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Una pronuncia in tema di rapporti fra ordinamento sportivo e ordinamento statale (3/2019)

Sentenza n. 160/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 25/6/2019 – pubblicazione in G.U. 3/7/2019, n. 27

Motivo della segnalazione

Con la sentenza n. 160/2019 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nel d.l. n. 220/2003 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito, con modificazioni, nella l. n. 280/2003, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio in riferimento agli artt. 24, 103 e 113 Cost.

Le disposizioni sottoposte al vaglio di costituzionalità stabiliscono che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto «i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive» e che in tale materia «le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo».
Ad avviso dell’autorità giudiziaria rimettente le citate disposizioni presenterebbero profili di illegittimità costituzionale anche nell’interpretazione fornita dalla precedente sentenza n. 49/2011 della Corte costituzionale, della quale il giudice a quo stesso pone in essere una vera e propria critica nella parte in cui essa ha giudicato conforme a Costituzione un assetto normativo che, in base al diritto vivente, riconosce al destinatario della sanzione la sola tutela risarcitoria. In base a tale pronuncia, resa su questioni del tutto analoghe a quelle poste ora all’esame del Giudice delle leggi, nelle controversie aventi per oggetto sanzioni disciplinari sportive non tecniche incidenti su situazioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statale è possibile proporre domanda di risarcimento del danno al giudice amministrativo in regime di giurisdizione esclusiva, mentre resta sottratta alla sua giurisdizione la tutela di annullamento.
Anche così interpretata, la normativa, nella valutazione datane dal giudice a quo, violerebbe gli artt. 103 e 113 Cost. sotto profili «non compiutamente esaminati» dalla precedente pronuncia perché «ritenuti “assorbiti” nella censura concernente la violazione dell’art. 24 Cost.»; essa continuerebbe inoltre a presentare i profili di contrasto con l’art. 24 Cost. «letto in combinato disposto con gli stessi artt. 103 e 113 Cost.» già esaminati dalla Corte in ordine all’esclusione della tutela caducatoria davanti al giudice statale.
La Corte respinge le argomentazioni addotte dal giudice a quo con tutta una serie di articolate motivazioni e in modo particolare con le seguenti.
Innanzitutto, dopo avere precisato che i profili di censura della normativa contestata in riferimento agli artt. 103 e 113 Cost. risultano essere stati diffusamente esaminati nella antecedente sentenza n. 49/2011, essa ritiene che non vi siano ragioni di sorta per discostarsi dalle conclusioni di infondatezza della questione espresse nella stessa pronuncia, che «meritano di essere integralmente confermate, sia per quanto riguarda il rilievo dei valori costituzionali in gioco, sia per quanto attiene alla valutazione di ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore con la articolata definizione – nella disciplina definita nel d.l. n. 220 del 2003 così come interpretata dal diritto vivente – del sistema della tutela giurisdizionale in ambito sportivo».
In secondo luogo la Consulta rileva che «non apporta nuovi profili di illegittimità, diversi da quelli già esaminati, nemmeno la prospettata qualificazione delle decisioni degli organi della giustizia sportiva come provvedimenti amministrativi, dal momento che la stessa sentenza n. 49 del 2011 non esclude che le sanzioni sportive possano ledere anche situazioni giuridiche aventi consistenza di interesse legittimo e ne colloca di conseguenza la tutela risarcitoria per equivalente nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo quanto previsto dall’art. 133, comma 1, lettera z), dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo)».
In terzo luogo la stessa Corte aggiunge il rilievo volto a negare la tesi del carattere costituzionalmente necessitato della tutela demolitoria degli interessi legittimi, in virtù della quale il rimettente desume l’incompatibilità con gli artt. 103 e 113 Cost. di qualsiasi limitazione legislativa di tale forma di tutela giurisdizionale contro gli atti e i provvedimenti della pubblica amministrazione: osservano al proposito i giudici costituzionali che, «se è fuor di dubbio che i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale espressi dagli artt. 24 e 113 Cost. devono avere applicazione rigorosa a garanzia delle posizioni giuridiche dei soggetti che ne sono titolari, ciò non significa che il citato art. 113 Cost., correttamente interpretato, sia diretto ad assicurare in ogni caso e incondizionatamente una tutela giurisdizionale illimitata e invariabile contro l’atto amministrativo, spettando invece al legislatore ordinario un certo spazio di valutazione nel regolarne modi ed efficacia (sentenze n. 100 del 1987, n. 161 del 1971 e n. 87 del 1962). Ancora più precisamente, questa Corte ha affermato che «[i]l [...] secondo comma dell’art. 113 non può essere interpretato senza collegarlo col comma che lo segue immediatamente e che contiene la norma, secondo la quale la legge può determinare quali organi di giurisdizione possano annullare gli atti della pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge medesima. Il che sta a significare che codesta potestà di annullamento non è riconosciuta a tutti indistintamente gli organi di giurisdizione, né è ammessa in tutti i casi, e non produce in tutti i casi i medesimi effetti» (sentenza n. 87 del 1962). Ciò, fermo restando naturalmente che, affinché il precetto costituzionale di cui agli artt. 24 e 113 Cost. possa dirsi rispettato, è comunque «indispensabile [...] che la norma, la quale si discosti dal modello accolto in via generale per l’impugnazione degli atti amministrativi, sia improntata a ragionevolezza e adeguatezza» (sentenza n. 100 del 1987)».
Ma il punto della sentenza che più preme sottolineare è quello in cui la Corte si sofferma con argomentazioni di carattere più generale sui rapporti fra ordinamento sportivo e ordinamento statale e più specificamente sui limiti all’autonomia pur da riconoscere al primo.
Dopo aver ribadito la «natura, per taluni profili originaria e autonoma, dell’ordinamento sportivo, che di un ordinamento giuridico presenta i tradizionali caratteri di plurisoggettività, organizzazione e normazione propria», la medesima Corte osserva che «nel quadro della struttura pluralista della Costituzione, orientata all’apertura dell’ordinamento dello Stato ad altri ordinamenti, anche il sistema dell’organizzazione sportiva, in quanto tale e nelle sue diverse articolazioni organizzative e funzionali, trova protezione nelle previsioni costituzionali che riconoscono e garantiscono i diritti dell’individuo, non solo come singolo, ma anche nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua personalità (art. 2 Cost.) e che assicurano il diritto di associarsi liberamente per fini che non sono vietati al singolo dalla legge penale (art. 18). Con la conseguenza che eventuali collegamenti con l’ordinamento statale, allorché i due ordinamenti entrino reciprocamente in contatto per intervento del legislatore statale, devono essere disciplinati tenendo conto dell’autonomia di quello sportivo e delle previsioni costituzionali in cui essa trova radice».
Insomma, precisa sempre la Corte, la disciplina legislativa che opera un «collegamento» fra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale trova un limite nel necessario rispetto dei principi e dei diritti costituzionali: in altri termini, «la regolamentazione statale del sistema sportivo deve dunque mantenersi nei limiti di quanto risulta necessario al bilanciamento dell’autonomia del suo ordinamento con il rispetto delle altre garanzie costituzionali che possono venire in rilievo, fra le quali vi sono – per quanto qui interessa trattando della giustizia nell’ordinamento sportivo – il diritto di difesa e il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale presidiati dagli artt. 24, 103 e 113 Cost. In termini concreti tutto ciò fa sì che la tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, se non può evidentemente comportare un sacrificio completo della garanzia della protezione giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, può tuttavia giustificare scelte legislative che, senza escludere tale protezione, la conformino in modo da evitare intromissioni con essa “non armoniche”, come il legislatore ha valutato che fosse, nel caso in esame, la tutela costitutiva».

Osservatorio sulle fonti

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