anche se la sentenza 262/2017 dovrebbe precludere che quest’area processuale sia coperta dall’autodichia degli organi costituzionali,[29] la Commissione sarebbe integrata da due membri, scelti dal Presidente del Senato tra magistrati a riposo delle supreme magistrature ordinaria e amministrativa, professori ordinari in materie giuridiche e avvocati dopo vent’anni di esercizio. Il secondo grado di giudizio è costituito dal Consiglio di Garanzia, formato da cinque senatori, nominati dal presidente del Senato, sentito il Consiglio di Presidenza, con gli stessi requisiti dei senatori parte della Commissione Contenziosa. I senatori parte di questi organismi non devono essere parte del Consiglio di Presidenza, del Consiglio di Disciplina o dell’altro organismo giurisdizionale. I membri degli organismi sono nominati dal Presidente del Senato e rimangono in carica per tutta la legislatura. Il Senato ha dunque ancora propri membri negli organismi contenziosi, la cui terzietà è presidiata da apposite incompatibilità. I dipendenti della Camera dei Deputati trovano la regolamentazione dei propri ricorsi all’art. 12 Reg. Camera e nel Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti contenuto nel d. Pres. Camera n. 420/1988, da ultimo modificato con d. Pres. Camera 781/2009.[30] Accanto a questo regolamento c’è anche un regolamento per i ricorsi dei terzi, che, dopo la sentenza 262/2017, dovrebbe essere rivisto nel senso di demandare tale ambito alla giurisdizione comune.[31] Anche la struttura della Camera è articolata su due gradi di giudizio. La Commissione giurisdizionale è composta di sei deputati sorteggiati tra varie liste di deputati in possesso degli stessi requisiti richiesti al Senato. Il Collegio d’Appello è costituito da cinque deputati sorteggiati con lo stesso metodo, in possesso degli stessi requisiti. I deputati così sorteggiati non possono far parte dell’Ufficio di Presidenza, del Governo e degli altri organi giurisdizionali. Al contrario del Senato, alla Camera gli organismi di autodichia non sono integrati da componenti laici, ma sono composti interamente da deputati, seppur con precise incompatibilità. Come è evidente dal confronto, la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica si dimostrano come gli organi con il sistema di autodichia più avanzato dal punto di vista della terzietà dei giudici e delle garanzie procedurali per il ricorrente.
7. In conclusione, si possono delineare due modelli di giustizia domestica degli organi costituzionali. Da un lato, la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica escludono gli individui che esercitano le funzioni costituzionali proprie di questi organi dai collegi giudicanti, aspetto scontato nel caso della Presidenza della Repubblica, ma ottenuto invece al termine di una lunga evoluzione regolamentare nel caso della Consulta. Dall’altro, il Senato e la Camera dei Deputati continuano a mantenere i propri componenti negli organismi di autodichia, assicurando al contempo idonee garanzie di terzietà e imparzialità. Lo sviluppo di sistemi di autodichia complessi, per quanto rispettosi dei principi costituzionali e CEDU, e la nomina di giudici che sono o sono stati anche magistrati, potrebbe far sorgere nuovamente il dubbio sull’opportunità della separazione della tutela giurisdizionale, dato che le due forme di tutela, quella generale e quella interna, almeno nei casi della Corte e della Presidenza della Repubblica, si sono notevolmente avvicinate. Tuttavia, in presenza di un orientamento costante della Corte Costituzionale a favore del mantenimento della giurisdizione riservata degli organi costituzionale, e una volta che la Consulta ha riconosciuto agli organi di autodichia la qualifica di organi giurisdizionali,[32] l’ambito d’intervento di future pronunce costituzionali si sposta dalla configurabilità stessa dell’autodichia, all’inserimento degli organi di giustizia domestica nel sistema giudiziario. Infatti, nonostante la Corte Costituzionale nella sentenza 262/2017 abbia espressamente affermato che gli organi di autodichia non sono giudici speciali,[33] voci discordanti si sono sollevate in dottrina.[34] Configurare gli organismi di autodichia come giudici speciali non comporterebbe necessariamente una violazione del divieto di cui all’art. 102, c. 2 Cost..[35] In relazione a questo tema, rimane discusso il fatto che il riconoscimento degli organismi di autodichia come organi giurisdizionali non abbia condotto la Corte Costituzionale a estendere agli stessi organismi l’accesso alla Corte di Cassazione, ex art. 111, c. 7 Cost..[36] Infine, il vaglio di costituzionalità continuerà a concentrarsi sul concreto svolgimento della potestà di autodichia, che dovrà quindi continuare ad assicurare la tutela delle posizioni giuridiche dei dipendenti attraverso organi e giudici indipendenti e imparziali, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio.[37]
[1] Reperibile in G.U., Serie generale, 7 febbraio 2018, n. 31.
[2] Approvato dalla Corte Costituzionale con delibera del 16 dicembre 1999, reperibile in G.U., Serie generale, 4 febbraio 2000, n. 28. Il Regolamento del 1999 è stato modificato nel 2001 e nel 2006, per gli estremi di tali modifiche infra, n. 25.
[3] In questo senso ci si limita a ricordare S. P. PANUNZIO, I regolamenti della Corte Costituzionale, CEDAM, Padova, 1970, 90 ss., che riporta la posizione anche in S. P. PANUNZIO, Regolamenti della Corte Costituzionale, in Enc. Giur., vol. XXX, Treccani, Roma, 1993, come A. M. SANDULLI, Spunti problematici in tema di autonomia degli organi costituzionali e di giustizia domestica nei confronti del loro personale, nota a Cass. civ., SS. UU., 11 luglio 1977, n. 356 (ordinanza), in Giur. it., 1977, parte I.1, 1831 ss. e anche A. PIZZORUSSO, Art. 134, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, 1981, 139 ss., mentre più recentemente ribadiscono questa posizione G. ZAGREBELSKY, V. MARCENÓ, Giustizia costituzionale, ilMulino, Bologna, 2012, 135 ss.. Non tutta la dottrina concorda però sul riconoscimento di un principio costituzionale implicito: alcuni ricollegano l’autonomia della Corte a un principio costituzionale esplicito, altri attribuiscono alla l. n. 87/1953 una peculiare forza formale, altri ancora limitano il rango del fondamento dell’autonomia a quello della legge ordinaria che la prevede. Un’efficace sintesi delle diverse posizioni è offerta da F. DAL CANTO, Art. 137, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. III, UTET, Torino, 2006, 2681 ss.
[4] Aspetto sul quale si rimanda a contributi più generali sulla posizione della Corte Costituzionale nel nostro ordinamento, come F. PIERANDREI, Corte costituzionale, in Enc. Dir., vol. X, Giuffré, Milano, 1962, 894 ss. e A. PIZZORUSSO, Art. 137, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, 1981, 206 ss., ma anche G. LA GRECA, Corte Costituzionale, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, vol. IV, UTET, Torino, 1989, 208 ss. e M. RAVERAIRA, Corte costituzionale, in Enc. Giur., vol. XI, Treccani, Roma, 1989.
[5] Come specifica M. MIDIRI, Sull’autonomia organizzativa degli organi costituzionali: la prassi recente, in Dir. soc., 2000, 461.
[6] N. OCCHIOCUPO, Autodichia, in Enc. Giur., vol. IV, Treccani, Roma, 1988.
[7] N. OCCHIOCUPO, Gli organi costituzionali «legibus soluti?», in Giur. it., 1985, parte IV, 102 ss..
[8] S. P. PANUNZIO, I regolamenti della Corte Costituzionale, cit., 91.
[9] Come risulta dai resoconti riportati in S. P. PANUNZIO, I regolamenti della Corte Costituzionale, cit., 90.
[10] Per tutti, prima ancora dell’inserimento del principio del giusto processo in Costituzione, N. OCCHIOCUPO, Il diritto a un giudice «indipendente e imparziale» del personale degli organi costituzionali e della Corte dei Conti, in Dir. soc., 1979, 737 ss..
[11] A. M. SANDULLI, Spunti problematici in tema di autonomia degli organi costituzionali e di giustizia domestica nei confronti del loro personale, nota a Cass. civ., SS. UU., 11 luglio 1977, n. 356 (ordinanza), in Giur. it., 1977, parte I.1, 1831 ss..
[12] Cass. civ., SS.UU., 5 settembre 1975, n. 2979, in Giur. it., 1976, parte I.1, 429 ss, con nota di S. P. PANUNZIO. Per gli sviluppi della giurisdizione sulle controversie tra la Presidenza della repubblica e i suoi dipendenti si veda infra, n. 28.
[13] Cass. civ., SS.UU., 11 luglio 1977, n. 356 (ordinanza), in Giur. it., 1977, parte I.1, 1831 ss, con nota di A. M. SANDULLI.
[14] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, II sez., 28 aprile 2009, nn. 17214/05, 20329/05 e 42113/04, Savino e altri c. Italia, in Giur. it., 2010, 1271 ss., con nota di S. M. CICCONETTI.
[15] Per l’analisi del caso si rinvia ai contributi pubblicati su questa rivista: N. LUPO, Sull’autodichia parlamentare: una sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma facilmente (e tempestivamente) rimediabile con apposite modifiche ai regolamenti parlamentari, in Osservatorio sulle fonti, disponibile all’indirizzo: www.osservatoriosullefonti.it, 2, 2009 e C. FASONE, Autodichia della Camere, regolamenti parlamentari e Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nota a Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, II sez., 28 aprile 2009, Savino e altri c. Italia, in Osservatorio sulle fonti, disponibile all’indirizzo: www.osservatoriosullefonti.it, 2, 2009.
[16] C. cost., 23 maggio 1985, n. 154, in Giur. cost., 1985, 1078 ss, con note di S. M. CICCONETTI e di G. GEMMA.
[17] C. cost., 30 giugno 1964, n. 66, in Giur. cost., 1964, 687 ss..
[18] C. cost., 9 maggio 2014, n. 120, in Giur. cost., 2014, 2078 ss., con note di F. G. SCOCA., di M. MANETTI e di P. PASSAGLIA.
[19] In proposito su questa rivista E. GRIGLIO, Le assemblee parlamentari, giudici in causa propria, ma non a titolo esclusivo? I seguiti della sent. n. 120/2014 della Corte costituzionale, in Osservatorio sulle fonti, disponibile all’indirizzo: www.osservatoriosullefonti.it, 1, 2015.
[20] C. cost., 12 ottobre 2017, n. 213, in Foro it., 2017, 3205 ss..
[21] In proposito L. BRUNETTI, Il “contributo di solidarietà” sulle pensioni degli ex dipendenti della Camera non viola l’autonomia dell’organo, in Forum di Quaderni Costituzionali, disponibile all’indirizzo: www.forumcostituzionale.it, 29 ottobre 2017, come anche R. DICKMANN, La Corte Costituzionale consolida l’autodichia degli organi costituzionali, in Federalismi.it, disponibile all’indirizzo: www.federalismi.it, 20 dicembre 2017 e, in particolare sul riconoscimento dell’organismo di autodichia della Camera dei Deputati come organo giurisdizionale, L. CASTELLI, Il “combinato disposto” delle sentenze n. 213 e n. 262 del 2017 e i suoi (non convincenti) riflessi sull’autodichia della Corte Costituzionale, in Osservatorio costituzionale, disponibile all’indirizzo: www.osservatorioaic.it, 1, 2018.
[22] C. cost., 13 dicembre 2017, n. 262, inedita.
[23] Per quest’ultimo aspetto cfr. C. cost. n. 262/2017, 7.2 in diritto. In merito alle due ordinanze della Corte di Cassazione che hanno sollevato il conflitto d’attribuzione si veda E. GRIGLIO, Le assemblee parlamentari, giudici in causa propria, ma non a titolo esclusivo? I seguiti della sent. n. 120/2014 della Corte costituzionale, cit.. Tra i commenti alla sentenza, sempre L. CASTELLI, Il “combinato disposto” delle sentenze n. 213 e n. 262 del 2017 e i suoi (non convincenti) riflessi sull’autodichia della Corte Costituzionale, cit. si concentra sulla qualificazione degli organismi di autodichia come organi giurisdizionali, operata in maniera differente nelle due sentenze, e L. BRUNETTI, Giudicare in autonomia: il vestito nuovo dell’autodichia, in Forum di Quaderni Costituzionali, disponibile all’indirizzo: www.forumcostituzionale.it, 28 gennaio 2018 si sofferma sull’autodichia come momento applicativo dell’autonomia normativa. Inoltre, mentre R. DICKMANN, La Corte Costituzionale consolida l’autodichia degli organi costituzionali, cit., 11 ss. apprezza la chiarezza del giudice costituzionale, N. LUPO, Sull’autodichia la Corte Costituzionale, dopo lunga attesa, opta per la continuità (nota a Corte Cost. n. 262 del 2017), in Forum di Quaderni Costituzionali, disponibile all’indirizzo: www.forumcostituzionale.it, 21 dicembre 2017 evidenzia invece la situazione di ambiguità nella quale la sentenza continua a lasciare la natura degli organi di autodichia. Infine, G. BUONUOMO, La Corte, la sete e il prosciutto, in Forum di Quaderni Costituzionali, disponibile all’indirizzo: www.forumcostituzionale.it, 20 gennaio 2018 sottolinea il rafforzamento dell’autodichia ottenuto con la sentenza 262/2017, mentre F. G. CUTTAIA, Riaffermata dalla Consulta l’autodichia degli organi costituzionali, in Astrid Rassegna, disponibile all’indirizzo: www.astrid-online.it/rassegna/, 1, 2018 riflette sui possibili profili d’intervento di future pronunce della Consulta sull’autodichia degli organi costituzionali.
[24] Reperibile in G.U., Parte prima, 2 luglio 1960, n. 161.
[25] Reperibile in G.U., Serie generale, 4 febbraio 2000, n. 28. Le modifiche del 2001, relative alla previsione dell’appello avverso le decisioni del collegio giudicante, furono approvate dalla Corte Costituzionale con delibera del 22 novembre 2001, reperibile in G.U., Serie generale, 20 dicembre 2001, n. 295. Le modifiche del 2006, relative alla comunicazione del ricorso all’interessato e alla tipologia di giurisdizione, furono approvate dalla Corte Costituzionale con delibera del 22 giugno 2006, reperibile in G.U., Serie generale, 10 luglio 2006, n. 158.
[26] Clausole di collegamento alla normativa generale si ritrovano anche in altri regolamenti interni di organi costituzionali, come il Regolamento sul funzionamento dei collegi giudicanti interni della Presidenza della Repubblica, come si dirà a breve, ma anche il recente Regolamento di amministrazione e contabilità della Presidenza della Repubblica, che rimanda esplicitamente al Codice dei contratti pubblici, ora Codice degli appalti pubblici.
[27] Segnatamente, per quanto riguarda la Costituzione, gli artt. 24 e 113 Cost. in tema di diritto alla tutela giurisdizionale e di diritto alla difesa, l’art. 101, c. 2 Cost. rispetto all’indipendenza del giudice e l’art. 111 Cost. rispetto al principio del giusto processo, al contraddittorio, alla terzietà e all’imparzialità del giudice. Inoltre, considerando gli organismi di autodichia come giudici speciali, su cui infra, nn. 32-33, sarebbero da considerare anche il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., l’art. 102, c. 2 Cost., che esclude che possano essere istituiti nuovi giudici straordinari o speciali, l’art. 108, c. 2 Cost. relativo all’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, e la VI disposizione transitoria, che prescrive che entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si proceda alla revisione degli organi speciali di giurisdizione preesistenti. Per quanto riguarda invece la CEDU, il riferimento è all’art. 6, par. 1 CEDU sul diritto all’equo processo.
[28] Dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 2979/1975, richiamata supra, n. 12, le controversie tra la Presidenza della Repubblica e i suoi dipendenti furono demandate al giudice amministrativo. Solo con i d.P.R. n. 81N e 89N/1996 fu introdotta l’autodichia su tali controversie, a decorrere dal primo gennaio 1997. Il 30 dicembre 2008 il d.P.R. 34N/2008, anticipando la sentenza Savino della Corte EDU, ha modificato i regolamenti vigenti, ridisegnando la composizione del Collegio Giudicante nel senso di una maggiore indipendenza e imparzialità. In merito si veda E. GRIGLIO, Le assemblee parlamentari, giudici in causa propria, ma non a titolo esclusivo? I seguiti della sent. n. 120/2014 della Corte costituzionale, cit., 2 e L. CASTELLI, Il “combinato disposto” delle sentenze n. 213 e n. 262 del 2017 e i suoi (non convincenti) riflessi sull’autodichia della Corte Costituzionale, cit., 22 ss., il quale, basandosi sul carattere assolutamente nuovo dell’organo Presidente della Repubblica rispetto all’ordinamento precedente, fornisce anche una giustificazione del perché l’autodichia sarebbe intervenuta solo dopo un periodo di assestamento del nuovo potere.
[29] Cfr. C. cost. n. 262/2017, 7.2 in diritto.
[30] Il d. Pres. Camera n. 781/2009 reca la data del 15 ottobre 2009 ed è stato pubblicato in G.U., Serie generale, 19 ottobre 2009, n. 243. Tuttavia, l’iter delle modifiche regolamentari era iniziato già prima della sentenza Savino, resa il 28 aprile 2009. Risale infatti all’11 marzo 2009 la presentazione delle modifiche al Regolamento generale della Camera, base giuridica del Regolamento per la tutela dei dipendenti, da parte di tutti i membri dell’Ufficio di Presidenza, salvo il Presidente, come riportano N. LUPO, Sull’autodichia parlamentare: una sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma facilmente (e tempestivamente) rimediabile con apposite modifiche ai regolamenti parlamentari, cit., e C. FASONE, Autodichia della Camere, regolamenti parlamentari e Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, cit., 28, e nuovamente C. FASONE, L’autodichia delle Camere dopo il caso Savino. Una condanna (lieve) da parte della Corte di Strasburgo, in Dir. pubbl. comp. eur., 2009, 1088.
[31] Cfr. C. cost. n. 262/2017, 7.2 in diritto.
[32] Cfr. C. cost n. 213/2017, 2 in diritto.
[33] Cfr. C. cost. n. 262/2017, 7.4 in diritto.
[34] Accanto a chi concorda con la prospettiva della Corte di non configurare i giudici interni come giudici speciali, tra cui R. DICKMANN, La Corte Costituzionale consolida l’autodichia degli organi costituzionali, cit., 10, c’è chi è in netto disaccordo, come L. CASTELLI, Il “combinato disposto” delle sentenze n. 213 e n. 262 del 2017 e i suoi (non convincenti) riflessi sull’autodichia della Corte Costituzionale, cit., 19 ss..
[35] È sempre L. CASTELLI, Il “combinato disposto” delle sentenze n. 213 e n. 262 del 2017 e i suoi (non convincenti) riflessi sull’autodichia della Corte Costituzionale, cit., 22 ss. che argomenta questa prospettiva, vagliando inoltre la compatibilità degli organismi di autodichia con i principi costituzionali in tema di giudici speciali, su cui supra, n. 27.
[36] Per la posizione della Corte Costituzionale cfr. C. cost. n. 262/2017, 7.4 in diritto. Contra non solo L. CASTELLI, Il “combinato disposto” delle sentenze n. 213 e n. 262 del 2017 e i suoi (non convincenti) riflessi sull’autodichia della Corte Costituzionale, cit., 30, come pure L. BRUNETTI, Il “contributo di solidarietà” sulle pensioni degli ex dipendenti della Camera non viola l’autonomia dell’organo, cit., 2, ma anche lo stesso R. DICKMANN, La Corte Costituzionale consolida l’autodichia degli organi costituzionali, cit., 10, il quale, pur convenendo con la Corte Costituzionale sul fatto che gli organi di autodichia non sono giudici speciali, argomenta che da questo non discendono ragioni giuridiche per negare l’accesso alla Corte di Cassazione.
[37] F. G. CUTTAIA, Riaffermata dalla Consulta l’autodichia degli organi costituzionali, cit., 5.