Aggiornato al 30.11.2019
Rubrica a cura di Giovanna De Minico
Scheda di Fabio Dell’Aversana
Nel periodo preso in considerazione ai fini della stesura di questa nota si segnalano due atti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, a ben vedere, sono strettamente collegati tra loro.
In primo luogo, pare interessante menzionare l’audizione del Segretario generale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Avv. Filippo Arena, alla IX Commissione della Camera dei Deputati in merito all’indagine conoscitiva “Sulle nuove tecnologie nelle telecomunicazioni con particolare riguardo alla transizione verso il 5G e alla gestione dei big data”, del 18 settembre 2019[1].
Il Segretario generale ha offerto una articolata ricostruzione di questa attuale e delicata questione. In particolare, si ricorda che l’Autorità è da diversi anni particolarmente attenta al processo di sviluppo delle reti di telecomunicazione a banda ultra-larga, valorizzando quell’attività di advocacy che le compete; ha, pertanto, sostenuto e auspicato la rapida ed efficace transizione al sistema 5G: lo dimostra, ad esempio, il fatto che nel marzo 2018, l’Autorità si sia pronunciata in relazione alle regole per la messa a gara dello spettro necessario per lo sviluppo della tecnologia 5G, anche al fine di assicurare che il processo di assegnazione delle frequenze per i servizi di comunicazione mobile a banda larga rappresentasse un’opportunità per l’ingresso e l’affermazione di nuovi operatori, allo scopo di ridurre il livello di concentrazione nel mercato.
Non sono mancate, però, riflessioni critiche da parte dell’AGCM. L’Autorità non ha sottovalutato gli ostacoli all’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e broadband wireless access presenti nelle normative locali (comunali e provinciali) e regionali. L’osservazione ha indubbio rilievo in punto di diritto, posto che talune normative fissano limiti e divieti ingiustificati o comunque non proporzionati all’installazione di impianti di telecomunicazione o stabiliscono procedure amministrative di autorizzazione all’istallazione degli impianti difformi rispetto a quanto previsto dal quadro normativo statale.
Il ruolo di garante del mercato ha imposto all’AGCM di osservare con la dovuta attenzione i comportamenti dei players. Non è un caso che nel testo dell’audizione si legga espressamente che un ulteriore aspetto di grande rilievo in relazione allo sviluppo delle reti 5G, attualmente al vaglio dell’Autorità, risiede proprio nell’analisi degli accordi che gli operatori mobili stanno concludendo per la realizzazione congiunta e la condivisione delle reti 5G: «(t)ali accordi possono potenzialmente generare sinergie ed efficienze in termini di investimenti, ma possono anche avere significative ricadute concorrenziali. Si tratta, infatti, di accordi tra operatori concorrenti che hanno tradizionalmente sviluppato e gestito in autonomia le proprie reti mobili, potenzialmente idonei ad incidere sia sulla concorrenza statica che sulla concorrenza dinamica che caratterizza il settore».
Tanti sono gli spunti di riflessioni che sono sviluppati nell’audizione ma pare particolarmente utile segnalare che l’Autorità non perde mai di vista la propria funzione istituzionale di garante della concorrenza e del mercato. In molti passaggi del testo, dunque, si leggono chiari riferimenti all’esigenza di evitare che il mutato scenario tecnologico possa rappresentare l’occasione per la costruzione di nuovi poteri economici costruiti proprio in violazione del diritto antitrust. L’affermazione di principio è supportata da molteplici esemplificazioni. Potrebbero, ad esempio, rientrare pienamente nel divieto delle intese restrittive della concorrenza gli accordi o le pratiche concordate tra le imprese che abbiano come oggetto o effetto una riduzione dei livelli di sicurezza cibernetica di prodotti e servizi offerti a imprese e consumatori.
La conclusione a cui giunge il Segretario generale è chiara e assolutamente condivisibile: «è auspicabile che lo sviluppo delle reti 5G e dei nuovi ecosistemi dell’IoT[2] avvenga assicurando non solo i più elevati livelli di sicurezza, ma anche i benefici di un pieno confronto concorrenziale».
Quest’ultimo tema – id est: la concorrenza sui mercati digitali –costituisce l’oggetto di una altra importante attività istituzionale dell’AGCM. Le autorità di concorrenza dei Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) e la Commissione Europea hanno presentato, nel corso dell’incontro che si è svolto a luglio, a Chantilly, una posizione comune (Common Understanding) sulle questioni che l’economia digitale pone alla politica della concorrenza.
Il documento sviluppa alcune condivisibili premesse.
Si riconosce la fondamentale importanza dei mercati competitivi per il buon funzionamento dell’economia; molti dei benefici connessi all’economia digitale sono – si afferma nel documento – meglio realizzabili se i mercati digitali si mantengono competitivi; a tal fine «una corretta applicazione della legge sulla concorrenza continuerà a svolgere un ruolo importante nel salvaguardare la fiducia nei mercati digitali e assicurare che l’economia digitale continui a produrre dinamismo economico, mercati competitivi, benefici per i consumatori e incentivi all’innovazione».
Si aggiunge che «il diritto della concorrenza è flessibile» e adatto allo scopo di tutelare la concorrenza anche nell’era digitale richiedendo, tuttavia, un continuo sforzo di aggiornamento da parte delle autorità di concorrenza; se da un lato «i recenti casi dimostrano che il diritto della concorrenza è in generale in grado di fornire alle autorità di concorrenza gli strumenti e la flessibilità necessari per fronteggiare comportamenti anticoncorrenziali nell’economia digitale», è tuttavia importante che le autorità di concorrenza abbiano «gli strumenti e i mezzi per approfondire la conoscenza dei nuovi modelli di business e del loro impatto sulla concorrenza».
Poiché anche le normative possono danneggiare la concorrenza aumentando i costi d’ingresso e consolidando la posizione degli incumbent, nella posizione comune viene osservato che «i governi dovrebbero valutare se leggi e regolamenti in vigore o da adottare pongono ostacoli ingiustificati alla concorrenza nei mercati digitali» e che «condividere la conoscenza dell’autorità di concorrenza con il governo favorisce la promozione di un’economia digitale competitiva».
Infine, in ragione della innegabile natura transfrontaliera dell’economia digitale, si afferma che è importante promuovere una maggiore cooperazione e convergenza internazionale nell'applicazione delle normative a tutela della concorrenza; d’altronde la cooperazione internazionale contribuisce a promuovere una cornice di riferimento coerente, il che è anche nell’interesse delle imprese.
La conclusione di questa nota è riservata alla massima elaborata con riguardo ad una importante pronuncia del Consiglio di Stato in materia di intensità del sindacato del giudice amministrativo sugli atti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Nella sentenza della VI Sezione del 15 luglio 2019, n. 4990, si è affrontata la questione nei seguenti termini.
Gli elementi descrittivi del divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza, anche quelli valutativi e complessi, sono presi in considerazione dalla norma attributiva del potere, nella dimensione oggettiva di “fatto storico” accertabile in via diretta dal giudice, e non di fatto “mediato” dall’apprezzamento dell’Autorità; per questi motivi, il giudice non deve limitarsi a verificare se l’opzione prescelta da quest’ultima rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili che possono essere date a quel problema alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto, bensì deve procedere ad una compiuta e diretta disamina della fattispecie; la sussunzione delle circostanze di fatto nel perimetro di estensione logica e semantica dei concetti giuridici indeterminati (ad esempio, quella del “mercato rilevante”) è una attività intellettiva ricompresa nell’interpretazione dei presupposti della fattispecie normativa, in quanto il tratto “libero” dell’apprezzamento tecnico si limita qui a riflettere esclusivamente l’opinabilità propria di talune valutazioni economiche. Lo dimostra il fatto che, nelle azioni risarcitorie c.d. stand alone (ossia non precedute da una decisione dell’Autorità), il giudice civile ‒ sia pure ai fini risarcitori ‒ è chiamato a verificare direttamente ed in prima persona i presupposti dell’illecito, senza che occorra alcuna intermediazione di potere pubblico. La tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve dunque consentire al giudice un controllo penetrante attraverso la piena e diretta verifica della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità, anche rispetto agli elementi controvertibili in senso epistemologico. Rispetto alla fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati dell’illecito antitrust, il giudice amministrativo è chiamato ad un sindacato, non di astratta “attendibilità”, bensì di “maggiore e preponderante attendibilità” della valutazione complessa prescelta dall’Autorità rispetto alla ricostruzione alternativa opposta dall’impresa sanzionata.
[1] Il testo dell’audizione è consultabile al seguente link: https://www.agcm.it/dotcmsdoc/audizioni-parlamentari/Audizione-20190918.pdf.
[2] L’acronimo riportato nel testo sta per Internet of Things.